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lunedì, Dicembre 16, 2024

Finanza sostenibile, le regole europee sulla trasparenza per avere un’economia più green

Quali sono le normative Ue in vigore o in via di approvazione sulla finanza sostenibile? Quali sono gli obiettivi che si intendono raggiungere? Di certo raccolta di dati ESG resta una questione aperta: sia a livello istituzionale sia per quel che riguarda gli attori economici

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Trasparenza: con questa parola d’ordine l’Unione europea punta a raggiungere gli obiettivi per arrivare a una finanza sostenibile. Cosa sia la finanza sostenibile a livello concettuale è semplice. Si tratta di utilizzare le leve finanziarie, che nell’attuale sistema economico muovono gran parte delle risorse a livello globale, per sostenere uno sviluppo sostenibile, ovvero rispettoso dell’ambiente e del sociale, quando spesso il mercato è andato in direzione opposta.

“E questo si può fare in due modi”, spiega Luca Bonaccorsi, responsabile di finanza sostenibile per l’organizzazione non governativa Transport&Enviroment, che fa parte della piattaforma creata dalla Commissione europea proprio per lavorare sul tema.

“Si possono imporre regole precise ai fondi di investimento e alle banche, chiedendo loro di avere un certo livello di prodotti ‘verdi’ nel portafoglio: ad esempio per essere definiti sostenibili, il 20% degli investimenti devono essere in energie rinnovabili. Oppure – continua Bonaccorsi – si può prevedere una tassa o un extra capital requirement alle banche per rendere più onerosi i prestiti nei settori inquinanti”.

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La trasparenza come strumento per aiutare gli investitori

C’è però un’altra opzione, che è quella individuata dall’Unione europea. La trasparenza, cioè obbligare per legge aziende, fondi di investimento e banche, a dichiarare alcune informazioni sensibili per ottenere una sorta di certificazione di “sostenibilità”.

A spingere l’Ue in questa direzione, oltre al fatto che si tratta di politiche meno “invasive”, c’è una considerazione. La richiesta da parte degli investitori alle banche e ai fondi di investimento di destinare il loro denaro in attività “pulite” nel 2020 ha raggiunto livelli record. Secondo i dati dell’asset management tracker Morningstar, la domanda relativa agli investimenti in fondi ESG (basati su criteri ambientali, sociali e di governance) ha attirato flussi per 233 miliardi di euro, quasi il doppio rispetto al 2019.

Ma c’è un problema, come fa notare Bonaccorsi: “Gli investitori si sono accorti che c’è troppo greenwashing e il mercato rischia di perdere appeal”. E, in effetti, nonostante il trend generale sia in crescita (il mercato secondo Bloomberg potrebbe toccare il valore complessivo dei 53 trilioni di dollari entro il 2025), sempre in base alle cifre di Morningstar, la raccolta netta dei fondi comuni di investimento, nel secondo trimestre del 2021, è stata pari a 139,2 miliardi di euro. Il 24 per cento in meno rispetto al primo trimestre.

Si è creata, probabilmente, una asimmetria informativa, per utilizzare un termine tecnico: “Investitori con buone intenzioni, ma senza conoscenze ambientali, non hanno strumenti per capire se le proposte che arrivano sono sostenibili, e spesso si fanno convincere dal nome di una multinazionale per non rischiare”, fa notare l’esponente della Ong. Basta osservare la classifica “ESG Perception Index”, stilata da Reputation Science, per trovare ai primi posti nella percezione positiva degli investitori italiani Enel, Eni e Stellantis.

A volte, però, secondo chi si occupa di ambiente, si tratta di offerte poco credibili, come nel caso dei biocombustibili. E qui si inserisce l’obbligo di trasparenza, la disclosure. Se è l’Unione europea a fissare gli standard, per chiunque è più semplice farsi un’idea, mentre finora le informazioni sull’impatto climatico fornite dal mercato finanziario sono state piuttosto frammentarie.

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Quali sono le norme dell’Ue sulla trasparenza per aziende, banche e fondi di investimento

Dal punto di vista normativo, il Piano d’azione dell’Unione europea per la finanza sostenibile si fonda su tre pilastri: il regolamento detto “Sustainable Finance Regulation” (SFRD), la proposta di direttiva “Corporate Sustainability Reporting Directive” (CSRD) e la cosiddetta “tassonomia green” (Taxonomy Regulation – TR). Sebbene quest’ultima sia la base dell’impalcatura, poiché definisce in maniera granulare quali siano i criteri perché un’attività sia definita “sostenibile”, a Bruxelles si sta ancora discutendo su aspetti cruciali.

Il regolamento Ue 2019/2088 SFRD, già applicativo e impostato per essere introdotto in diverse fasi tra il 2021 e il 2022, prevede tutta una serie di obblighi di trasparenza per i fondi di investimento, banche, assicurazioni e fondi pensione. L’articolo 6 impone a tutti questi soggetti di dichiarare se i rischi di sostenibilità sono inclusi nelle scelte di investimento, e di spiegare ai propri clienti come un evento o una condizione di tipo ambientale, sociale o di governance, se si verificasse, potrebbe impattare sul valore dell’investimento.

L’articolo 8 stabilisce precisi requisiti di disclosure per i prodotti che promuovono caratteristiche ambientali o sociali. L’articolo 9 impone ai soggetti interessati di dichiarare se gli investimenti ESG sono il loro scopo principale e di specificare come intendono raggiungere questo obiettivo, anche dal punto di vista del marketing.

