La ‘ndrangheta che fa la ‘ndrangheta offrendo i suoi servigi a imprese del rinomato Made in Italy conciario toscano. Senza troppo rumore, avvinghiando nella stessa morsa il ciclo dei rifiuti industriali e il ciclo del cemento, ovvero scarti prodotti dalle imprese private e cantieri aperti per costruire strade pubbliche. Cantieri che sono diventati la scena del crimine di questa criminalità al vetriolo, capace di succhiare linfa sia dai conti correnti privati che dalle casse dello Stato.
Un girone infernale truccato da economia circolare
È un vecchio trucco, già noto alle cronache sin dalle inchieste legate all’ecomafia campana, correvano gli anni Novanta e scorrevano fiumi d’inchiostro nei Rapporti Ecomafia di Legambiente, che anche per colpa dei fanghi e dei rifiuti dei distretti conciari (e non solo) di mezza Toscana ha trasformato ampie aree agricole delle province di Napoli e Caserta nella tristemente nota Terra dei fuochi. Una ecatombe ambientale di cui sopporteranno i conseguenti rischi sanitari anche le future generazioni, basta leggere gli aggiornamenti dei lavori epidemiologici dell’Istituto Superiore di Sanità.
A differenza del passato, questa volta i rifiuti toscani rimanevano in casa, provando a sfruttare le buone intenzioni dell’economia circolare. Uno spaccato ecocriminale che gli investigatori della Dda di Firenze hanno smascherato (dopo anni di osservazione) dando un’altra versione di quello che fino a ieri sembrava un modello di chiusura virtuosa del ciclo dei rifiuti, guardato con interesse da altri distretti italiani. Una forma concreta di economia circolare che, almeno da quello che si apprende dagli investigatori, appare oggi un dannato girone infernale nella terra di Dante.
Tonnellate di rifiuti contaminati finiti nei cantieri
Un trucco che in questo caso ha funzionato alla meraviglia potendo contare su almeno due impianti, uno a valle e uno a monte, un depuratore consortile e un impianto di produzione di aggregati riciclati. Un trucco che si reggeva proprio sul mancato rispetto di quelle regole che consentono di gestire i rifiuti senza avvelenare comunità, ecosistemi e paesaggi, consentendo di triplicare i guadagni in nero con un colpo di magia alla Houdinì.
Secondo l’accusa, il cosiddetto Keu, cioè il materiale inerte derivante dal trattamento dei fanghi prodotti dagli scarti della concia delle pelli (che dall’impianto di Aquarno andava all’azienda di trattamento), sarebbe stato miscelato con altri materiali e riutilizzati in attività edilizie sotto il controllo di aziende collegate a cosche di ‘ndrangheta, che controllavano, almeno così pare in questa fase, cantieri e movimento terra in piena Toscana. Per la precisione, circa 8.000 tonnellate di rifiuti contaminati – ceneri derivanti dai fanghi di depurazione troppo contaminate per essere riutilizzate in edilizia – sarebbero finite nella realizzazione del V lotto della Strada regionale 429 Empolese-Valdelsa. Nella movimentazione della terra i rifiuti mescolati sarebbero spariti senza troppi problemi in altri cantieri, come l’aeroporto militare di Pisa (che poi è stato bonificato e messo in regola), un terreno a recupero ambientale a Massarosa e un altro nella zona Green Park a Pontedera e ancora il cantiere della manutenzione straordinaria della strada provinciale 26 nel comune di Montatone.
Un escamotage per pareggiare i conti?
Scarti che contenevano alte concentrazioni di inquinanti, quindi che non avrebbero mai dovuto essere utilizzati per recupero in attività edilizie di riempimento di rilevati o ripristini ambientali, come invece accadeva puntualmente. Veleni, tra cui il cromo esavalente, mischiati a inerti, che adesso sono l’incubo delle comunità locali, che avevano già segnalato molte anomalie in quel via vai di camion e strani avvallamenti stradali. Considerando le difficoltà oggettive che incontra ogni giorno il settore degli aggregati riciclati, i cui costi di produzione (e trasporto) li pongono abbondantemente fuori mercato – almeno rispetto ai materiali vergini da cava -, sembra quasi che l’escamotage di mischiargli rifiuti tossici rappresenti, per colmo di paradosso, la strada più facile per pareggiare il conto. Come se l’insostenibilità economica di alcune filiere di riciclo possa essere risolta solo a forza di reati ambientali. Un tema che dovrebbe far riflettere, quantomeno i decisori politici.
