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sabato, Dicembre 14, 2024

Per l’Epr sul tessile bisogna coinvolgere di più i consorzi esistenti

Stride una apparente mancanza di maggiore apertura in questa fase di definizione e disegno del sistema a quelle realtà che negli ultimi 20 anni hanno contribuito alla nascita di sistemi multi-consortili su filiere di rifiuto diverse

Federico Magalini
Federico Magalini
Da 20 anni svolge attività di ricerca e consulenza in merito alla gestione di diverse tipologie di rifiuti; è autore di numerosi report e pubblicazioni sul tema e ha lavorato su numerosi progetti con agenzie delle Nazioni Unite, Commissione Europea e aziende multinazionali. Coordina attualmente le attività del sustainability team di dss+ per Italia e Regno Unito e svolge consulenza per diversi consorzi in Italia e all’estero

L’Italia, così come la maggior parte dei paesi Europei, si sta apprestando a implementare un sistema di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) per i rifiuti tessili.

L’utilizzo dell’EPR è ormai strumento strategico per promuovere la riduzione della produzione di rifiuto, sostenere il raggiungimento dei sempre più ambiziosi obiettivi di raccolta, riciclo e recupero, nonché ridurre l’impatto ambientale di un prodotto.

Negli ultimi 20 anni, la crescente ambizione da parte del legislatore europeo e di diversi governi Nazionali hanno portato all’adozione del principio di EPR per molti flussi di rifiuti in Europa.

Diverse configurazioni dei sistemi EPR

Seppure con diverse configurazioni organizzative in merito al tipo di responsabilità (solo finanziaria o anche organizzativa), all’approccio alle operations, alla natura della concorrenza, alla copertura dei costi o alla trasparenza e sorveglianza implementate, tali sistemi rappresentano ad oggi un nuovo paradigma nella gestione dei rifiuti, talvolta spartiacque tra due diverse filosofie ed approcci.

Il primo, importante e fondamentale cambiamento è avvenuto con il recepimento, nel 2005, della Direttiva RAEE che ha visto nascere – per la prima volta in Italia – un sistema multi-consortile in cui consorzi fondati e gestiti dai produttori, operavano in modo concorrenziale, coordinati da un organismo di vigilanza auto-regolamentato, il Centro di Coordinamento. Rispetto alle esperienze precedenti – quali ad esempio il sistema Cobat antecedente il recepimento della Direttiva Batterie del 2008, o CONAI – in cui la responsabilità estesa del produttore trovava attuazione attraverso una mera responsabilità finanziaria, a partire dal 2005 in Italia abbiamo assistito alla nascita progressiva di sistemi EPR fondati su un nuovo modello organizzativo per un numero crescente di flussi di rifiuti che oggi annovera RAEE, batterie e pile portatili, pannelli fotovoltaici, pneumatici fuori uso e, in alcuni casi, l’introduzione di sistemi autonomi in alcune filiere del mondo del packaging.

Le difficoltà e le sfide legate all’introduzione di tali modelli organizzativi su un numero crescente di flussi di rifiuto non possono che fornire validi spunti di riflessione per una lettura critica delle attuali dinamiche legate allo sviluppo di un sistema EPR per la filiera del tessile.

Leggi anche: Karina Bolin (Rete ONU): Sull’EPR tessili l’Italia aspetti l’Europa

Il caso EPR tessili in Francia

È bene ricordare come ad oggi l’unico paese Europeo che può vantare un’esperienza pluridecennale in tale settore sia la Francia. A partire dal 2007 esiste infatti un sistema EPR per i produttori di articoli tessili, compresi abbigliamento, calzature e biancheria; il sistema ha visto crescere il tasso di raccolta a partire dalle circa 100.000 tonnellate gestite nel 2009 alle 250.000 del 2019 con un tasso di riutilizzo di quasi il 60%. Nel 2019, a fronte di un immesso sul mercato pari a 648.000 tonnellate la raccolta si è quindi attestata a circa il 38%.

Tra le tipologie di prodotti tessili raccolti, il 66% era costituito da abbigliamento, il 19% da tessili per la casa e il 15% calzature. Per quanto riguarda le operazioni di recupero e trattamento, il 58% del totale dei rifiuti raccolti è stato riutilizzato, il 33,5% riciclato, l’8% destinato al recupero energetico mentre uno 0,5% è stato smaltito.

