Il riscaldamento degli oceani è una minaccia paragonabile al riscaldamento globale. E a questo fenomeno è strettamente collegato, visto che gli oceani coprono il 71 per cento della superficie terrestre e assorbono il 93 per cento del calore sulla Terra. L’acqua, infatti, ha una capacità di assorbire calore migliaia di volte superiore all’aria: basti pensare che i primi 700 metri della superficie degli oceani immagazzinano una quantità di calore pari all’intera atmosfera. Poiché, tuttavia, la temperatura dell’atmosfera è aumentata costantemente nell’ultimo secolo a causa dei gas climalteranti, di conseguenza è cresciuta anche la temperatura negli oceani.
E questo è un problema. Da un terzo fino alla metà dell’innalzamento del livello dei mari è, infatti, riconducibile al fenomeno dell’espansione termica dell’acqua innescata dall’aumento di calore. Il riscaldamento degli oceani provoca, inoltre, lo sbiancamento dei coralli, accelera lo scioglimento dei ghiacciai, riduce la capacità dell’acqua di assorbire l’anidride carbonica, intensifica gli uragani e apporta cambiamenti sostanziali nella biochimica dei mari, con il fenomeno dell’acidificazione. Effetti, presi singolarmente e in maniera combinata, estremamente pericolosi. Fu proprio negli oceani dove oltre 3 miliardi e mezzo di anni fa cominciò la vita sul nostro pianeta. E adesso siamo noi a metterla in pericolo.
L’aumento costante della temperatura delle acque degli oceani e le previsioni per il futuro
L’ultimo decennio è stato per gli oceani il più caldo dal diciannovesimo secolo a questa parte. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Advances in Atmospheric Sciences, nel 2021 la temperatura delle acque oceaniche ha segnato un nuovo record, raggiungendo i valori più elevati mai misurati per il sesto anno consecutivo. Gli oceani nel 2020 hanno assorbito 20 zettajoules di calore (20.000 000 000 000 000 000 000 joules) in più rispetto al 2019: l’equivalente dell’esplosione dalle tre alle sei bombe atomiche ogni secondo per un anno.
I dati raccolti dalla US National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) mostrano come le temperature negli oceani siano cresciute di 0,13°C ogni dieci anni a partire dal 1955, quando iniziarono le misurazioni, per arrivare alla temperatura media di 15°C nelle acque di superficie e di 3,5°C in quelle di profondità. La buona notizia è che l’aumento della temperatura negli oceani avviene più lentamente rispetto all’atmosfera. Se non ci fossero stati i mari, la temperatura sulla Terra dagli anni Settanta ad oggi sarebbe aumentata di 36°C, invece degli effettivi 0,55°C. La cattiva notizia è che, nonostante ciò, i modelli di previsione calcolano una crescita della temperatura degli oceani compresa tra 1°C e 4°C da qui al 2100.
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L’acidificazione degli oceani e l’aumento di anidride carbonica
Gli oceani limitano anche gli effetti del riscaldamento globale causato dall’uomo perché assorbono il 30 per cento delle emissioni di gas serra: ma più l’acqua è calda, meno è capace di sciogliere l’anidride carbonica. E visto che una parte dell’anidride carbonica prodotta dall’utilizzo dei combustibili fossili finisce negli oceani, l’aumento della quantità di CO2 in acqua ha ridotto il pH degli oceani di 0,1 dall’inizio della rivoluzione industriale. Potrebbe non sembrare molto, ma corrisponde a un aumento di almeno il 26 per cento della concentrazione di ioni idrogeno (ovvero dell’acidità) nelle acque marine, e le proiezioni dicono che tale concentrazione crescerà fino al 150 per cento entro il 2100.
È il fenomeno dell’acidificazione degli oceani, definito da Jane Lubchenco, ex direttrice della National Oceanic and Atmospheric Administration, come il gemello altrettanto malvagio del riscaldamento globale, sebbene abbia una copertura mediatica molto inferiore. In pratica, l’acidificazione dovuta alla CO2 riduce la capacità delle forme di vita marina di creare gusci e scheletri. Ogni specie, quando subisce gli effetti negativi dell’acidificazione, li trasmette a tutte le altre che se ne cibano, distruggendo intere catene alimentari.
Nelle profondità oceaniche si trovano, inoltre, 2,5 gigatoni di clatrato di metano, un composto di acqua che forma una gabbia cristallina intorno al metano. È altamente instabile e un aumento di temperatura causa il rilascio di questa fonte di carbonio negli oceani. Tuttavia, anche se le emissioni di gas serra dovute all’attività dell’uomo si riducessero drasticamente nei prossimi anni, per gli oceani ci vorrebbero decenni, se non secoli, per tornare in una situazione paragonabile al periodo pre-industriale.
