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venerdì, Novembre 15, 2024

Ricerca, soldi, lavoro (e qualche contraddizione). Il Regno Unito punta sulla circolarità

I finanziamenti del governo sono destinati a cinque centri di ricerca. Per stimolare l'innovazione e che potrebbe dare una spinta anche all'occupazione. Secondo uno studio del Green Alliance un rapido sviluppo dell’economia circolare potrà ridurre la disoccupazione di circa 102mila unità

Caterina Ambrosini
Caterina Ambrosini
Laureata in Gestione dell’ambiente e delle risorse naturali presso la Vrije Universiteit di Amsterdam con specializzazione in Biodiversità e valutazione dei servizi forniti dall'ecosistema. Da inizio 2020, collabora con l’Atlante Italiano dell’Economia Circolare nel lavoro di mappatura delle realtà nazionali e nella creazione di contenuti.

Buone notizie da oltremanica. Il Regno Unito ha deciso di mettere a disposizione 22,5 milioni di sterline (oltre 25,2 milioni di euro) a sostegno dell’economia circolare. L’obiettivo è quello di finanziare cinque centri di ricerca nel Paese per permettere all’industria tessile, delle costruzioni, chimica, dei trasporti, dell’elettronica e dei metalli di ridurre il proprio impatto sull’ambiente valorizzando i materiali di scarto.

Il supporto del governo britannico vuole nello specifico risolvere i problemi legati ai rifiuti, dare una spinta alle attività di riciclo, ma soprattutto creare un sistema più sostenibile per riprendersi dalla crisi pandemica. I finanziamenti destinati ai cinque Interdisciplinary Circular Economy Centres, situati a Londra, Loughborough e Exeter, fanno parte del fondo UK Research and Innovation’s Strategic Priorities fund (UKRI), che destinerà 4,5 milioni di sterline a ogni centro di ricerca. In ottica di tutela ambientale, il governo conservatore di Boris Johnson ha annunciato un piano di investimenti per una rivoluzione industriale verde del paese, con 12 miliardi di sterline destinati a dieci aree chiave e alla creazione di 250mila posti di lavoro. Un progetto con obiettivi ambiziosi e molte perplessità, soprattutto per il settore nucleare e le attività di carbon capture  (la cattura e lo stoccaggio, di solito sotto terra, dell’anidride carbonica), dove oltre ai rischi ambientali i costi altissimi potrebbero ricadere su consumatori e sull’industria. 

Cosa c’è oltre i soldi?

“La creazione di un’economia più circolare per i nostri rifiuti e risorse è al centro dell’agenda trasformativa di questo governo per l’ambiente, e ci impegniamo a andare avanti e velocemente per ridurre, riusare e riciclare più risorse” commenta Rebecca Pow, ministra dell’Ambiente britannico. Oltre ai 22,5 milioni del governo, le università ospitanti i progetti e i partner esterni hanno messo sul piatto altri 11,2 milioni di sterline. Inoltre, l’UKRI si occuperà di fornire supporto finanziario (2,5 milioni di sterline) a piccole e medie imprese che si troveranno a interfacciarsi con i centri di ricerca, e ad avviare un hub di coordinamento nazionale. Questi investimenti pubblici seguono la scia dei 350 milioni stanziati dal governo per decarbonizzare l’industria pesante inglese e accelerare la ripresa dell’economia nazionale in chiave green.

Con le emissioni dell’industria tessile britannica arrivate ai livelli di quelle derivanti dall’utilizzo di auto private, investire in un centro di ricerca che punta a ridurre gli impatti del settore appare centrale per la transizione circolare del Paese. Il Textile Circularity Centre (TCC), ospitato dal Royal College of Art di Londra, sta lavorando per dare nuova vita a tessuti post consumo, scarti tessili e rifiuti domestici: creare nuovi materiali da utilizzare nel settore, rinunciando a materie importate e a grandi impatti ambientali. Il centro di ricerca vuole valorizzare il marchio “progettato e creato in UK” e incentivare la circolarità delle risorse nel settore tessile, che stimolerà l’innovazione, la produzione manifatturiera nazionale e le piccole e medie imprese.

Allo stesso tempo, la circolarità nell’utilizzo delle risorse porterà il Paese a ridurre la sua dipendenza dall’importazione di materiali spesso non amici dell’ambiente ed eticamente scorretti. Per permettere questa transizione, il TCC supporterà le piccole e medie imprese tessili con innovazioni nel campo dei materiali, nella fabbricazione di prodotti, nell’esperienza dei clienti, ma anche nella progettazione di una filiera adatta a questo nuovo scenario. Sono infatti tre le aree di ricerca del centro. La prima, che si occupa della ricerca sulla circolarità dei materiali, si focalizzerà sulla trasformazione degli scarti in nuovi materiali rigenerati: tramite l’utilizzo delle biotecnologie il rifiuto sarà convertito per la produzione di nuovi polimeri e fibre. Per spingere sull’acceleratore della circolarità, i processi tecnologici utilizzati faranno affidamento solo su materiali locali. L’area del TCC che si occupa della progettazione della filiera punterà i riflettori sull’utilizzo di strumenti che permettano una filiera circolare con flussi stretti, corti e chiusi delle risorse, e analizzerà la configurazione e le tecnologie più adatte a una filiera circolare di tessuti a base biologica. L’ultimo ramo avrà al centro invece il consumatore e il suo benessere legato al flusso di risorse. Il TCC creerà un laboratorio dedicato alla cultura del prodotto e un framework con cui poter progettare l’esperienza del consumatore: il centro di ricerca vuole fare del consumatore un co-creatore attivo nel ciclo sostenibile del prodotto.

