Il metano è quattro volte più sensibile al riscaldamento globale di quanto si pensasse: è il risultato principale di uno studio, effettuato da alcuni scienziati dell’università di Singapore, che lancia un nuovo allarme in merito alle torride temperature di questi mesi. Perché quella tra il gas serra e la crisi climatica è un circolo vizioso all’aumentare del primo aumenta la seconda, e viceversa. Una catena che va assolutamente spezzata.
Ad affermare questa tesi, con tanto di dati e prove, sono gli scienziati Simon Redfern e Chin-Hsien Cheng, i quali hanno utilizzato le misurazioni provenienti dalla US National Oceanic. Gli scienziati si sono resi conto che c’era qualcosa che non andava: nonostante la pandemia e la riduzione dei consumi, infatti, la presenza del metano nell’atmosfera è aumentata.
Di più: la crescita di questo gas serra – che nell’arco di 20 anni è più di 80 volte più potente dell’anidride carbonica, come ha ricordato recentemente l’Onu – era rallentata all’inizio del Duemila ma dal 2007 ha incontrato un rapido e inarrestabile aumento. Raggiungendo quasi il triplo dei livelli preindustriali. A cosa si deve questo dato così preoccupante?
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Più caldo più metano, più metano più caldo
In pratica gli scienziati dell’università di Singapore hanno accertato una perversa correlazione: più fa caldo più aumenta la presenza del metano, e più metano c’è nell’aria più si alzeranno ulteriormente le temperature. Più nello specifico è la proliferazione degli incendi che, secondo quanto accertato dallo studio, provoca un rallentamento della reazione chimica che rimuove il metano dall’atmosfera.
Infatti il modo predominante in cui il metano viene “aspirato” è attraverso la reazione con i radicali idrossilici (OH) nell’atmosfera. Ma la presenza del monossido di carbonio che si genera col fuoco altera l’equilibrio chimico, portando i radicali idrossilici a reagire anche con il monossido di carbonio in eccesso che viene pompato dalla combustione.
In questo modo viene ridotta la presenza dei radicali idrossili e il metano, che ha un’enorme capacità di persistere nell’atmosfera (circa dieci anni), la fa da padrone. “Ciò che è stato particolarmente sconcertante è stato il fatto che le emissioni di metano sono aumentate a tassi ancora maggiori negli ultimi due anni, nonostante la pandemia globale, quando si presumeva che le fonti antropogeniche fossero meno significative”, ha affermato a The Guardian Simon Redfern.
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Con più metano non andremo lontano
Le scoperte dei due scienziati dell’università di Singapore sono state pubblicate sulla rivista Nature Communications. E, appunto, suggeriscono che il riscaldamento globale è quattro volte più influente nell’accelerare le emissioni di metano di quanto stimato in precedenza, perché l’aumento delle temperature aiuta a produrre più metano (accelerando l’attività dei microbi nelle zone umide, ad esempio), mentre allo stesso tempo tempo rallenta la rimozione del metano dall’atmosfera (con un numero crescente di incendi che riducono la disponibilità di radicali idrossilici nell’atmosfera superiore). “È stato un risultato davvero scioccante e sottolinea che gli effetti del cambiamento climatico possono essere ancora più estremi e pericolosi di quanto pensassimo”, ha affermato ancora Redfern.
Vale la pena ricordare, come fa ad esempio The Guardian, che “circa il 40% delle emissioni di metano proviene da fonti naturali come le zone umide, mentre il 60% proviene da fonti antropiche come l’allevamento di bovini, l’estrazione di combustibili fossili e le discariche. Le possibili spiegazioni per l’aumento delle emissioni di metano vanno dall’espansione dell’esplorazione di petrolio e gas naturale, all’aumento delle emissioni dall’agricoltura e dalle discariche e all’aumento delle emissioni naturali quando le zone umide tropicali si riscaldano e la tundra artica si scioglie”.
Sappiamo tutti che l’obiettivo principale degli Stati a livello globale è la decarbonizzazione, vale a dire l’assenza di emissioni (e non le emissioni zero da raggiungere attraverso le compensazioni) dell’anidride carbonica. Quel che sottolineano Redfern e Cheng è che, seppur la riduzione del carbonio deve restare una priorità, il loro studio conferma che la presenza del metano non può essere ignorata.
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