Quelle salite create ad arte per nasconderci i veleni
È peraltro emblematico che a far partire le indagini siano state alcune segnalazioni di cittadini arrivate ai carabinieri forestali, che indicavano come nel canale di Usciana fossero sversati sistematicamente dal depuratore Aquarno liquidi neri e schiumosi, come è possibile vedere chiaramente dalle immagini riprese dai militari e diffusi dalla stampa. Le immagini dei fanghi mescolati alla terra, così come quei reflui non trattati come si deve e scaricati nel fiume sono immagini che sconcertano e che lasciano traccia indelebile nella memoria collettiva. Come evidenziano gli inquirenti, quelle strade costruite in maniera così anomala nient’altro che il risultato della cupidigia degli arrestati, che avevano gonfiato come un ventre tossico quelle arterie in costruzione. Rilevati stradali tirati su in assenza di gibbosità e di asperità orografiche. Così strade da sempre piatte erano diventate, improvvisamente, strade fintamente collinari per nascondere nel proprio grembo i veleni. Seppellire e seppellire rifiuti con la scusa di costruire una strada, fino a cambiare l’orografia dei territori, come in un brutto film distopico.
Tra le braccia delle ‘ndrine
Da sottolineare che, a differenza d’altre parti, a spingere i rifiuti di parte del distretto conciario toscano tra le braccia del malaffare non era la mancanza di alternative legali, ma il demone dell’arricchimento facile e ai danni della collettività, come visto mille altre volte.
Ciò che colpisce più di tutto è però la presenza della ‘ndrangheta. Come ha precisato la Dda di Firenze, è di particolare rilievo la circostanza che il titolare dell’impianto di trattamento abusivo di materiali riciclati dai reflui e dai fanghi delle concerie di Santa Croce sull’Arno (Pisa), “fosse in stretto contatto con ambienti di spessore criminale della cosca Gallace, i quali avevano preso il controllo del subappalto del movimento terra per la realizzazione del V lotto della Strada regionale 429 Empolese-Valdelsa”. Ancora peggio: “sarebbe un imprenditore a disposizione della cosca Grandi Aracri”, che si “mantiene in stretto contatto con gli affiliati” da cui arrivano ordini. Parte dei suoi soldi, sempre a detta degli inquirenti, servivano “a erogare nelle casse dell’organizzazione criminale gli illeciti profitti della propria attività”. Solo grazie a questi contatti sarebbe avvenuto con tanta tranquillità l‘illecito smaltimento dei rifiuti da parte da parte di chi si poteva vantare di avere le spalle coperte, persino nelle stanze della Regione.
Il ruolo delle cosche si materializzava anche mediante estorsioni e illecita concorrenza tramite violenza o minacce. C’è ora da capire quanti degli indagati fossero a conoscenza di questa presenza “ingombrante”. Sotto la lente degli inquirenti sono finiti anche i legami, che gli investigatori definiscono “di comodo”, con la “pubblica amministrazione aretina per l’assegnazione diretta di lavori per importi contenuti (sotto soglia), su cui sono in corso approfondimenti”.
Proroghe “immotivate” e adeguamenti mai effettuati
Anche in questo caso la green corruption, il saccheggio delle risorse ambientali consumato a colpi di tangenti, favori e altre utilità, avrebbe svolto il suo ruolo cruciale. La Procura contesta proroghe “immotivate” di autorizzazioni all’esercizio di impianti di smaltimento, in attesa di adeguamenti che in realtà non risulterebbero mai effettuati. Per anni, sostengono gli inquirenti, il consorzio che gestisce il depuratore sotto indagine avrebbe ottenuto contributi pubblici dietro la promessa mai mantenuta di abbattere l’impatto ambientale.
Di solito quando ci sono di mezzo più impianti e troppe carte da leggere, per gli inquirenti seguire i flussi illegali dei rifiuti diventa un labirinto per minotauri. Questa volta hanno trovato la via d’uscita e hanno accumulato prove pesanti come macigni per reggere l’accusa nel processo. In totale sono 63 le persone che dovranno rispondere di reati che vanno dall’associazione a delinquere aggravata dall’agevolazione mafiosa al traffico illecito di rifiuti, all’inquinamento e all’impedimento del controllo da parte degli organi amministrativi e giudiziari.
Se l’economia circolare e in genere la transizione ecologica non sono certo un pranzo di gala, dovendo superare mille ostacoli e risolvere mille conflitti, un’attenzione particolare deve essere riconosciuta a presidio della legalità, evitando che diventino l’ennesima occasione per una abbuffata di malaffare e/o di greenwashing, cioè di sostenibilità solo a parole. I controlli non devono valere solo sulla carte e rifarsi al mero principio dell’adempimento e l’etica della responsabilità deve riguardare ogni attore, perché l’illegalità non la si combatte solo con divise e codice penale. Non esiste sostenibilità senza legalità e non esiste alcun territorio immune da questo rischio. Ce lo dice questa inchiesta, ma non è la prima volta.
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