Gli altri centri

Tra i centri finanziati dal governo, ci sarà l’Interdisciplinary Circular Economy Centre for Mineral-based Construction Materials (ICEC-MCM). Le attività portate avanti dall’University College of London si focalizzeranno su una migliore progettazione e produzione di prodotti e strutture fatte di materiali minerali. Parliamo quindi di come diminuire i rifiuti, l’inquinamento e i costi del settore delle costruzioni esplorando un più efficiente uso e recupero di materiali come aggregati, cemento e mattoni. Tramite il progetto, il centro porrà fine alla produzione di 154 milioni di tonnellate di rifiuti minerali all’anno e ridurrà le estrazioni minerarie del paese di più di mezzo milione di tonnellate al giorno. Nell’Università di Loughborough, invece,  l’Interdisciplinary Centre for Circular Chemical Economy ha l’obiettivo di mettere in pratica processi per il recupero e riuso di composti ottenuti dal petrolio da prodotti a fine vita e dalle emissioni di CO2. Si vuole con questo progetto diminuire la dipendenza dell’industria chimica britannica da fonti fossili. Gli ultimi due centri interessati dal finanziamento si occupano di metalli. Il primo, con sede a Exeter, vuole un’economia circolare nazionale per i metalli provenienti da apparecchiature tecnologiche, mentre il centro dell’Università Brunel di Londra esplorerà come poter riciclare i metalli per un loro secondo utilizzo nei settori aerospaziale, dell’elettronica e dell’automobile.

Più occupazione e meno differenze

Finanziare i centri di ricerca stimolera l’innovazione ma potrebbe dare anche una spinta alloccupazione. Ma quale è il rapporto tra mondo del lavoro e economia circolare nel Regno Unito? Il Green Alliance, un gruppo di esperti indipendente nel campo dell’ambiente, ha puntato i riflettori sull’economia circolare e su come un suo possibile sviluppo possa avere degli impatti sul mercato del lavoro britannico, caratterizzato da un’ampia disparità sia a livello regionale che a livello di qualifiche dei lavoratori. La ricerca ha analizzato diversi scenari di sviluppo dell’economia circolare britannica, da uno più modesto a uno più dirompente, portando a galla una vasta gamma di opportunità in ambito occupazionale. Per prima cosa, incentivare l’economia circolare porterebbe a ridurre le differenze tra regioni britanniche in termini di disoccupazione, creando opportunità lavorative diffuse sul territorio.

Il livello attuale di sviluppo dell’economia circolare produrrebbe negli anni un’aumento dei posti di lavoro soprattutto nelle regioni con il tasso di disoccupazione maggiore. Secondo lo studio, l’effetto “spostamento” dei posti di lavoro dalle attività lineari a quelle lineari, senza dunque produrre nuova occupazione,  può essere ridotto poiché le attività circolari riguardano lavoratori con diversi livelli di abilità e competenze. Puntare sulla circolarità in maniera più consistente vorrebbe dire dare una spinta alle attività di servitizzazione, riparazione e rigenerazione. E proprio per quanto riguarda occupazioni di livello medio, come la rigenerazione e il riciclo, le proiezioni nazionali stimano una riduzione importante nei prossimi anni che potrebbe essere moderata dall’avanzare di opportunità lavorative circolari che interesseranno principalmente questa categoria. La speranza è che il paese continui a credere nell’economia circolare, il che gioverebbe al mercato del lavoro britannico: secondo il Green Alliance, un think tank indipendente che si occupa di ambiente, un rapido sviluppo dell’economia circolare potrà ridurre la disoccupazione di circa 102mila unità e compensare fino al 18% del calo di occupati qualificati previsto nei prossimi 10 anni.

Al netto di alcune contraddizioni, il governo britannico sembra effettivamente scommettere sull’opportunità di cambiare paradigma e il ministro dell’energia Kwasi Kwarteng si dice “onorato di supportare questi nuovi centri di ricerca all’avanguardia che trasformeranno il modo in cui l’industria riusa e ricicla i materiali”, parlando di “un altro grande passo avanti mentre si cerca di uscire più ‘green’ dal coronavirus e di raggiungere l’obiettivo emissioni zero entro il 2050”.

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