Qualche giorno fa l’Associazione nazionale degli operatori dell’usato, Rete ONU, ha organizzato un incontro virtuale dedicato all’EPR per i rifiuti tessili (“Abiti usati e responsabilità estesa del produttore: il punto di vista della filiera”). Ne parliamo con Karina Bolin, presidente di Humana People to People Italia Onlus e rappresentante del Comparto indumenti usati di Rete ONU.
Dottoressa Bolin, sappiamo che il ministero della Transizione ecologica è al lavoro per mettere a punto le norme che regoleranno la responsabilità estesa del produttore (EPR-extended producer responsibility) per i prodotti tessili. Gli operatori dell’usato, che Rete ONU riunisce, sono già stati consultati?
Non ancora.
Che contributo potreste dare?
Innanzitutto dobbiamo ricordare che l’obiettivo dei sistemi di responsabilità estesa del produttore, nel caso dei prodotti tessili, è ridurre l’impatto negativo che il settore tessile-moda ha sull’ambiente, e rendere il produttore responsabile a livello economico ed organizzativo sul fine vita di ogni bene prodotto. La gerarchia europea dei rifiuti privilegia prevenzione, preparazione per il riutilizzo, riciclo e alla fine recupero energetico e in fondo in fondo smaltimento. Se l’obiettivo è ridurre l’impatto ambientale e curare il fine vita dei capi, ovviamente il post consumo, la parte della filiera di cui Rete ONU raccoglie imprese, è fondamentale. Non è una questione che può essere gestita solo dal produttore, la cui responsabilità ed esperienza oggi finiscono con la vendita dei beni nei negozi. Dopo la vendita c’è tutta l’altra metà della filiera tessile, appunto quella post consumo, con grandissime competenze, strutture, reti, sistema di distribuzione e selezione, impianti: che sono poi quelli che possono effettivamente fare l’economia circolare. Insomma senza post consumo, riutilizzo e riciclo non c’è né economia circolare né riduzione dell’impatto negativo sull’ambiente.
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In Europa c’è già un esempio di EPR per i tessili, quello francese di Refashion. Cosa possiamo imparare da quell’esperienza?
Il sistema EPR sviluppato in Francia più di 10 anni fa è un’esperienza importante perché non è gestito dai produttori ma da un ente autonomo. Scelta positiva perché rende gli obiettivi più chiari e non confonde gli interessi. Per questo è importante prendere spunto dall’esperienza francese in particolare sulla necessità di trasparenza nella gestione dei fondi e sulla priorità di creare una vera economia circolare
E cosa invece potremmo migliorare di quel modello?
In Francia non sono stati coinvolti sufficientemente i consumatori e per questo non su è avuto un gran successo sulle quantità raccolte, infatti la Francia oggi non raccoglie più di altri Paesi. Questo è certamente un aspetto molto negativo.
Con la Strategia dell’UE per prodotti tessili sostenibili e circolari, la Commissione ha indicato anche la via della responsabilità estesa del produttore per alleggerire gli impatti della filiera. Ma i dettagli e le norme devono ancora arrivare e poi essere recepite. Ha senso il balzo in avanti dell’Italia?
Se un Paese come l’Italia spinge per definire ora il decreto attuativo sull’EPR, prima che arrivino indicazioni dell’Europa, rischiamo di avere una legge che non è in armonia con il resto dell’UE. Una legge sull’EPR non può essere nazionale senza guardare al resto d’Europa, perché gran parte produttori operano in tutta la comunità europea. Differenze con gli altri Stati renderebbero la gestione impossibile.
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Quindi secondo voi dovremmo aspettare segnali dall’Europa?
Assolutamente sì.
Questo nonostante l’Italia abbia anticipato al primo gennaio di quest’anno l’obbligo di raccolta differenziata del tessile post consumo? Le due cose non dovrebbero andare in parallelo?
