“Il primo gennaio 2022 i nuovi imballaggi dovranno avere un sistema di etichettatura obbligatorio per legge. L’etichettatura prevede che ci siano delle informazioni minime che devono essere riportate sugli imballaggi. Nel caso, ad esempio, dei prodotti da dispensa, queste indicazioni sono di due tipi: una riguarda il materiale di cui sono fatti i componenti che costituiscono gli imballaggi e l’altra riguarda “il dove lo butto”. Gli altri simboli che oggi vediamo negli imballaggi non saranno sostituiti o aboliti, ma dovremmo aver definito un linguaggio comune al quale le aziende potranno aggiungere altre informazioni”. A raccontare a EconomiaCircolare.com come l’Italia si stia preparando all’obbligo di etichettatura, è Simona Fontana, responsabile dell’Area prevenzione e del Centro studi Conai, il consorzio nazionale imballaggi, che sta monitorando e sostenendo le imprese affinché arrivino pronte alla scadenza del primo gennaio 2022. A sei mesi dall’entrata in vigore dei nuovi obblighi, il Conai ci aiuta a capire lo stato dell’arte e se saremo davvero pronti a un sistema che eviti le storture evidenziate nel dossier di EconomiaCircolare.com e Junker “Riciclabilità degli imballaggi: occhio all’etichetta”.
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Dottoressa Fontana, come cambieranno le etichette dei nostri prodotti?
Avremo delle informazioni standard e quindi un’indicazione che come Conai riteniamo utilissima per suggerire una corretta raccolta e “il dove lo butto”, quindi per fare una differenziata di qualità. Dall’altra parte però sicuramente ci sarà un proliferare di altre informazioni sulle caratteristiche dell’imballaggio, che sono i consumatori stessi a richiedere. Dunque alla domanda se risolveremo il problema della giungla dei simboli, la risposta è: sicuramente sì. Avremo un linguaggio comune, come è avvenuto con le tabelle nutrizionali contenute sugli imballaggi.
Notiamo che spesso le aziende scrivono “rivolgiti al tuo Comune”. Non è una prassi scorretta nei confronti del consumatore?
In realtà l’invito al consumatore a verificare presso il proprio Comune è un invito corretto. Da solo non ha senso e siamo d’accordo, ma abbinato all’informazione sul tipo di materiale di cui è fatto e se va in raccolta differenziata oppure no, l’aggiunta “verifica le disposizioni del tuo Comune” è sensata, perché siamo in una situazione in cui abbiamo più di ottomila Comuni e quasi altrettanti sistemi di raccolta differenti (porta a porta, stradale, mista o i contenitori dei rifiuti avere colori diversi). Quindi quella indicazione rappresenta un alert per il consumatore, che lo invita a verificare come viene gestita la raccolta differenziata nel proprio Comune, come vengono gestiti i rifiuti. In Italia non abbiamo un sistema di raccolta uguale per tutti i Comuni ed è normale che sia così, perché bisogna anche considerare quali sono i modelli di raccolta, che variano in base agli impianti che dovranno gestire quelle raccolte differenziate. Ci sono tanti fattori che vanno ad impattare sulle scelte dei Comuni e quindi sulla raccolta della spazzatura.
E in Europa? Rischiamo di avere sullo stesso prodotto 27 etichette diverse?
Questa è la domanda che ci arriva più frequentemente da parte delle aziende, perché vogliono capire verso dove si sta andando. L’Italia, di fatto, è uno dei primi Paesi ad aver introdotto l’etichettatura obbligatoria, nonostante questo riferimento sia contenuto nelle direttive comunitarie. È forte la richiesta che ci sia un’armonizzazione a livello europeo almeno delle informazioni standard, che ci sia almeno un minimo comune denominatore che renda possibile fornire le informazioni ai consumatori, ma che non preveda 27 modalità diverse di etichetta. Già oggi, quando la normativa prevede il riconoscimento del materiale, il riferimento è a un’altra decisione europea che indica come devono essere indicati i diversi materiali, abbinando una codifica ad un numero. Questa classificazione è uguale a livello europeo, quindi ad esempio è uno degli elementi che possono rappresentare una base per tutti i Paesi. Detto questo però siamo tutti consapevoli che non sono “parlanti” per un utente medio.
