Oggi, 22 maggio, si celebra la Giornata Mondiale della Biodiversità, un’occasione istituita dalle Nazioni Unite per ricordarci quanto sia preziosa e fondamentale la varietà della vita sulla Terra. Quest’anno, il tema scelto dal segretariato della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) è “Armonia con la Natura e Sviluppo Sostenibile“. Un monito quanto mai attuale, che ci invita a riflettere profondamente sul nostro rapporto con il pianeta e sulla necessità impellente di trovare un equilibrio tra le esigenze umane e la conservazione dell’ambiente.
Non si tratta di una semplice ricorrenza, ma di un vero e proprio campanello d’allarme (o meglio di campane a lutto) che risuona in un mondo sempre più consapevole delle conseguenze devastanti della perdita di biodiversità.
Dalle foreste pluviali lussureggianti alle profondità misteriose degli oceani, ogni singola specie, ogni ecosistema, gioca un ruolo cruciale nel mantenere in salute il nostro pianeta e, di conseguenza, nel garantire il nostro stesso benessere.
La biodiversità non è un concetto astratto
La biodiversità, infatti, non è un concetto astratto per scienziati e ambientalisti, ma la linfa vitale che sostiene le nostre economie, la nostra salute, la nostra sicurezza alimentare e persino la nostra cultura, come ricorda l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Basti pensare che, secondo un rapporto dell’ONU, la sopravvivenza del 70% dell’umanità dipende direttamente da circa 50.000 specie selvatiche: si tratta di animali terrestri, pesci, alghe, funghi e alberi, sempre più sfruttati e quindi in pericolo. Eppure, questa ricchezza inestimabile è oggi più minacciata che mai, messa a repentaglio da attività umane che troppo spesso ignorano i delicati equilibri naturali o minimizzano le conseguenze dell’agire umano. La Giornata Mondiale della Biodiversità ci chiama quindi a una presa di coscienza collettiva e a un impegno concreto, perché invertire la rotta è ancora possibile, ma richiede un’azione immediata e coordinata a tutti i livelli – nonostante qualche esempio positivo a macchia di leopardo – e purtroppo a livello di macro sistemi quello che si sta facendo non basta.

Perché la biodiversità è il cuore pulsante del pianeta (e della nostra vita)
Comprenderne l’importanza è forse più difficile di parlare di salvare una singola specie o addirittura un cucciolo in difficoltà. C’è chi potrebbe pensare che, in fondo, non cambia nulla se si estinguono qualche migliaio di insetti o qualche centinaia di mammiferi, specie se non rientrano tra i nostri animali da compagnia. Ma questo pensiero sarebbe quanto di più sbagliato si possa immaginare.
La biodiversità, in termini semplici, è la straordinaria varietà di tutte le forme di vita presenti sulla Terra: animali, piante, funghi, microrganismi e gli ecosistemi di cui fanno parte. Questa complessità non è un lusso, ma una necessità imprescindibile per il funzionamento del nostro pianeta e per la nostra stessa sopravvivenza. Ogni specie, anche la più piccola o apparentemente insignificante, svolge un ruolo specifico all’interno del suo ecosistema, contribuendo a mantenerlo in equilibrio e resiliente. Pensiamo agli insetti impollinatori, come le api, per la produzione di gran parte del cibo che arriva sulle nostre tavole. O alle foreste, che assorbono anidride carbonica, regolano il clima e purificano l’aria che respiriamo e che addirittura, secondo studi recenti, hanno un ruolo chiave nel ridurre le microplastiche nei corsi d’acqua. Gli oceani, a loro volta, non sono solo una fonte di cibo, ma anche grandi regolatori climatici e produttori di ossigeno.
La biodiversità è la base dei cosiddetti “servizi ecosistemici”, ovvero tutti quei benefici, diretti e indiretti, che la natura fornisce gratuitamente all’umanità. Questi includono la fornitura di acqua pulita, la fertilità del suolo, la protezione dalle inondazioni e dalle tempeste, la decomposizione dei rifiuti e persino la regolazione della diffusione di malattie.