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Ecosistemi oceanici e specie marine in pericolo
L’acidificazione è solo un esempio di come il riscaldamento degli oceani mette a rischio la sopravvivenza degli ecosistemi marini e di molte specie animali. Pesci, uccelli e mammiferi marini possono andare incontro a una maggior mortalità come risultato delle temperature più alte, perché gli animali che si trovano a vivere al di fuori della propria fascia di temperatura ottimale consumano più energia per respirare, a scapito di altre funzioni. Di conseguenza, risultano indeboliti e quindi più vulnerabili alle malattie.
Oppure perché le migrazioni di massa di alcune specie in cerca di condizioni ambientali più favorevoli riduce il terreno di caccia di molte altre specie. Ciò è particolarmente evidente nell’Atlantico nordorientale, dove il plancton è ora costretto a vivere in acque più calde. Questi piccoli organismi sono alla base della catena alimentare e alcuni copepodi si stanno spostando verso nord a una velocità di 200-250 km a decennio per effetto delle correnti oceaniche alterate dal calore. A mano a mano che la temperatura dell’acqua aumenta, infine, si riduce lo scambio tra le acque di superficie e quelle di profondità e questo significa minore circolazione di elementi nutritivi per le specie marine.
Un fenomeno particolarmente pericoloso del riscaldamento degli oceani è lo sbiancamento dei coralli, che può portare alla loro morte. La Grande barriera corallina dell’Australia è la più grande struttura vivente sulla Terra e può essere vista persino dalla Luna. La sua scomparsa sconvolgerebbe interi ecosistemi. In ultima analisi, questa cascata di eventi influisce sul funzionamento generale del biosistema, portando alla perdita di biodiversità.
Gli impatti del riscaldamento degli oceani sull’essere umano
Neppure l’uomo sarebbe risparmiato dalle conseguenze di un catastrofico collasso della vita nei mari e negli oceani. Se pensiamo, infatti, che pesca e acquacoltura forniscono a 4,3 miliardi di persone il 15 per cento delle proteine animali all’interno della loro alimentazione, cambiamenti profondi negli ecosistemi oceanici potrebbero intaccare la catena alimentare degli esseri umani. La sicurezza alimentare di intere regioni nei Paesi in via di sviluppo potrebbe andare in crisi, soprattutto negli stati costieri dell’Africa.
Il riscaldamento oceanico costa già ogni anno centinaia di milioni di dollari per i danni causati dai cambiamenti climatici. Le acque degli oceani sempre più calde, infatti, creano le condizioni per tempeste e uragani più violenti e frequenti. I tifoni, spostandosi più lentamente, rilasciano inoltre una maggiore quantità di pioggia e contribuiscono a generare mareggiate che si riversano sulle coste. Senza considerare, poi, l’effetto più intuitivo del riscaldamento delle acque: lo scioglimento delle calotte polari e l’innalzamento del livello dei mari.
Il livello medio è salito di oltre 20 centimetri dal 1880 e ogni anno aumenta di circa 3,2 millimetri. Un’analisi basata sui dati della Nasa prevede un aumento del livello degli oceani di 68 centimetri entro il 2100, altri studi dell’Unione europea considerano un range che va dai 26 ai 77 centimetri nello stesso arco di tempo. Le ripercussioni non saranno drammatiche solo per gli atolli del Pacifico e gli stati insulari, ma anche lungo le coste, mettendo in pericolo le abitazioni e le infrastrutture per le telecomunicazioni.
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Cosa può essere fatto contro il riscaldamento degli oceani
Per tutta questa serie di motivi, è indispensabile limitare il prima possibile la crescita della temperatura media globale sotto i due gradi per prevenire una situazione irreversibile. L’ong Unione Mondiale per la Conservazione della Natura elenca quali siano alcuni interventi indispensabili. Per prima cosa, creare delle aree marine protette e mettere in atto misure preventive come ad esempio limiti alla pesca, può proteggere gli ecosistemi oceanici e l’umanità dai danni più immediati del riscaldamento degli oceani.
Gli ecosistemi già compromessi, invece, devono essere restaurati in fretta. Questo potrebbe rendere necessario costruire pozze di marea artificiali, cioè le pozze rocciose piene d’acqua sulle rive del mare, per ricreare surrogati degli habitat per gli organismi marini, o migliorare la resistenza delle specie animali alle temperature più elevate utilizzando tecniche di allevamento assistito. Maggiori investimenti nella ricerca scientifica e nei metodi di misurazione e di monitoraggio degli oceani permetterebbe di avere una quantità più affidabile di dati per adottare strategie più appropriate di mitigazione del riscaldamento oceanico.
Soprattutto, proprio come per il fenomeno del riscaldamento globale, è necessaria una conoscenza e consapevolezza diffusa tra la popolazione sull’importanza di oceani sani. Iniziative come la Giornata mondiale degli oceani possono essere perciò un’occasione per unire e promuovere gli sforzi necessari per salvaguardare da noi stessi gli oceani, i polmoni azzurri della Terra.
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