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lunedì, Dicembre 16, 2024

“Per una transizione giusta occorre valutare gli aspetti sociali”. Banca Etica analizza i green bond

A breve lo Stato lancerà nel mercato azionario i primi titoli green, entrando nel mondo della finanza sostenibile. Un passo importante a patto che, come afferma l’esperta di investimenti Elisa Villa, vengano sostenuti “progetti attenti all’economia reale”. Che in questa intervista ci spiega tutti i dettagli dei "titoli verdi"

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista freelance. Ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane - I Quaderni de L’Ora, radio100passi, Palermo Repubblica, MeridioNews - e nazionali. Nel 2014 ha pubblicato il libro inchiesta “Fate il loro gioco, la Sicilia dell’azzardo” e nel 2018 l'ibrido narrativo “La città a sei zampe”, che racconta la chiusura della raffineria di Gela da parte dell’Eni. Si occupa prevalentemente di ambiente e temi sociali.

L’Italia si è data il 31 marzo come termine ultimo per il lancio dei green bond. I titoli di Stato green o, se preferite, le emissioni di buoni poliennali da parte dello Stato sanciscono l’ingresso del nostro Paese nel mondo della finanza etica. E serviranno, così come annunciato dal ministero dell’Economia e delle Finanze, a finanziare progetti sostenibili per “dare un ulteriore impulso alla strategia del nostro Paese per conseguire la neutralità climatica entro il 2050 e raggiungere gli obiettivi dello European Green Deal, all’interno del percorso delineato già da alcuni anni, soprattutto con le linee di azione del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima”. Un percorso che procede (in parte) in parallelo con il Recovery Plan di cui, com’è noto, circa un terzo è destinato al macrosettore “Rivoluzione verde e transizione energetica”.

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L’importanza del tema, d’altra parte, è stata sancita dalla recente nascita del ministero ad hoc, retto da Roberto Cingolani, che ha più volte parlato della necessità di cambiare marcia. Ecco perché per analizzare nello specifico i green bond, specie in un anno ricco di appuntamenti a tema ambientale per il nostro Paese, noi di EconomiaCircolare.com ci siamo rivolti a un ente che, già dal nome scelto, ha come orizzonte la finanza etica.

Stiamo parlando ovviamente di Banca Etica, l’istituto di credito che da più di 20 anni, come si legge sul sito, “propone un’esperienza bancaria diversa” e “offre tutti i principali prodotti e servizi bancari per privati e famiglie o per organizzazioni e imprese”, tenendo sempre la bussola della finanza sostenibile. Con il risparmio raccolto, ad esempio, Banca Etica finanzia soltanto “organizzazioni che operano in quattro settori specifici: cooperazione sociale, cooperazione internazionale, cultura e tutela ambientale”.

A rispondere alle nostre domande è Elisabetta Villa, investment specialist che fa parte dello staff della Direzione Generale di Etica Sgr, la società di gestione del risparmio (Sgr) che propone esclusivamente fondi comuni di investimento sostenibili e responsabili.

Gli obiettivi ambientali dei Green bond sono quelli tracciati dalla Commissione europea. Ma non si fa menzione di possibili obiettivi sociali connessi a quelli ambientali, così come suggerito proprio dal Gruppo Banca Etica (come ad esempio la promozione dei lavoratori, il contrasto ai paradisi fiscali, il benessere e l’inclusione delle comunità). Come interpretate questa assenza?

Etica Sgr è da sempre in prima linea sul tema degli investimenti sostenibili con un approccio tridimensionale: valutando, cioè, il tema ambientale insieme alla dimensione sociale e di governance (ESG). Siamo convinti, infatti, che il tema ambientale non possa prescindere dalle sue implicazioni sulla comunità quali per esempio i diritti umani, il lavoro, l’equità e la giustizia. Ecco perché Etica Sgr lavora per il perseguimento di una “transizione giusta”, che considera l’analisi sociale accanto a quella ambientale. Da tempo abbiamo per esempio sottoscritto lo “Statement of Investor Commitment to Support a Just Transition on Climate Change” (Dichiarazione di impegno degli investitori per una transizione giusta ad un’economia a basso impatto per il clima) delle Nazioni Unite.