Leggi anche: L’Overshoot day italiano 2025 è oggi (e non è una buona notizia)
Perché la riduzione della biodiversità è un rischio per tutti noi
Quando la biodiversità si riduce, questi servizi vitali vengono compromessi, con conseguenze dirette sulla nostra salute, sulla nostra economia e sulla nostra sicurezza.
La perdita di specie può portare a una maggiore vulnerabilità ai disastri naturali, all’insicurezza alimentare ed energetica, alla riduzione della disponibilità di risorse idriche e persino all’impoverimento delle tradizioni culturali legate a determinate specie o paesaggi. Investire nella conservazione della biodiversità non è quindi solo una questione etica o ambientale, ma una scelta strategica per garantire un futuro prospero e sostenibile per tutti. Come sottolinea l’Ispra, la ricchezza di specie e habitat è fondamentale per la stabilità degli ecosistemi e la loro capacità di reagire ai disturbi, comprese le malattie o intensi fenomeni atmosferici. Un ecosistema più vario è un ecosistema più forte e più capace di adattarsi. Uno dei casi più celebri è quello dei boschi monospecifici, ovvero dominati a monocolture come l’abete rosso di Vaia la cui povertà di biodiversità ha indebolito gli habitat, per di più oggi attaccati dal bostrico.
Un tesoro in pericolo: le minacce crescenti alla diversità della vita
Nonostante la sua importanza cruciale, la biodiversità si sta riducendo a un ritmo allarmante, tanto che molti scienziati parlano di una “sesta estinzione di massa”, questa volta causata principalmente dalle attività umane. Le minacce sono molteplici e spesso interconnesse, creando una tempesta perfetta che sta erodendo le fondamenta stesse della vita sulla Terra. La principale causa di perdita di biodiversità – come rileva il report di Legambiente “Biodiversità a rischio” – è la distruzione e la frammentazione degli habitat naturali, dovuta all’espansione agricola, all’urbanizzazione selvaggia, alla deforestazione e alla costruzione di infrastrutture. Interi ecosistemi vengono rasi al suolo o divisi in piccole isole, rendendo difficile per le specie trovare cibo, rifugio e partner per la riproduzione. L’agricoltura intensiva e le monocolture, in particolare, hanno un impatto devastante, riducendo drasticamente la varietà di specie vegetali e animali e impoverendo i suoli. Un’altra grave minaccia è rappresentata dai cambiamenti climatici, che alterano le temperature, i regimi delle precipitazioni e la frequenza degli eventi estremi, costringendo le specie a migrare o ad adattarsi a condizioni sempre più difficili, pena l’estinzione.
L’inquinamento, in tutte le sue forme – da quello chimico industriale e agricolo a quello derivante dai rifiuti plastici – contamina aria, acqua e suolo, avvelenando gli organismi viventi e danneggiando interi habitat.
Lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, come la pesca intensiva che sta svuotando i nostri mari, la caccia illegale e il prelievo insostenibile di legname e altre materie prime, sta portando molte specie sull’orlo del collasso.
Infine, l’introduzione di specie alloctone invasive, trasportate volontariamente o accidentalmente dall’uomo in nuovi ambienti che spesso – col cambiamento climatico – divengono habitat perfetti per gli alieni, può avere conseguenze disastrose per le specie autoctone, che spesso non sono in grado di competere per le risorse o di difendersi dai nuovi arrivati.

