La settima edizione di InQuiete, festival di scrittrici a Roma svoltasi a ottobre 2023, si è aperta nella sua sezione Kids con un incontro dedicato alle Stem (Science, technology, engineering and mathematics), cioè il campo scientifico-tecnologico e i relativi corsi di studio, e divario di genere. Elisa Casseri, scrittrice e moderatrice dell’incontro, ha aperto con un numero: il 73.
È la posizione dell’Italia nel Global Gender Gap Index. L’indice, che viene stilato dal World Economic Forum e monitora 146 paesi, stima che globalmente stando ai dati del 2022 serviranno 132 anni per annullare il divario di genere.
“Un brutto numero se si considera che prima della pandemia erano solo 100 anni” sottolinea la scrittrice Elisa Casseri che aggiunge: “L’altra cosa molto preoccupante è che nella classifica di 146 Stati che tiene conto di fattori come partecipazione economica, opportunità, livello di istruzione, salute, sopravvivenza e empowerment politico delle donne in un paese, l’Italia è al settantatreesimo posto. Se guardiamo ai vertici della carriera accademica scientifica solo il 28,8% è donna. Se stringiamo lo sguardo sull’Italia troviamo un 16,5% di laureate in Stem sul totale delle laureate, mentre gli uomini sono il 37%. C’è una professoressa ordinaria su cinque e per quanto riguarda i rettorati ci sono solo sette rettrici su ottanta totali. A mano a mano che si avanza nella carriera diminuiscono le donne. I contratti, per il 63%, vengono dati agli uomini. Inoltre, c’è ovviamente un gender pay gap cioè una differenza di stipendio tra uomini e donne a parità di ruolo”.
Segregazione verticale ed orizzontale
Per dare corpo a questi numeri, l’astrofisica Raffaella Schneider, che insegna nel dipartimento di Fisica dell’Università La Sapienza di Roma ed è autrice di Quanto è lungo un anno luce?, si sofferma sul fenomeno della “segregazione verticale – motivo per cui la percentuale delle donne è molto bassa nei ruoli apicali – e sulla segregazione orizzontale, per cui la percentuale delle donne in partenza è molto bassa e quindi non c’è più una forbice che si intreccia ma ci sono proprio due linee correlate. In partenza c’è già un grande divario di genere che in seguito si accentua e caratterizza le materie tecnico scientifiche”. I dati parlano chiaro, come ricorda Schneider: “Nel dipartimento di Fisica a Roma le iscritte sono 30 su 100 e le professoresse ordinarie 4 su circa 30”.
Si tratta quindi di stravolgere il quadro seminando e coltivando l’interesse per la scienza già nei primi anni della vita. Così è successo a Raffaella Schneider, proveniente da una famiglia agiata, non versata nelle scienze. “Grazie ad Alberto Manzi che all’epoca era maestro nelle elementari del mio quartiere e ci faceva fare degli esperimenti sul terrazzo della scuola – racconta Schneider – ho avuto la curiosità di continuare questi studi. La scelta dell’università è stato un passaggio di cui ho sentito tutto il peso, poi ho avuto un figlio appena laureata. Ho vinto un dottorato incinta – però ancora non si vedeva e sono convinta abbia giocato a mio favore. È stato difficilissimo e l’ho potuto fare grazie al grande sostegno della mia famiglia ma anche grazie al grande sostegno della mia relatrice, che aveva vissuto un’esperienza simile alla mia. Da lì in poi, ho incontrato tante persone che mi hanno supportato in momenti importanti della mia carriera e sono arrivata ad essere una delle quattro professoresse ordinarie ma sono stata anche molto fortunata. E io vorrei che non ci fosse più bisogno di essere fortunate“.
Lavorare su chi non ce l’ha fatta
Un’aspirazione che condividono in molte. “Per riprendere i dati citati da Raffaella Schneider che parlava di quattro professoresse ordinarie su trenta, noi cerchiamo di lavorare sulle altre ventisei, su quelle che non ce l’hanno fatta. – spiega Edwige Pezzuli comunicatrice della scienza presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica, WeSTEAM – Sul tubo che perde, che gocciola via donne a ogni passo e invece pompa uomini. Ci sono una serie di ostacoli, materiali e immateriali, che si vanno ad accumulare lungo il cammino. È interessante ragionare sui motivi, in un’ottica intersezionale, che portano le donne a essere i soggetti più fragili all’interno dell’accademia”.
Tra essi l’educazione al genere svolge un ruolo centrale. “Noi cresciamo in un mondo che ci educa a essere socializzate come donne se nate femmine e come uomini se nati maschi – afferma Raffaella Schneider – Alla fine degli anni settanta due ricercatrici spagnole hanno fatto uno studio pionieristico sul modo in cui le docenti e i docenti parlavano con bambine e bambini nelle scuole elementari. E si sono messe proprio a contare le parole che rivolgevano a bambine e bambini e hanno misurato di fatto che alle bambine vengono rivolte settantaquattro parole ogni cento che vengono dette a un bambino. C’è quindi una differenza del 26% e ha come effetto speculare che le bambine parlano di meno in classe, in modo esattamente simmetrico: rivolgono alla classe e al corpo docente settantacinque parole ogni cento di un loro compagno. Questo insegna alle bambine fin dall’infanzia a non sentirsi padrone dello spazio o a non esprimere la propria volontà e le proprie idee”.