Questo tema è poi diventato di ancora più cogente attualità con la pandemia da Covid-19. Un’emergenza sanitaria e poi sociale, che ha messo in luce una serie di debolezze nel sistema socio-sanitario, di cui eravamo peraltro già a conoscenza, ma che rischiano di ampliare le disparità sociali con evidenti impatti economici. Oggi è chiaro che ambiente, sociale e governance (ESG nell’acronimo anglosassone) sono fortemente interdipendenti e solo con un approccio olistico che prenda in esame tutte e tre queste dimensioni si può pensare di portare un vero cambiamento.

Nell’ultimo anno il mercato obbligazionario ha accelerato per quanto riguarda le emissioni di green bond (che hanno raggiunto i 300 miliardi di dollari a livello globale nel 2020). Interessante anche l’evoluzione dei social e sustainability bond che, nella definizione dell’International Capital Market Association, sono «obbligazioni i cui proventi finanziano progetti nuovi o esistenti con risultati sociali positivi, come il miglioramento della sicurezza alimentare e l’accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria e ad altri finanziamenti». Nel 2020 l’emissione più importante di social bond è stata proprio quella della Commissione UE, con i primi 14 miliardi del bond SURE, con l’obiettivo di contribuire a preservare i posti di lavoro e a proteggere i lavoratori a fronte della pandemia. E ne arriveranno altre: la Commissione europea ha già annunciato che emetterà fino a 100 miliardi di euro di social bond.

In relazione agli obiettivi tracciati dalla Commissione Europea, riteniamo che la tassonomia UE sia un primo importante passo avanti verso la definizione di criteri chiari e di un linguaggio comune per il mercato degli investimenti sostenibili e possa contribuire ad aumentarne la trasparenza, riducendo il rischio di greenwashing. La tassonomia può essere un buon inizio. Però ora è necessario che la Commissione Europea si adoperi per estendere questo approccio ad obiettivi sociali e di governance.

Non c’è il rischio che i Green bond possano servire a finanziare progetti impattanti da parte delle grandi aziende energetiche italiane e che sono stati (al momento) esclusi dal Recovery Plan? Ad esempio nei giorni scorsi la stessa Eni faceva riferimento all’utilizzo di Green Bond per finanziare l’impianto CCS di Ravenna. Come sarebbe possibile escludere ciò?

È indubbio che questo rischio esista, così come è chiaro che quando si parla di green e, in generale, di sostenibilità il rischio di greenwashing sia sempre presente. Per questo riteniamo che sia di fondamentale importanza dotarsi di un processo di valutazione e selezione preciso e rigoroso anche per questa tipologia di strumenti. Per poter entrare nei portafogli dei nostri fondi comuni, per esempio, la singola emissione deve superare una serie di controlli che si riassumono nell’applicazione di criteri negativi di esclusione di determinati settori o attività e nell’applicazione di criteri positivi di valutazione basati su temi di sostenibilità.

Nello specifico, Etica Sgr esclude i green bond di emittenti che appartengono a settori quali per esempio gli armamenti, il gioco d’azzardo, i combustibili fossili, di realtà che utilizzano o sviluppano energia nucleare o che sono in possesso di sabbie bituminose o coinvolte in episodi negativi non solo per quanto riguarda il rispetto dell’ambiente, ma anche nell’ambito della corruzione e del rispetto dei diritti dei lavoratori. Quindi la prima analisi è dell’emittente e del settore di appartenenza, con esclusioni ben precise legate non solo a temi ambientali.

I green bond che hanno superato il filtro precedente, devono poi essere accompagnati da una “Second Party Opinion”, una sorta di certificazione che può essere rilasciata da vari soggetti (come ad esempio società di rating ESG, società di revisione, ecc.) capace di attestare la natura green del bond. Questa certificazione viene ulteriormente analizzata da Etica Sgr, e solo se dalla nostra valutazione emerge un risultato positivo, ovvero supera una certa soglia definita internamente, l’obbligazione può entrare a far parte del portafoglio dei nostri fondi.

