Il 2022 che ci siamo messi alle spalle è stato l’anno in cui i prezzi dell’energia sono stati più elevati. Secondo l’analisi “Crisis year 2022 brought $134 billion in excess profit to the West’s five largest oil and gas companies”, pubblicata dalla ong Global Witness, le cinque maggiori multinazionali fossili del mondo – – BP, Chevron, Exxon, Shell e Total – hanno realizzato extraprofitti record pari a 134 miliardi di dollari in più rispetto al normale esercizio finanziario. In Italia da sola ENI ha realizzato circa 20 miliardi di euro di extraprofitti nei primi 9 mesi del 2022 – a giorni il cane a sei zampe presenterà il bilancio preconsuntivo relativo all’anno da poco trascorso. Perfino il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha definito negli scorsi mesi “immorali” i guadagni ottenuti dalle imprese fossili.
Eppure “le emissioni di metano sono rimaste ostinatamente elevate nel 2022 anche se l’aumento dei prezzi dell’energia ha reso le azioni per ridurle più economiche che mai”: a dirlo è l’ultimo report dell’Agenzia Internazionale dell’Energia. L’ultimo aggiornamento del Global Methane Tracker dell’IEA (International Energy Agency) – lo strumento con il quale l’Agenzia monitora le emissioni di metano – ha rilevato che l’industria energetica globale è stata responsabile di 135 milioni di tonnellate di metano rilasciate nell’atmosfera nel 2022, solo leggermente al di sotto dei livelli record registrati nel 2019. Oggi il settore energetico rappresenta circa il 40% delle emissioni totali di metano attribuibili alle attività umane, seconde solo all’agricoltura. Le misurazioni sono calcolate, spiega l’AIE, attingendo ai dati e alle letture fornite dai satelliti e dalle misurazioni a terra. Nel report di quest’anno per la prima volta vengono calcolate anche le opportunità e i costi derivanti dall’abbattimento delle emissioni di gas serra, consentendo anche una panoramica completa sulle opzioni a disposizione dei grandi inquinanti. A patto, ovviamente, di volerle portare avanti.
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Ridurre le emissioni del metano è possibile e necessario
Neppure la guerra in Ucraina, neppure la combinazione di prezzi alti e sicurezza delle forniture e incertezza economica sono state sufficienti a ridurre le emissioni di metano. L’auspicata riduzione dei consumi, conseguente alla riduzione delle forniture fossili da parte della Russia, è stata invece rovesciata in una corsa, soprattutto europea, a nuovi canali di approvvigionamento. Al posto del gas russo, come abbiamo sottolineato più volte, si continua a indicare come salvifica la strada del ricorso al Gas Naturale Liquefatto. Che rimane un combustibile fossile e, anzi, aumenta ulteriormente gli effetti della crisi climatica.
“Il metano – ricorda l’Agenzia Internazionale dell’Energia – è responsabile di circa il 30% dell’aumento delle temperature globali dalla rivoluzione industriale. Si dissipa più velocemente dell’anidride carbonica, ma è un gas serra molto più potente durante la sua breve durata. La riduzione delle emissioni di metano è uno dei modi più efficaci per limitare il riscaldamento globale e migliorare la qualità dell’aria a breve termine. Il rapporto di quest’anno include anche le emissioni di metano dalle miniere di carbone e le misure per dimezzarle. Le sole emissioni di metano da petrolio e gas potrebbero essere ridotte del 75% con le tecnologie esistenti, evidenziando una mancanza di azione da parte dell’industria su un problema che spesso è molto economico da affrontare”.
Tra i dati contenuti nel report dell’IEA ce n’è uno che risalta particolarmente: secondo le stime dell’edizione 2023 del Global Methane Tracker sarebbe bastato meno del 3% degli extraprofitti ottenuti dalle compagnie petrolifere e del gas ottenuti nel 2022 per realizzare gli investimenti nelle tecnologie necessarie a ottenere l’auspicata riduzione delle emissioni.
“Il nostro nuovo report mostra che sono stati compiuti alcuni progressi, ma che le emissioni sono ancora troppo elevate e non diminuiscono abbastanza velocemente, soprattutto perché i tagli al metano sono tra le opzioni più economiche per limitare il riscaldamento globale a breve termine. Non ci sono scuse”, ha affermato Fatih Birol, direttore esecutivo dell’IEA. “L’esplosione del gasdotto Nord Stream lo scorso anno ha rilasciato un’enorme quantità di metano nell’atmosfera. Ma le normali operazioni di petrolio e gas in tutto il mondo rilasciano ogni giorno la stessa quantità di metano dell’esplosione del Nord Stream”.