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Come immaginiamo gli scienziati?
Parlando di come influisce l’educazione sulle scelte che poi vengono fatte nella vita, occorre chiedersi, suggerisce Edwige Pezzulli “quale immagine ci viene in mente quando parliamo della scienza o che cosa significa la scienza per chi la scienza non la fa. E l’immaginario della scienza è problematico per tanti motivi: non solo gli scienziati nelle nostre teste sono degli uomini, ma sono anche degli supereroi dotati di super intelligenze e di un potere visionario che grazie a una notte di eroico furore di fronte a una lavagna partoriscono l’equazione della relatività generale. E questo immaginario, oltre ad essere falso, allontana in modo differenziale bambine e bambini dalla scienza. È una narrazione che allontana maggiormente le bambine, che come oggi sappiamo, appena entrano a scuola imparano a sentirsi meno intelligenti, meno geniali dei bambini”.
Per sfuggire a questa polarizzazione di scelte educative, appare fondamentale ripartire dalle bambine. “I colleghi del Centro per l’Astrofisica di Harvard hanno realizzato una ricerca interessante sull’indice di fisicità, ovvero quant’è probabile che una persona che studia si iscriva a fisica (una fisicità strana rispetto a quella a cui siamo abituati) – racconta Raffaella Schneider – e hanno provato a correlarlo con una serie di caratteristiche che avevano avuto nel corso della loro vita: famiglia, laurea dei genitori, racconti di donne scienziate, corso a scuola sul divario di genere nelle materie tecnico scientifiche, le cosiddette Stem (Science, technology, engineering and mathematics). Quello che è risultato il più efficace è stato contestualizzare il divario di genere come problema sociale e non come problema della singola persona”.
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Le sorelle Kamikaze
La scrittrice Vichi De Marchi, che racconta da anni le scienziate in libri per l’infanzia e l’adolescenza e ha firmato ultimamente Le ragazze con i numeri e Le ragazze per l’ambiente, ricorda come “alcune università già mescolano i due mondi delle scienze e delle materie umanistiche all’interno del loro sistema di istruzione questi elementi che ritroviamo nell’acronimo Steam” che con la ‘A’ fa spazio alle discipline umanistiche.
“La casa editrice Editoriale Scienza – racconta Vichi De Marchi – è stata fondata da due sorelle trent’anni fa, quando lanciarono la collana chiamata Donne nella scienza (vincitrice nel 2018 del premio Andersen come miglior collana di divulgazione, nda), venivano chiamate ‘le sorelle Kamikaze’ nel mondo dell’editoria. Da allora è cambiato tantissimo e dalle sorelle kamikaze arriviamo al successo planetario di Storie della buona notte per bambine ribelli. E se continuo ad amare moltissimo la collana Donne nella scienza, ci sono ormai molte altre case editrici che fanno un buon lavoro. Mi sembra tuttavia importante continuare a chiederci perché raccontare le storie di donne scienziate”. In effetti, continua De Marchi, “le donne scienziate sono state poco raccontate anche dai libri di testo, c’è stato questo effetto di oscuramento, chiamato effetto Matilda dal nome di Matilda Gage, una suffragista dell’ottocento”.
Nel 1870 Matilda Gage pubblicò un saggio dal titolo Woman as inventor in cui denunciava il fatto che molte scoperte scientifiche fossero state conseguite da scienziate e poi ingiustamente attribuite a uomini mentre loro rimanevano sconosciute. Fu la storica della scienza statunitense Margaret W. Rossiter, autrice di una monumentale ricerca in tre volumi, Women Scientists in America, a coniare l’espressione negli anni Novanta del secolo scorso, nell’ambito delle sue ricerche dedicate alla poca rappresentazione delle donne nelle carriere scientifiche.
Libri per piccole scienziate
Di seguito una lista di titoli per educare giovani scienziate:
- Ragazze per l’ambiente. Storie di scienziate e di ecologia, Vichi De Marchi, Roberta Fulci, Editoriale Scienza
- Ragazze con i numeri. Storie, passioni e sogni di 15 scienziate, Vichi De Marchi, Roberta Fulci, Editoriale scienza
- La mia vita tra i gorilla. Dian Fossey si racconta, Vichi De Marchi, Editoriale Scienza
- Greta e le altre. Un pianeta da salvare, Fulvia Degl’Innocenti, Settenove
- Storie e vite di superdonne che hanno fatto la scienza, Gabriela Greison, Salani editore
- Molly e i misteri matematici, Eugenia Cheng, Editoriale scienza
- Donne di scienza. 50 donne che hanno cambiato il mondo, Rachel Ignotofsky, Nord-Sud Edizione
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