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sabato, Dicembre 14, 2024

Rischio eco-maschilismo, se nelle rinnovabili lavorano solo gli uomini

Due ricercatrici dell’università del Sussex lanciano l'allarme: le donne sono svantaggiate nella transizione energetica, perché il mercato del lavoro delle fonti di energia pulita è in mano agli uomini. C'è bisogno di un forte investimento nelle green skill delle donne

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Le donne rischiano di diventare “invisibili” nella transizione energetica, e le fonti di energia pulita possono rappresentare una barriera invece di un’opportunità nel mercato del lavoro per molte di loro. Giulia Mininni e Ralitsa Hiteva, due ricercatrici dell’università del Sussex, nel Regno Unito, hanno pubblicato uno studio dove gettano un faro sulla zona d’ombra della decarbonizzazione: quella che le autrici chiamano eco-mascolinizzazione delle fonti di energia pulita.

L’industria energetica è dominata dagli uomini e ciò si riflette inevitabilmente nel settore green e nelle tecnologie ecologiche, con tutte le problematiche comuni negli altri campi: relazioni di potere asimmetriche e disuguaglianze di genere per quanto riguarda l’acquisizione di competenze, le opportunità di impiego, le tipologie di lavoro e il divario retributivo colpiscono in modo sproporzionato le donne anche per quanto riguarda i cosiddetti green jobs, cioè tutti quei lavori che diventeranno centrali in un futuro net zero.

Mentre la maggior parte delle analisi sulla transizione energetica si focalizzano sul tema della nuova distribuzione delle risorse e degli investimenti dalle fonti fossili alle energie rinnovabili, minore attenzione è dedicata al tema chiave della questione di genere legata al mercato del lavoro e alle competenze green. Considerando che la transizione ecologica creerà 30 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo entro il 2030 e più di 1,7 milioni soltanto in Europa da qui al 2040, tralasciare la questione di genere mette in seria discussione il principio fondamentale di una just transition (cioè di una transizione giusta) verso una società a emissioni zero.

Lo stesso accesso alle competenze green

È evidente come il punto di partenza per un mercato del lavoro nei green jobs in cui ci sia parità di opportunità è la possibilità di accedere equamente alle attività di formazione o di riqualificazione delle lavoratrici e dei lavoratori in modo da acquisire le competenze necessarie per poter trovare un impiego nei settori legati alla transizione energetica e col tempo ricoprire posizioni dirigenziali. Le autrici, tuttavia, sottolineano come ci sia un divario profondo e storico nella partecipazione delle donne nel mercato del lavoro delle tecnologie energetiche.

La ragione è spesso associata alle competenze richieste dai lavori nel campo della tecnologia, dell’ingegneria e più in generale delle materie STEM oppure del settore automobilistico, dove tradizionalmente il sesso femminile è sottorappresentato. L’esclusione delle donne dalla formazione sulle tecnologie energetiche e quelle legate alla decarbonizzazione si traduce nella mascolinizzazione anche a livello di progettazione tecnologica. Inoltre, poiché la maggior parte degli ingegneri, economisti e altre figure dirigenziali nel campo delle rinnovabili è di sesso maschile, questo porta a replicare le storture presenti nel mercato delle energie fossili.

Le donne che lavorano nel settore energetico sono circa il 76% in meno degli uomini. Una differenza notevole rispetto al divario medio dell’8% riscontrato nella forza lavoro totale, secondo i dati del 2018 estrapolati da 29 Paesi (22 membri dell’IEA – l’Agenzia internazionale dell’energia). Anche il Global Green Skills Report di LinkedIn ha rivelato un forte divario di genere nel settore ecologico. I dati mostrano che solo il 10% delle donne possiede almeno una competenza green, rispetto al 16% degli uomini. Inoltre, il divario di genere non si è ridotto, ma è cresciuto del 25% negli ultimi sette anni.

“Le donne non hanno le competenze necessarie per passare facilmente ai lavori green”, ha dichiarato la dirigente di LinkedIn Rebecca Razavi in un’intervista all’UN Women delle Nazioni Unite: “Ci stiamo perdendo il talento e le idee di metà della popolazione in un settore cruciale per il futuro del nostro Pianeta. Per soddisfare la crescente domanda di competenze verdi, dobbiamo concentrarci sulla riqualificazione delle donne. La disparità di genere nelle green skill e nei ruoli di leadership riflette questioni più ampie di disuguaglianza di genere nella forza lavoro e limita la varietà di prospettive nella risoluzione dei problemi ambientali”, ha fatto notare.

eco-maschilismo fotovoltaico

I problemi nel mercato del lavoro sono strutturali

Non è sicuramente una grande idea pensare di accelerare la transizione ecologica facendo a meno di metà della popolazione, dimezzando dunque la probabilità di trovare i migliori talenti per una determinata posizione di lavoro. Questo, tuttavia, è un problema che viene da lontano e il settore delle fonti rinnovabili e del digitale tende a replicare.

