L’Unione europea è diventata pericolosamente dipendente dalle importazioni di plastica riciclata da nazioni extracomunitarie e questo sta avendo effetti negativi sul mercato interno della plastica seconda vita, perché ha provocato il crollo dei prezzi, squilibri nella concorrenza e rischia, perciò, di mettere in crisi le aziende europee che si occupano di riciclo. A denunciarlo, in un position paper pubblicato recentemente, è la Confederazione europea delle industrie del riciclo (EuRIC).
Con l’avvicinarsi dei target obbligatori della direttiva sulla plastica monouso, i produttori di bottiglie in PET si stanno preparando e cercano di aumentare l’utilizzo di contenuto riciclato. Il problema, sostiene Plastics Recyclers Europe, un’altra associazione di categoria, è che invece di utilizzare l’rPET prodotto in Europa i produttori stanno ricorrendo sempre più spesso a importazioni non trasparenti da Paesi fuori dai confini Ue. Secondo EuRIC, infatti, la maggior parte delle importazioni proviene da nazioni dove sono state adottate solo in parte o mancano del tutto politiche di circolarità e quindi i materiali non rispettano gli standard europei.
Le conseguenze negative sul mercato europeo
Tutti i polimeri riciclati sono stati colpiti da questa tendenza. Per citare un esempio, le importazioni di PET nell’Ue sarebbero aumentate del 20% tra il 2022 e il 2023, facendo diminuire la domanda di rPET e riducendo la produzione di rPET di circa il 10%. Non solo: l’ondata incontrollata di importazioni di plastica a prezzi stracciati, sia vergine che etichettata come riciclata, proveniente da nazioni dove il costo del lavoro è molto più basso, ha causato nel 2023 un crollo del 50% dei prezzi della plastica riciclata, con una tendenza che non sembra destinata a cambiare nel 2024.
Questa situazione danneggia le aziende europee che si occupano di riciclo su più fronti: sono meno competitive sul mercato perché subiscono una concorrenza sleale da parte di chi ha regole meno stringenti da seguire, il calo dei prezzi rende più difficile rientrare negli investimenti e se aumentano le importazioni diminuisce la domanda interna e dunque la produzione di plastica riciclata. “Le aziende europee oggi operano ben al di sotto della loro capacità produttiva, nonostante abbiano investito ingenti somme di denaro nella circolarità, e alcune sono state costrette a mettere in mobilità i lavoratori”, spiega Plastics Recyclers Europe.
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Come intervenire a livello di norme Ue
Secondo le associazioni della filiera della plastica riciclata “consentire ai rifiuti di plastica extra-Ue di contribuire agli obiettivi anche per gli imballaggi prodotti e riempiti nell’Ue, senza che vengano implementati meccanismi di controllo e verifica affidabili, avrebbe un impatto negativo su un mercato già ridotto nelle dimensioni e minacciato”, avverte Plastic Recyclers Europe. Per questo, aggiunge EuRIC, il Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio deve imporre “che gli obiettivi minimi di contenuto riciclato per gli imballaggi in plastica immessi sul mercato dell’Ue siano raggiunti utilizzando i rifiuti di imballaggio in plastica post-consumo raccolti nell’Ue”, proprio per scoraggiare le importazioni e rendere equa la concorrenza.
In realtà la previsione che per il contenuto minimo di riciclato conti solo plastica riciclata prodotta in Europa è presente fin dalla prima versione del regolamento presentato dalla Commissione europea ed è stata mantenuta dal Parlamento e dal Consiglio. I problemi sono emersi quando la direzione generale del Commercio si è posta il problema del libero scambio: limitare le importazioni garantirebbe, infatti, un vantaggio competitivo ai riciclatori europei e perciò la Commissione non ha ancora sottoscritto il testo di compromesso e si è riservata un supplemento di riflessione. Il timore delle associazioni di categoria, dunque, è una possibile marcia indietro.
“La mancanza del sostegno della Commissione europea al testo finale a causa della questione della plastica riciclata importata è preoccupante – ha dichiarato Lauriane Veillard di Zero Waste Europe – poiché è della massima importanza che i materiali riciclati siano della stessa qualità e soddisfino gli stessi requisiti ovunque siano prodotti, per proteggere i principi di circolarità nell’Ue”. Se per molti esperti di politica di Bruxelles i commissari alla fine decideranno di non rallentare il percorso di approvazione e accetteranno la versione così com’è, nel caso in cui ciò non avvenisse, le associazioni chiedono almeno “un solido sistema di tracciabilità verificato da una terza parte indipendente per garantire che la plastica etichettata come riciclata sia effettivamente riciclata secondo gli standard dell’Ue”.
Le associazioni: l’Ue usa due pesi e due misure sulla concorrenza
Il discorso sulla concorrenza tocca un’altra recente norma dell’Unione europea: l’introduzione della Waste Shipment Regulation e l’imminente divieto di spedizioni internazionali di rifiuti in plastica dall’Ue verso nazioni non appartenenti all’Ocse, cioè quei Paesi che non fanno parte dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e che sono stati finora i luoghi preferiti dove esportare i rifiuti prodotti all’interno dei confini europei, spesso con pochi controlli e verifiche sugli impatti ambientali.
Di conseguenza, i riciclatori europei d’ora in poi potranno vendere plastica solo all’interno dei confini europei. In pratica, l’Unione europea se giustamente vieta le esportazioni, al tempo stesso permette le importazioni, danneggiando le aziende del settore: “Lasciare i riciclatori europei di imballaggi in plastica senza protezione contro un’ondata di importazioni di plastica da Paesi che spesso godono di costi energetici molto più bassi e rispettano regole meno severe non solo danneggia l’ambiente, ma infligge anche un duro colpo agli investimenti nell’industria europea delle tecnologie verdi”, fa notare EuRIC.
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Investire nella filiera del riciclo della plastica
“Se non si affronta la ‘pressione sbilanciata’ sui riciclatori – avverte EuRIC – l’Europa potrebbe mancare gli obiettivi legalmente vincolanti in materia di riciclo e contenuto riciclato, soffocare la crescita di posti di lavoro green, causare la perdita di posti di lavoro e infrastrutture industriali e indurre le aziende a delocalizzare fuori dall’Europa”. Posizione condivisa da Plastic Recyclers Europe: “Chiediamo con urgenza alle istituzioni europee di introdurre misure di salvaguardia per l’industria europea della plastica e di livellare e mantenere equa la concorrenza. Allo stato attuale, i legislatori stanno inviando un messaggio fuorviante: non vale la pena investire nella catena del valore del riciclo della plastica in Europa”.
Inutile ricordare le conseguenze negative sull’ambiente di un rallentamento proprio adesso. Un recente studio del 2023 focalizzato sul caso del PET e del poliestere ha calcolato l’impatto che porterebbe una riduzione o dello stop di investimenti nell’Ue sulle emissioni di gas serra, che raddoppierebbero entro il 2024 perché i rifiuti verrebbero inceneriti invece di essere riciclati. Lo studio mostra inoltre che il tasso di riciclo del PET scenderebbe tra il 32% e il 38% entro il 2040, rispetto al 67% stimato nello scenario circolare.
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