La festa del primo maggio non poteva non essere il momento migliore per iniziare la cinque giorni di Congresso dell’Alleanza Internazionale dei Waste Pickers. Dall’1 al 5 maggio, a Buenos Aires, le delegazioni di tutti i continenti si sono incontrate per eleggere il consiglio esecutivo e le principali cariche dell’organizzazione.
Come dice il nome stesso, i/le waste pickers sono raccoglitori e raccoglitrici informali di rifiuti, un’attività che nasce in contesti dove condizioni socio-economiche di estrema marginalità si uniscono alla mancanza di un sistema di gestione dei rifiuti istituzionalizzato e centralizzato. Con l’aumento incontrollato delle discariche metropolitane, migliaia e migliaia di persone invisibilizzate hanno cominciato a estrarre materiali, a recuperare, a selezionare, a rivalorizzare.
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Una nuova rilevanza politica
Certo, parliamo pur sempre di un lavoro precario, svolto in condizioni molto dure, che derivano dal carattere informale di questo mestiere. Ma la dignità e l’autonomia, la forza dei rapporti sociali prodotti da questo tipo di economia popolare, hanno favorito nel corso del tempo la costruzione di organizzazioni più o meno strutturate, che aggregano i/le singole waste pickers e consentono l’articolazione del lavoro in forme sempre più ampie e professionali, vendendo i rifiuti raccolti agli intermediari ed entrando a tutti gli effetti nella filiera come parte integrante e fondamentale della stessa.
In esperienze molto avanzate, come a Buenos Aires per esempio, i/le waste pickers hanno addirittura cominciato a gestire in forma cooperativa (dopo averlo occupato) un impianto di selezione del secco derivante dalla raccolta differenziata, fatta sempre da loro, con l’idea di de-imprenditorializzare la filiera.
Nel caso dell’Alleanza Internazionale dei Waste Pickers, il processo nasce a partire dall’incontro fra la ONG WieGo e diverse realtà di waste pickers già strutturate. Adesso ne fanno parte circa 90 organizzazioni, principalmente di America del Sud, Africa e Asia, che da qualche anno lavorano insieme per costruire una forza in grado di supportare le singole realtà locali, e allo stesso tempo influenzare le politiche internazionali in materia di gestione dei rifiuti, di ambiente e di lavoro, come ad esempio il Trattato sulla plastica.
Il congresso di Buenos Aires costituisce in questo senso una tappa storica, poiché per la prima volta i membri sono stati chiamati ad eleggere i propri organi e ad assumere una nuova rilevanza politica. Il congresso ha eletto il consiglio direttivo: Severino Francisco de Lima Junior (Brasile), come presidente, Sushila Sable (India) come vice-presidente, Maditlhare Koena (Sud Africa) come tesoriera. Sono state inoltre votate importanti risoluzioni sui criteri per definire le fonti di finanziamento, per introdurre la definizione di riuso nella costituzione dell’alleanza, e proseguire i lavori sul posizionamento da adottare in materia di responsabilità estesa del produttore.
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La presenza italiana
Dall’Italia ha aderito la Rete Nazionale degli Operatori dell’Usato, che raggruppa gli operatori/operatrici dell’usato a livello nazionale, e che ha al suo interno un comparto numeroso di lavoratori/lavoratrici informali del riuso, che raccolgono dalle case, e dalla strada tonnellate di cose usate, per poi rivenderli nei mercatini.
L’adesione italiana all’Alleanza dei Waste Pickers fa riflettere innanzitutto sull’oggetto stesso della raccolta, che negli altri paesi sono i rifiuti, mentre da noi sono le “cose usate”. In Italia infatti, il sistema di gestione dei rifiuti è regolamentato in maniera tale da non lasciare spazio alle economie informali. Una regolamentazione positiva su tanti piani, ma che si è sviluppata nel segno dell’industria, dell’economia di scala, e dell’impresa privata. Il settore dell’usato è invece in via di regolamentazione, ed esistono ancora spazi di manovra per costruire delle soluzioni che tutelino i soggetti più vulnerabili, riconoscendo la ricchezza di questo tipo di lavoro.
Il contesto comune è dunque un certo tipo di economia che alcune persone chiamano popolare, parzialmente sovrapponibile con l’economia sociale, e connotata dalla formazione di attività lavorative autonome e informali da parte di chi è esclusə dal mercato del lavoro ufficiale, con tutto ciò che ne consegue in termini di rapporti sociali, di dinamiche urbane positive o negative (dalla solidarietà alla corruzione).
In ogni caso ne emerge un vasto campo di possibilità che sorge dal basso, soprattutto nel caso di chi costruisce alleanze di senso.
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