Il ruolo del riuso nei rifiuti tessili

L’importante ruolo che il riutilizzo gioca rispetto al riciclo è forse uno degli aspetti più dirompenti o caratterizzanti la filiera dei rifiuti tessili rispetto alle altre filiere dei rifiuti ove la maggior parte del materiale gestito viene normalmente avviato a recupero di materia. Nel caso dei rifiuti tessili invece esiste una diversa configurazione della filiera con specializzazioni molto diverse ed opzioni di trattamento molto diverse tra loro.

In Italia, in base ai dati UNIRAU (Unione Imprese Raccolta Riuso e Riciclo Abbigliamento Usato), le percentuali si attestano al 60% per il riutilizzo, 30% per il riciclo e 10% per lo smaltimento, anche se tali percentuali sono probabilmente largamente influenzate dalla tipologia di raccolta e dalla prevalenza, nelle quantità gestite, di materiale più pregiato, essendo ad oggi tale attività svolta esclusivamente in logiche di mercato.

Se consideriamo immesso sul mercato e rifiuti generati e/o raccolti su altre filiere EPR – quali ad esempio le apparecchiature elettriche ed elettroniche o le pile portatili – possiamo notare come i rapporti tra i due Paesi (Francia e Italia) siano simili; è lecito quindi aspettarsi che anche in Italia i volumi in gioco siano superiori alle 500.000 tonnellate di immesso sul mercato e che un sistema a regime si troverà a gestire – a parità di ambito di applicazione – circa 250.000 tonnellate di rifiuto. Ad oggi, dati ufficiali ISPRA alla mano, possiamo notare come i quantitativi gestiti si attestino a poco meno della metà di tale valore (la raccolta è oscillata tra le 130.000 e le 157.000 tonnellate tra il 2016 ed il 2020).

Leggi anche: Rifiuti tessili: aspettando la responsabilità estesa del produttore, arrivano i consorzi

Il network di raccolta

L’attuale sistema poggia sostanzialmente sulla raccolta effettuata presso i cassonetti stradali messi a disposizione dai Comuni che affidano poi la valorizzazione di tali rifiuti – principalmente legata al riutilizzo del materiale che viene selezionato e poi rivenduto attraverso grossisti o negozi dell’usato in Italia o all’estero – a soggetti autorizzati, solitamente attraverso gara pubblica. Tale approccio non risulta dissimile da quanto esistente in altre filiere di rifiuti prima dell’introduzione di sistemi EPR: la gestione dei rifiuti raccolti dai Comuni (o dai soggetti privati che gestiscono la raccolta) affidata successivamente per il trattamento a soggetti terzi autorizzati, secondo logiche di mercato, senza particolare controllo della filiera a valle.

Avviare un sistema EPR gestito dai produttori presuppone invece la creazione di un network di raccolta che solitamente comprende non solo le strutture messe a disposizione dei Comuni, ma anche i soggetti della distribuzione ove, talvolta, risulta più facile per i consumatori disfarsi del rifiuto. A differenza di quanto espresso da UNIRAU nel proprio position paper, che vede nella partecipazione della distribuzione un rischio di “sottrarre al circuito ufficiale delle raccolte differenziate, flussi a maggior valore di mercato, e di determinare quindi un impoverimento delle raccolte comunali è fondamentale ribadire l’importanza di un network di raccolta capillare. L’esperienza francese insegna che la capillarità del sistema di raccolta è un driver fondamentale per l’aumento dei rifiuti gestiti: esistono ad oggi oltre 46.000 punti di raccolta pari a circa un punto di raccolta ogni 1.440 abitanti; la rete include sia punti di raccolta autonomi che punti all’interno di negozi e associazioni.

Come già il recepimento della Direttiva RAEE ha dimostrato, è opportuno che ai distributori vengano concesse semplificazioni – come del resto ribadito da Sistema Moda Italia nel proprio documento dedicato alla responsabilità estesa del produttore – in merito al deposito temporaneo dei rifiuti raccolti, e all’eventuale trasporto presso luoghi di raggruppamento o accesso alle strutture comunali. Tali semplificazioni o accordi di programma con le associazioni di categoria interessate, devono tuttavia essere sincroni rispetto all’entrata in vigore del sistema e non subire gestazioni di diversi anni, come si è assistito in passato; tali ritardi hanno infatti un impatto diretto sul tasso di raccolta e sulla capacità di fornire ai consumatori un network capillare già nel momento in cui il sistema EPR entra in vigore.