Vi convincono le esclusioni che si trovano nel Quadro di riferimento per le emissioni dei nuovi Btp green (Estrazione, lavorazione e trasporto di combustibili fossili, Fissione nucleare; Impianti di energia con livelli di emissione CO2 superiori a 100g CO2/kWh; Lavorazione e produzione di bevande alcoliche; Contratti militari; Gioco d’azzardo; Produzione di armi; Lavorazione e produzione di derivati del tabacco; Attività mineraria)? O si poteva fare di più?

L’emissione del BTP Green è un passo importante per l’Italia ed è inquadrata all’interno di un forte impegno del nostro Paese verso la decarbonizzazione e il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 e gli obiettivi fissati dal Green Deal europeo. Tra l’altro nessuno dei progetti finanziati dal BTP Green rientra tra quelli del piano Next Generation EU: il che significa che non ci saranno doppi conteggi, e che saranno finanziati progetti diversi (e aggiuntivi) rispetto a quelli che otterranno il supporto del Recovery Fund.

Il quadro di riferimento per l’emissione di titoli di Stato green è stato predisposto seguendo le linee guida elaborate dalla International Capital Market Association (ICMA) e la bozza degli “EU Green Bond Standards”. L’emissione ha ottenuto anche second Party opinion favorevoli da agenzie qualificate. Le spese ammesse devono fare parte del Bilancio dello Stato e rientrare in uno dei settori green: fonti rinnovabili, efficienza energetica, trasporti, prevenzione e controllo dell’inquinamento e economia circolare, tutela di ambiente e della diversità biologica ed economia circolare. I proventi saranno dunque impiegati per finanziare progetti a impatto ambientale positivo in linea con gli SDGs (Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite) e con gli obiettivi della tassonomia UE delle attività sostenibili.

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Quali sono più in generale i vostri consigli su una finanza davvero etica e condotta dagli Stati? E quale può essere il ruolo in questo senso delle aziende partecipate dallo Stato?

La Commissione europea sta dimostrando un grande impegno ad orientare lo sviluppo economico, tra l‘altro chiamando in causa direttamente il sistema finanziario in quanto “motore dell’economia”, al fine di convogliare le energie verso uno sviluppo sempre più sostenibile e responsabile. Per farlo gli operatori del settore, a nostro avviso, devono fare un passo in più verso un modello di finanza non solo “sostenibile” ma “etica”. Per esempio investire a tutti livelli (sia nel pubblico che nel privato) in progetti che abbiano un impatto positivo, capaci di generare un cambiamento dello stile di vita delle persone e delle aziende, progetti veramente attenti all’economia reale. Si tratta di un cambiamento culturale che la finanza etica può e deve supportare, ma dal quale gli Stati non possono essere esclusi. Ed è necessario che, soprattutto a livello di investimenti pubblici, si facciano scelte importanti in grado di valorizzare l’innovazione e correggere le distorsioni economiche, puntando verso un’economia circolare e davvero etica, che mette al centro le persone e l’ambiente.

Dal punto di vista degli Stati, a livello comunitario, occorre incoraggiare l’adozione di piani di sviluppo e transizione comuni ed evitare le differenze di approccio e velocità. Si è visto che, per quanto riguarda la tassonomia, è già è iniziata l’opposizione di alcuni Stati membri: da un lato i Paesi dell’Est Europa che spingono affinché faccia spazio al gas. Dall’altro i Paesi del Nord Europa, che ritengono troppo stringenti i criteri richiesti per lo sfruttamento delle foreste.

Per quanto ci riguarda anche l’approccio all’investimento in strumenti finanziari emessi e garantiti dagli Stati è caratterizzato da un’analisi dettagliata e rigorosa ed escludiamo, non solo a livello europeo, gli Stati che non superano il nostro processo di selezione, cercando di valutarne la sostenibilità a 360 gradi.

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