L’egemonia maschile dell’industria energetica è evidente semplicemente osservando il divario retributivo di genere: le donne, semplicemente, hanno salari più bassi. Sempre secondo l’indagine dell’IEA citata in precedenza, il divario salariale medio tra i sessi è di circa il 15%: le donne che lavorano nel settore guadagnano, dunque, il 15% in meno degli uomini, anche a parità di livello di competenza. Mentre la mancanza di flessibilità scoraggia nel 75% dei casi le donne assunte come ingegnere a riprendere il proprio impiego dopo la pausa di maternità.

C’è inoltre una scarsa presenza delle donne nelle posizioni dirigenziali o tra le fondatrici di società legate all’economia green, dove non superano il 20%, secondo le statistiche citate da Rebecca Razavi. Numeri confermati nello studio, dove sono riportati i dati del report PowerFul Women relativo al Regno Unito: solo il 27% delle donne siede in un consiglio di amministrazione di una società attiva nel campo dell’energia. “Ciò implica una mancanza di leadership e di partecipazione al processo decisionale sulle strategie, la vision e la direzione delle imprese verso la transizione energetica, oltre a influenzare chi viene incluso nei processi e in quale misura”, commentano le autrici.

Leggi anche: Gli effetti della transizione energetica sulle donne

Cosa possono fare i governi

Rebecca Razavi nell’intervista all’UN Women ha elencato quali possono essere le azioni concrete da parte di istituzioni, politici e dirigenti aziendali per colmare i gap appena evidenziati e rendere la transizione verso i green jobs più inclusiva. A patto di risolvere un altro problema a monte, segnalato, invece, dalle autrici dello studio: anche nei programmi istituzionali per gestire la transizione ecologica, la maggioranza è composta da funzionari di sesso maschile.

“Investire nei programmi di riqualificazione – elenca Razavi – e nell’orientamento professionale che favoriscano lo sviluppo di competenze verdi e creino percorsi di transizione per le lavoratrici verso le industrie green; studiare misure per aumentare la diversità nelle assunzioni, anche adottando un approccio skills-first, soprattutto nei lavori che contribuiscono a rendere più ecologico il Pianeta; fare una mappatura nazionale delle competenze verdi e incorporare la formazione sulle green skill a livello politico; affrontare le barriere sistemiche che impediscono alle donne e ad altri gruppi sotto-rappresentati di entrare e progredire nei green jobs, attraverso campagne di sensibilizzazione e il coinvolgimento della comunità”, conclude la dirigente di LinkedIn.

Leggi anche: Affrontare le disuguaglianze di genere nei green jobs. L’esperienza delle isole Figi

eco-maschilismo gender gap

Rispettare il principio della “transizione energetica giusta”

Tuttavia, l’inserimento delle donne nell’agenda delle competenze verdi è solo un pezzo del puzzle. La transizione giusta richiede processi più equi non solo a livello tecnico e tecnologico. Per ottenere una reale trasformazione, è fondamentale che i governi, le aziende e le industrie sostengano le donne nella sfida alle strutture e alle pratiche socioculturali ormai sedimentate.

Il principio di una “transizione energetica giusta”, infatti, passa inevitabilmente da un’equa distribuzione della rappresentanza, delle risorse (incluse la conoscenza e le competenze) e dei benefici legati al processo di decarbonizzazione per tutti i gruppi sociali marginalizzati, incluse le minoranze e le donne più vulnerabili. In questo senso una transizione giusta presenta l’opportunità non solo per una maggiore integrazione, ma per promuovere la giustizia distributiva e l’uguaglianza.

Adottando un punto di vista più ampio, appare insufficiente l’approccio della green growth, dove l’attenzione si concentra esclusivamente sui sistemi energetici a zero o a basso contenuto di carbonio. Ciò implica sicuramente il passaggio positivo da industrie ed economie ad alta intensità di carbonio e basate sui combustibili fossili a un maggiore utilizzo di sistemi decentralizzati tramite l’impiego di energie rinnovabili, ma viene trascurata la necessità di trasformare i modelli di business indirizzandoli verso una creazione di valore sostenibile. Come fa notare l’economista britannica Kate Raworth, le ideologie della crescita verde sono spesso legate ai valori neoliberisti e alle norme patriarcali che hanno dato vita agli attuali sistemi di potere diseguali e insostenibili tra i gruppi sociali e le nazioni.

Leggi anche: Cos’è l’American Climate Corps, la risposta al gap di competenze nella crisi climatica

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