Il perimetro dei produttori

Un altro degli aspetti fondanti in qualunque sistema EPR è una chiara e univoca definizione dei soggetti obbligati (cioè Produttori) e dell’ambito di applicazione quali prodotti siano assoggettati agli obblighi previsti dalla normativa).

Per quanto riguarda la definizione di produttore è condivisibile la proposta effettuata da Sistema Moda Italia (SMI, rappresentante l’industria Tessile e Moda in seno a Confindustria), che propone di dare rilievo alla ragione sociale/marchio di chi immette al consumo i prodotti. Così come già accade per altre filiere, la definizione di produttore dovrebbe comprendere non solo i fabbricanti ma anche gli importatori ed i rivenditori stabiliti in Italia, così come le persone fisiche e giuridiche stabilite all’estero che utilizzano vendite a distanza. A tale proposito è importante sottolineare l’importanza dell’istituto della rappresentanza autorizzata per tutti i soggetti non aventi sede legale in Italia.

Particolare rilevanza viene data da SMI alla necessaria regolamentazione delle vendite a distanza – che rappresentano un canale di crescente importanza – anche attraverso forme di registrazione e reporting semplificati, alla stregua di quanto importanti operatori del settore stanno già testando su altre filiere.

Sebbene SMI abbia aperto alla possibilità di adottare un approccio con de minimis, escludendo quindi soggetti con quantità immesse al consumo inferiori ad una soglia prestabilita, è importante notare come la Commissione Europea si sia più volte espressa al fine di superare tale istituto; la riduzione degli oneri amministrativi connessi con la compliance – in particolare a tutela delle piccole e medie imprese – può e deve avvenire attraverso una razionalizzazione degli obblighi e non attraverso una esclusione che di fatto crea asimmetrie tra soggetti obbligati e non all’interno dello stesso settore.

Leggi anche: I rifiuti tessili in Italia, spiegati coi numeri

Il perimetro dei prodotti

In merito all’ambito di applicazione è invece importante sottolineare come la chiarezza sia uno dei fattori determinanti al fine di garantire omogeneità di applicazione dei requisiti. Se da un lato la posizione espressa da UNIRAU pone l’accento sull’impatto che cambiamenti nelle tipologie di rifiuti annoverati nella filiera del tessile possono avere “sull’equilibrio economico della filiera”, è importante ricordare come uno dei capisaldi dell’EPR è quello di garantire la copertura economica dei costi relativi alla raccolta e trattamento a prescindere dal valore intrinseco del rifiuto. L’esistenza di logiche e forze di mercato che oggi rendono redditizia la raccolta, selezione e separazione di diverse classi merceologiche di rifiuto e la loro successiva valorizzazione a valle, non deve distogliere dal fatto che (i) non tutti i rifiuti possono e debbano avere una valorizzazione positiva per essere gestiti in ottica EPR, e (ii) che laddove le raccolte siano gestite in modo corretto e rendicontate con trasparenza non è necessario l’intervento dei produttori.

Appare condivisibile ed in linea con l’esperienza francese la posizione espressa da SMI in merito al campo di applicazione che comprenda i prodotti tessili finiti (abbigliamento, tessili per la casa e per hospitality, calzature e articoli di pelletteria, altri prodotti tessili destinati ad uso domestico o professionale) e, solo per la parte destinata direttamente alla vendita a utenti finali, i prodotti tessili semilavorati (filati, tessuti, pelli e pelli da pellicceria). Tale approccio risentirà purtroppo, in assenza di uno stretto coordinamento tra i diversi Stati Membri, a differenze nel campo di applicazione tra diversi Paesi (come peraltro ampiamente osservato nel caso delle Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche – nonostante iniziative quali The European WEEE Registers Network – EWRN) che impatterà soprattutto su quei soggetti che vendono su scala sovra-nazionale.