Il 21 aprile 2021 la Commissione europea ha, inoltre, pubblicato una proposta di direttiva sul reporting di sostenibilità (CSRD) dedicata alle imprese, che aggiorna e integra la direttiva sul reporting non finanziario attualmente in vigore. Deve ancora proseguire l’iter tra Parlamento e Consiglio europeo e si pensa di arrivare all’approvazione definitiva nel 2022 e alla piena operatività nel 2024.

La normativa richiederà alle imprese europee di divulgare una serie di informazioni sia sui rischi ambientali e sociali a cui sono esposte, sia sugli impatti provocati dalle attività aziendali (principio della doppia materialità). Le informative a livello aziendale includeranno i dati specificati dall’Ue, come le emissioni di CO2 e l’utilizzo dell’acqua nell’intero portafoglio di una società di investimento. E si terrà conto di alcuni indicatori come fatturato, spesa in conto capitale e spesa operativa.

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La trasparenza come strumento per attrarre risorse

L’Unione europea punta con questa strategia a fare arrivare le risorse alle aziende e agli attori finanziari migliori, in grado di rispettare determinati criteri di sostenibilità. In modo che anche i privati contribuiscano a raggiungere gli obiettivi climatici previsti dagli Accordi di Parigi e dal Green Deal.

Perché non bastano finanziamenti pubblici, su questo a Bruxelles sono sicuri. Nelle stime Ue, servono almeno 350 miliardi di euro all’anno di investimenti aggiuntivi da parte dei privati per arrivare ai target fissati. E il solo regolamento SFRD, sempre secondo i calcoli Ue, può aiutare a spendere un trilione di euro in investimenti verdi nel prossimo decennio.

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Le questioni ancora aperte: le incertezze nella raccolta dei dati

Sebbene i regolamenti su divulgazione e benchmark siano in vigore e il Parlamento europeo abbia intenzione di allargare il loro campo di applicazione con provvedimenti ad hoc sulla rendicontazione aziendale di sostenibilità da approvare entro la fine della legislatura, un po’ di incertezza sembra esserci a livello di attori economici. E l’incertezzaè uno dei maggiori pericoli per l’economia.

La società di servizi di fondi Apex Group, ad esempio, ha intervistato alcuni suoi clienti. Ebbene, è emerso che solo il 17 per cento di loro ha dichiarato di sentirsi pienamente preparato a soddisfare le regole. Anche perché una parte dei dati da comunicare non è facilmente reperibile dalle società, mentre le autorità Ue devono ancora confermare alcuni indicatori che gli asset manager dovranno fornire nella loro rendicontazione di sostenibilità.

Inoltre, secondo la Consob, “gli stessi emittenti di prodotti e strumenti ESG possono non avere incentivi a rendere pubblica l’informazione non finanziaria e a seguire standard più rigorosi se i benefici percepiti non sono immediati e tali da controbilanciare i costi e mitigare i rischi reputazionali”. Su questo punto, tuttavia, gli esperti di finanza sostenibile, come riporta una relazione stilata dal Joint Research Center della Commissione europea, sono sicuri del fatto che “l’implementazione degli investimenti ESG è positivamente e fortemente associata al profitto per gli attori economici”.

E tutti sono consapevoli dei cambiamenti e non vogliono farsi trovare impreparati. “Chi segue le dinamiche del mercato finanziario sa che i soggetti interessati, sia finanziari che industriali, si stanno già esercitando ad applicare i criteri tecnici di classificazione e coloro che si posizioneranno per primi con una buona offerta ESG avranno vantaggi competitivi”, spiega a EconomiaCircolare.com l’europarlamentare Simona Bonafè, che a Strasburgo si occupa di finanza sostenibile.

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Le questioni ancora aperte: la necessità di avere dati affidabili

Sicuramente, l’efficacia delle norme europee è strettamente collegata alla possibilità di avere dati ESG affidabili, ma questo richiederà tempo. In base a quanto previsto dalla proposta di direttiva CSRD, le prime rendicontazioni delle imprese di grandi dimensioni si avranno a partire dal 2023 e quelle delle piccole e medie imprese quotate a partire dal 2026, mentre le informazioni della SFRD sono disponibili solo da marzo 2021.

Peraltro, la rendicontazione non finanziaria è differente nel caso delle Pmi. Ad esempio, non devono fornire lo stesso livello di dati delle aziende più grandi su fattori come le emissioni di carbonio e la parità di genere nei consigli di amministrazione. E questo, è il timore degli esperti, potrebbe rendere più difficile, per un gestore di fondi a piccola capitalizzazione, fornire prove della sostenibilità del suo portafoglio.

È importante, inoltre, ampliare il perimetro di applicazione della CSRD e della tassonomia. Con l’adozione della nuova direttiva CSRD, le imprese che pubblicano il reporting di sostenibilità passerebbero da 11.000 a quasi 50.000. Numerose altre imprese, anche Pmi, potrebbero aderire su base volontaria. C’è però un problema non da poco, come fa notare un report del Forum per la Finanza Sostenibile.

In base ai dati dell’ESMA, solo una percentuale ridotta del patrimonio dei fondi domiciliati nell’Ue è investita in aziende che sono tenute a pubblicare la rendicontazione di sostenibilità (26% per i fondi azionari, 20% per gli obbligazionari corporate). Inoltre, il 61% del patrimonio è investito in aziende non europee, quindi non soggette alla CSRD. Un dato non insignificante, in un mercato globalizzato come quello finanziario, che potrebbe attenuare gli effetti della regolamentazione sui cui sta lavorando l’Unione europea.

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