Secondo me sono due cose collegate ma che possono anche essere gestire singolarmente. La raccolta del tessile in Italia esiste già da 20 anni e circa l’80% dei comuni offre già il servizio di raccolta differenziata. Oggi i Comuni che ancora non hanno questo servizio stanno lavorando per implementarlo, ma l’obbligo non porta con sé né penali né sanzioni per il Comune che non sviluppa il servizio. Quindi secondo me rimanere senza un EPR non è un problema. Certo l’EPR, quando arriverà permetterà di aumentare anche la raccolta.
Ha notizie di quei Comuni che ancora non fanno la differenziata per gli abiti usati?
Non ho approfondito quali Comuni non hanno ancora il servizio, ma sulla base della mia esperienza si tratta di Comuni periferici, con poca popolazione. Gran parte dei Comuni principali offre già il servizio.
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Dottoressa Bolin, entriamo nel meccanismo della responsabilità dei produttori. Un primo elemento essenziale è la definizione del perimetro dei beni che saranno oggetto dell’EPR. Secondo voi dovranno essere solo prodotti tessili o anche calzature e accessori?
La cosa più importante è che il flusso gestito con l’EPR sia unico: non ha senso mescolare nello stesso EPR prodotti diversi. Ma tutto quello che è abbigliamento, calzature e accessori ha oggi un flusso molto simile: negli ultimi 30 anni si è sviluppato un settore che tratta questi flussi come un flusso unico. E anche nelle abitudini del cittadino, abbigliamento scarpe a accessori d’abbigliamento (cinture, borse, …) sono percepiti come un flusso unico. Per questo è opportuno immaginare un unico EPR. Importante è non introdurre beni estranei, chessò, i giocattoli.
E gli scarti della produzione tessile, secondo lei, dovrebbero essere inclusi o no?
Parliamo di un flusso a sé stante, abbastanza diverso dal post consumo, con caratteristiche diverse: la responsabilità è già chiarissima, e sta nella fabbrica di chi produce, quindi questo flusso deve prendere sua strada che ad un certo punto si trova unita con il riciclo dei beni post consumo. Ma prima di allora non ha senso mescolare questi due flussi. Vedo solo complicazioni nell’unire i due flussi.
E le piattaforme di vendita online devono essere incluse tra i responsabili del fine vita dei prodotti tessili?
Assolutamente sì. La definizione europea di produttore fa riferimento non a chi produce il capo ma a chi lo mette sul mercato, in tutti i canali, sia fisico che digitale. Il diverso canale di vendita non cambia la sostanza. Piuttosto, comprendere anche le piattaforme online è una sfida: è infatti più complesso includerle in un sistema EPR e fare controlli.
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In vista dell’arrivo di un sistema EPR, in Italia fioriscono i consorzi per gestire il fine vita dei tessili. Federdistribuzione ha dato vita al proprio consorzio (Ecotessili), idem Sistema moda Italia (RETEX.GREEN) e Cobat (Cobat TESSILE). Manca il consorzio degli operatori dell’usato…
Fare un consorzio solo del post consumo senza i produttori…, ci si potrebbe pensare. Ma in questa fase la cosa più importante è la collaborazione di tutti i player settore, per avere una visione completa e non frazionata. Visto che il decreto non è arrivato, l’importante è svilupparlo in modo che includa tutti i soggetti coinvolti nella filiera per poter ottenere l’effetto ambientale desiderato. Sarebbe un errore un decreto attuativo troppo legato agli interessi dei produttori. Da questo punto di vista il modello francese è positivo, perché quando è stato concepito non è stato in funzione dei produttori ma della società. Questo è l’obiettivo di un sistema di responsabilità estesa del produttore, questo è il ruolo del ministero della Transizione ecologica e del governo: fare gli interessi di tutti e ascoltare tutte le voci. Questa è la cosa più importante in questa fase di definizione del decreto: la collaborazione, poi essere chiari su obiettivi e non confondere gli interessi.
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