Quindi come si supera questo scoglio?
L’Unione Europea ha un ruolo importante per trovare un modello di armonizzazione di queste etichettature, dopo di che sul come dovranno essere riportate queste informazioni, dovranno essere declinate da Paese a Paese. L’interpretazione della nota del 17 maggio da parte del Ministero della Transizione ecologica ha specificato che sugli imballaggi multilingue, una delle possibili soluzioni potrebbe essere il ricorso agli strumenti digitali, come per esempio il QR code, che aprono un’opportunità in più soprattutto per quegli imballaggi che sono destinati a diversi Paesi.
Le Linee Guida del Conai che ruolo stanno giocando?
In questi mesi stiamo ricevendo davvero tantissime richieste di supporto e segnalazioni da parte delle aziende proprio per la realizzazione di un’etichetta che sia coerente con le linee guida che di fatto rappresentano un’interpretazione del testo di legge. Il taglio delle nostre linee guida era proprio quello di dare uno strumento interpretativo alle imprese e da lì è nata tutta un’attività di supporto, anche più intensa di quella che ci aspettavamo, per aziende e associazioni perché di fatto le Linee Guida sono diventate un punto di riferimento. Formalmente non hanno valore di legge, però grazie alla prassi che si sta sviluppando anche attraverso il nostro lavoro di formazione – con webinar e seminari, ad esempio – sono diventate un punto di riferimento. C’è da dire che l’allora Ministero dell’Ambiente aveva avallato con una nota lo strumento delle Linee Guida.
Le aziende hanno difficoltà a confrontarsi con il Ministero su questo tema?
In questo momento Conai sta svolgendo un ruolo di riferimento principe sul tema degli imballaggi. Anche noi stiamo avendo delle interlocuzioni con il ministero, grazie al fatto che stiamo portando le richieste che arrivano da aziende e associazioni su questioni che risultano meno chiare. Tra queste il tema del digitale. Il Conai sta facendo da punto di raccolta e cassa di risonanza delle richieste di chiarimento da parte di associazioni e aziende.
Arriveremo pronti alla data dell’1 gennaio 2022?
L’obbligo è scattato nel settembre 2020 e poi per fortuna è slittato al primo gennaio 2022. Dico “per fortuna” perché era stato inserito senza prevedere un periodo transitorio e c’erano alcuni passaggi che ne rendevano impossibile l’applicazione. In questi mesi stiamo intensificando il supporto alle imprese per far sì che il sistema sia pronto a queste novità.
Sembra facile, ma poi quando si va nello specifico bisogna dare delle chiavi di lettura a questo obbligo. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma le aziende si stanno muovendo. Molte erano già pronte prima, perché l’etichettatura degli imballaggi non è nata dal nulla e il modello che stiamo portando all’interno delle linee guida nasce proprio da un’esperienza che ha ormai 15 anni di supporto, quando l’etichettatura degli imballaggi era ancora volontaria. Abbiamo una storia e non partiamo da zero.
Allora quali sono i prossimi passi che muoverà il Conai?
Siamo gli unici ad aver sviluppato delle linee guida, ad aver inserito nel nostro sito moltissime Faq per cercare argomenti chiave, e oltre a questo abbiamo da pochi giorni una check-list per portare le imprese a verificare se hanno fatto tutto quello che c’era da fare. Abbiamo linee guida in inglese, tedesco e in spagnolo, perché stanno arrivando richieste anche da realtà estere per verificare quello che sta succedendo in Italia.
Quindi si può dire che l’Italia una volta partita si candida a diventare un modello per l’Europa?
Ad oggi la normativa nazionale e l’approccio che si sta seguendo nell’etichettatura è sotto osservazione. Se l’Italia sarà in grado di dimostrare che la sua è una buona pratica, sicuramente c’è questa possibilità.
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