Sebbene SMI raccomandi la creazione di una serie di sotto-voci nel momento in cui vengono definite le categorie per le dichiarazioni annuali dell’immesso sul mercato (proponendo addirittura una corrispondenza con i codici doganali) e una suddivisione per tipologia di fibra (monofibra, multifibra o composito), facendo leva sulla potenziale differenza di costo a livello di trattamento dei rifiuti, è importante ricordare come tale approccio sia foriero di potenziali problemi:

  • È importante limitare il numero di classi merceologiche ed allinearlo alle eventuali necessità di reporting alla Commissione Europea/Eurostat. L’esperienza dei RAEE ha dimostrato come rendicontare immesso sul mercato su oltre 120 classi merceologiche sia ridondante rispetto alla necessità di reporting secondo 6 flussi.
  • È fondamentale allineare quanto più possibile la rendicontazione al futuro Registro Nazionale con il reporting ai Sistemi Collettivi che è tendenzialmente legato alla ripartizione dei costi, legata alle operations. Anche in questo caso l’esperienza dei RAEE ha dimostrato negli anni come listini iniziali comprendenti decine di voci e categorie diverse sono stati allineati a prezzi espressi in euro per tonnellata di prodotto immesso sul mercato, suddivisi nei cinque flussi di rifiuti gestiti dagli impianti di trattamento. Questo, anche in ottica di un sistema basato sul meccanismo “pay-as-you-go” – peraltro supportato da SMI – garantisce la massima coerenza tra ripartizione dei costi tra i diversi prodotti evitando di dover ripartire artificialmente tra diversi prodotti appartenenti alla stessa tipologia di flusso (e quindi con lo stesso costo) i costi operativi.
  • L’utilizzo dei codici doganali per definire le diverse categorie si scontra con la necessità di semplificare e mantenere snella la classificazione ma soprattutto non tiene conto del fatto che tali classificazioni vengono riviste ed aggiornate – con accorpamento, scorporo o creazione di nuovi codici – seguendo logiche diverse rispetto alla gestione dei rifiuti. Inoltre, come l’esperienza dei RAEE ha dimostrato, non necessariamente esistono codici univoci per tutti i prodotti o, in alcuni casi, il codice può essere ampio e includere anche prodotti che possono essere esclusi dall’ambito di applicazione.
  • Le statistiche basate sulla nomenclatura combinata possono fornire indicazioni in merito agli ordini di grandezza ma non necessariamente rispecchiare le dichiarazioni delle singole aziende o settori merceologiche. Possono tuttavia rappresentare un valido strumento, utilizzato dall’autorità competente che ha accesso alle dichiarazioni delle singole aziende, per effettuare controlli incrociati rispetto al Registro Nazionale per identificare eventuali fenomeni di free-riding.

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La mancata apertura

Il dibattito e le posizioni espresse da due dei principali protagonisti del dibattito in corso (UNIRAU e SMI) è senza dubbio utile nella fase di definizione delle regole e set-up del sistema anche se stride una apparente mancanza di maggiore apertura in questa fase di definizione e disegno del sistema a quelle realtà che negli ultimi 20 anni hanno contribuito alla nascita di sistemi multi-consortili su filiere di rifiuto diverse. L’esperienza degli ultimi vent’anni ha evidenziato come esista una naturale predisposizione dei consorzi nati per gestire i RAEE, alla diversificazione su filiere diverse (batterie e pile portatili, pannelli fotovoltaici, pneumatici fuori uso,…) legata principalmente all’ottimizzazione nell’utilizzo delle risorse ma anche all’estensione di strumenti e modelli organizzativi ormai testati. Si pensi ad esempio a strumenti quali RepTool, messi a punto su scala Europea per la rendicontazione delle performance della filiera a valle del trattamento, che permettono di seguire i flussi di materiale ben oltre l’impianto che effettua il primo trattamento; o alla possibilità di mutuare esperienze ed infrastrutture informatiche che possano gestire i dati e il flusso informativo necessario alla gestione di una mole di dati ed informazioni che, negli anni, sono cresciuti per rispondere a esigenze di reporting sempre maggiori.

Ogni flusso di rifiuto ha peculiarità specifiche e le dinamiche dei diversi settori industriali sono senza dubbio diverse, ma un maggiore coinvolgimento di queste realtà nell’attuale processo di stesura del Decreto potrebbe senza dubbio giovare.

© Riproduzione riservata

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