Leggi anche: Giornata mondiale della Api: fondamentali per la biodiversità, esempio di economia circolare in natura
Economia circolare: un’alleata strategica per rigenerare la biodiversità e ridisegnare il futuro
In questo scenario, dove la perdita di biodiversità suona come un sinistro rintocco per il futuro del pianeta, quale può essere il ruolo dell’economia circolare? Questa può avere il valore di filosofia rigenerativa, capace di tessere un nuovo patto tra le attività umane e il mondo naturale. L’attuale sistema economico lineare, con la sua logica implacabile del “prendi, produci, usa e getta”, è uno dei principali architetti della crisi ecologica che stiamo vivendo. Come sottolinea l’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA), oltre il 90% della perdita di biodiversità e dello stress idrico è imputabile all’estrazione e alla lavorazione delle risorse naturali, un processo che implica un consumo vorace di materie prime e la generazione di montagne di rifiuti che, troppo spesso, soffocano i nostri ecosistemi.
Ma cosa accadrebbe se, invece di considerare la natura come una miniera da sfruttare all’infinito, iniziassimo a vederla come un giardino da coltivare e rigenerare? È qui che entra in gioco la visione dell’economia circolare, un sistema economico esplicitamente progettato, come sostiene David Pérez-Castillo, professore e ricercatore al Tecnológico de Monterrey, per rigenerare gli ecosistemi naturali attraverso una pianificazione deliberata e pratiche sostenibili. Pérez-Castillo ci invita a un cambio di prospettiva radicale: l’economia circolare può colmare il divario apparentemente inavvicinabile tra conservazione ambientale e attività economica, dimostrando che non devono necessariamente essere in conflitto. Anzi, possono e devono diventare alleate. Questo modello si fonda su principi cardine come la priorità all’efficienza delle risorse, alla durabilità e alla riparabilità nella progettazione dei prodotti e nei modelli di consumo. Immaginiamo beni pensati per durare, per essere facilmente riparati, per essere disassemblati e i cui componenti possano essere reimmessi nel ciclo produttivo con un alto livello di qualità, riducendo drasticamente la necessità di attingere a risorse vergini. Questi principi, come la progettazione per la longevità, la promozione di un riciclo di alta qualità e una gestione realmente sostenibile delle risorse, possono ridurre significativamente l’impatto ambientale abbattendo la domanda di nuove materie prime, e quindi conservando la biodiversità e l’integrità ecologica dei nostri preziosi ecosistemi. Si tratta di incorporare la conservazione all’interno stesso del tessuto operativo dell’economia, sfidando la vecchia e dannosa nozione che la crescita economica debba per forza avvenire a spese dell’ambiente. Pérez-Castillo propone una ristrutturazione sistemica in cui le attività economiche non solo smettono di danneggiare, ma iniziano attivamente a sostenere e rigenerare i sistemi ecologici.
Leggi anche: Ossigeno, cibo, biodiversità, energia: le foreste sono alla base della vita di miliardi di persone
Ridefinire il concetto di conservazione
Questo cambio di paradigma richiede anche una ridefinizione del concetto stesso di conservazione, che non può più essere delegata unicamente agli specialisti del settore, ma deve diventare parte integrante della pianificazione urbana, delle strategie aziendali e delle nostre pratiche quotidiane. La responsabilità, come sottolinea l’esperto, deve essere condivisa: economisti, decisori politici, leader industriali e cittadini, tutti sono chiamati a fare la propria parte. Esistono già modelli di successo che dimostrano come i principi dell’economia circolare possano portare a una drastica riduzione di rifiuti e inquinamento, facilitare la conservazione delle risorse e supportare attivamente gli sforzi di ripristino della biodiversità. Per accelerare questa transizione, sono necessarie politiche coraggiose che promuovano un vero e proprio cambiamento di mercato verso una produzione e un consumo sostenibili, ad esempio attraverso l’implementazione di “tasse verdi” che disincentivino le pratiche dannose e incentivi per gli investimenti in infrastrutture circolari.
Investire in questa direzione significa contribuire attivamente alla rigenerazione del capitale naturale, proteggendo quella straordinaria e vitale orchestra di vita che è la biodiversità.
© Riproduzione riservata