Il flaring e le dispersioni di metano in Italia
Una delle pratiche più dannose a livello ambientale realizzata dalle compagnie fossili è quella del gas flaring: nelle fasi di perforazione e di lavorazione del greggio capita che si possano trovare riserve di gas “in eccesso” o “inutili” che vengono bruciate attraverso le cosiddette fiaccole. Una pratica pesantemente condannata e deleteria negli anni, ridotta negli anni ma mai fermata del tutto, il cui arresto invece viene indicato dall’IEA come la misura più incisiva che le aziende devono adottare per contenere le emissioni. Soltanto nel 2022 sono stati rilevati più di 500 eventi di flaring.
“Circa 260 miliardi di metri cubi di metano vengono attualmente dispersi nell’atmosfera ogni anno a causa delle operazioni di petrolio e gas – si legge nel report dell’Agenzia Internazionale dell’Energia – Tre quarti di questo potrebbero essere conservati e immessi sul mercato utilizzando politiche e tecnologie collaudate. Il metano catturato ammonterebbe a più delle importazioni totali annuali di gas dalla Russia dell’Unione Europea prima dell’invasione dell’Ucraina”.
Il flaring e più in generale le dispersioni di metano costituiscono un fenomeno ancora sottovalutato. Ne è prova in questo senso proprio l’Italia. Ad aprile 2022 un’inchiesta di Report aveva svelato le fughe di metano negli impianti di produzione, trattamento e stoccaggio di idrocarburi. Grazie al monitoraggio di James Turitto, della ong americana Clean Air Task Force, effettuato con una termocamera professionale, su 46 impianti visitati era stato accertato che ben 35 rilasciavano metano in atmosfera. Nonostante l’eco mediatica, una recente e simile iniziativa promossa da Legambiente, intitolata “C’è puzza di gas”, ha accertato ulteriori perdite di gas in Sicilia, Basilicata e Campania. Tra i casi più preoccupanti, segnala la storica associazione ambientalista, c’è quello del gasdotto Greenstream a Gela, vale a dire il gasdotto che dalla Libia porta il gas in Sicilia e sul quale recentemente il governo Meloni ed ENI hanno sancito a fine gennaio un accordo con quel che resta delle istituzioni nordafricane per aumentare le forniture. Non proprio un buon segnale.
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Le soluzioni per ridurre le emissioni di metano
Il report dell’AIE di quest’anno non si limita a denunciare l’esistente ma fornisce “una nuova tabella di marcia e un kit di strumenti normativi per guidare le azioni dei responsabili politici e delle aziende che cercano di ridurre le emissioni di metano”, ricordando inoltre che le pubblicazioni su questi temi sono comunque numerose. Inoltre viene segnalata l’iniziativa del Global Methane Pledge: lanciato nel novembre 2021 alla Cop26 di Glasgow, l’accordo ha messo insieme 150 Stati che “si sono impegnati collettivamente a ridurre le emissioni di metano dalle attività umane del 30% entro il 2030”. Ora però, a distanza di poco meno di un anno e mezzo da quella firma, serve “formulare strategie e misure pragmatiche per ridurre le proprie emissioni e impegnarsi con i Paesi che non hanno ancora aderito all’impegno”.
Insomma: le soluzioni per ridurre le emissioni di metano ci sono, ora serve attuarle. A poco serve ricordare che le responsabilità sono condivise – si pensi ad esempio alle emissioni derivanti dal settore agricolo, che comunque sono enormi – perché l’urgenza della crisi climatica non consente più distrazioni e greenwashing. Ciascuno deve fare la propria parte, a partire proprio dalle aziende fossili che più di tutte hanno contribuito e contribuiscono al disastro attuale. Senza dimenticare il ruolo fondamentale dei singoli Stati.
“È necessario un cambiamento immediato e significativo del ritmo e della portata dell’azione del metano per ottenere riduzioni coerenti con gli obiettivi climatici internazionali – si legge ancora nel report dell’Agenzia Internazionale dell’Energia – Sebbene gli sforzi del settore possano e debbano svolgere un ruolo importante, la politica e la regolamentazione del governo saranno fondamentali per rimuovere o mitigare gli ostacoli che impediscono alle aziende di iniziare e andare oltre. L’abbattimento del metano deve affrontare una serie di sfide, tra cui lacune informative, infrastrutture mancanti e barriere economiche. I governi possono affrontare queste barriere con strumenti politici e normativi. Se le informazioni costituiscono un ostacolo, le politiche possono includere misure sul monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni o iniziative per incoraggiare la condivisione delle conoscenze e le migliori pratiche. Per quanto riguarda le infrastrutture, i governi potrebbero introdurre requisiti nelle fasi di pianificazione dei progetti o investire direttamente nella costruzione di nuove infrastrutture. I governi possono anche essere in grado di valutare le esternalità ambientali, creare incentivi finanziari per la cattura e l’uso del metano o per le spese nelle tecnologie di abbattimento e rimuovere gli ostacoli agli investimenti”.
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