Il rischio di sostituire la plastica monouso con plastica compostabile sempre monouso – che la settimana scorsa ha acceso polemiche a distanza nel nostro Paese – è arrivato sul sito di quella che unanimemente viene considerata l’autorità in tema di economia circolare, la Ellen MacArthur Foundation.
Il 26 del mese scorso, infatti, è stato pubblicato il contributo di una freelance editor, Laura Collacott, intitolato “Abbiamo bisogno di imballaggi compostabili, ma sono ancora monouso”. Cuore dell’articolo, il rischio di considerare la bioplastica compostabile una soluzione buona per tutti i mali, a prescindere dalla gerarchia dei rifiuti che, prima del riciclo, mette la riduzione dei rifiuti.
Una risosta all’inquinamento da plastica, ma non una panacea
Scrive Collacott: “Gli imballaggi compostabili sono comunemente visti come una risposta all’inquinamento da plastica, ma sebbene abbiano un ruolo da svolgere in un’economia circolare, non sono un silver bullet, un proiettile d’argento”. Perché “quando un imballaggio viene utilizzato una sola volta, indipendentemente da come viene poi smaltito, è monouso. Mentre la massima priorità dovrebbe essere in primo luogo la prevenzione dei rifiuti“. Collacott, come vedremo, scrivendo di monouso compostabile non butta via il bambino con l’acqua sporca (cita anzi delle buone pratiche, anche italiane) ma richiama l’attenzione sui problemi legati ad assumere il compostaggio (e il riciclo) come buono a prescindere, senza considerare il contesto e le alternative possibili.
Mentre il monouso in plastica diventava il simbolo del modello economico lineare (pruduci-consuma-butta) il passaggio agli imballaggi compostabili è sembratato, leggiamo, “una soluzione intuitiva e popolare”. Lo dimostrano i dati sulla crescita del mercato: Collacott cita Vegware, fornitore britannico di imballaggi compostabili a base vegetale, che ha visto le vendite aumentare del 53% nel 2019 e di un ulteriore 43% nel 2020. Tendenze comuni a Europa (anche Italia), Nord America e Asia e che, spiega, sembrano destinate a continuare. Tuttavia, ammonisce l’autrice, “gli imballaggi compostabili non sono una panacea”.
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Limiti di raccolta, selezione e trattamento
Collacott, nel suo ragionamento, allarga lo sguardo all’intero contesto e non solo all’ultimo anello della filiera: “Innanzitutto, i prodotti monouso, compostabile o meno, tendono a consumare più energia e a produrre più emissioni rispetto alle alternative riciclate o riutilizzate”.
Nell’articolo sul sito della Mac Arthur Foundation vengono poi chiamati in causa limiti nella raccolta, selezione e trattamento di questi materiali. “Ad esempio, sebbene il Regno Unito abbia investito molto in impianti di digestione anaerobica per trattare i rifiuti alimentari, l’infrastruttura di compostaggio industriale non è ancora sufficiente a gestire gli imballaggi compostabili su larga scala”. Il ragionamento ricalca quello fatto da Greenpeace Italia qualche settimana fa: un conto è “compostabile” un conto è effettivamente compostato. “Sistemi di raccolta differenziata inadeguati fanno sì che i prodotti compostabili spesso finiscano nei flussi sbagliati, contaminando interi lotti di prodotti riciclabili e condannandoli alla discarica”. Questo ammesso che le bioplastiche vengano differenziate a dovere: ma “la stragrande maggioranza non lo è”: “Nel Regno Unito, solo 1 tazza da caffè da asporto su 400, compostabile o meno, finisce in una struttura di trattamento adeguata. Il resto viene cestinato nell’indifferenziato o disperso nell’ambiente”.
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Prevenire è meglio che curare
Nell’articolo pubblicato dalla MacArthur Foundation, ovviamente, vengono richiamati i fondamenti della gerarchia dei rifiuti. Nell’economia circolare, ricorda Collacott, il riciclo è importante, ma solo dopo il riuso: “Più un prodotto può rimanere intatto nel suo ciclo di vita, meglio è poiché conserva non solo il materiale, ma anche il lavoro e l’energia che incorpora”. Come regola generale, quindi “mantenere la forma dell’imballaggio (ad esempio attraverso il riutilizzo) è preferibile piuttosto che macinare l’imballaggio (ad esempio attraverso il riciclaggio meccanico), che, a sua volta, è da preferire rispetto al riciclo chimico”. L’autrice cita a sostegno anche il World Economic Forum: “In un’economia circolare ben costruita, ci si dovrebbe piuttosto concentrare sull’evitare a tutti i costi la fase del riciclaggio: prevenire la creazione di rifiuti in primo luogo è l’unica strategia realistica”. E Greenpeace USA: “Le aziende devono impegnarsi nella riduzione generale degli imballaggi e passare a sistemi di alternativi come il riutilizzo e la ricarica“. L’economia circolare, sottolinea Collacott, “dà priorità alle soluzioni a monte che affrontano i problemi alla fonte, eliminando gli imballaggi non necessari e facendo circolare quelli necessari”. E ricorda i sistemi di deposito su cauzione per le tazze da caffè riutilizzabili; la marcatura laser per alcuni tipi di frutta e verdura, che permette di eliminare involucri di plastica e adesivi; o i sacchetti di iuta, riutilizzabili e compostabili a fine vita.
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Quando il compostaggio è ‘la’ soluzione
Come abbiamo già detto, l’intervento di Collacott non sfocia nell’integralismo e riconosce i vantaggi delle plastiche compostabili: “Ci sono casi in cui scelte compostabili ben congegnate sono la soluzione migliore per un’economia circolare, in particolare quando restituiscono sostanze nutritive al suolo e contribuiscono costruire un sistema alimentare sano”. Vengono ricordati, ad esempio, i casi degli adesivi compostabili per la frutta; oppure l’utilizzo di bustine ottenute da alghe per le salse. E poi i festival o gli eventi sportivi: ”L’utilizzo di imballaggi compostabili significa che il cibo non consumato e gli avanzi possono essere gettati in un unico bidone, preservando i nutrienti degli alimenti senza contaminare il flusso degli altri rifiuti”. A Milano, ricorda Collcott, “le autorità municipali hanno triplicato la raccolta differenziata dei rifiuti alimentari fornendo ai residenti cestini ventilati e sacchetti compostabili, consentendo la produzione di compost di buona qualità per gli agricoltori”.
Gli imballaggi compostabili, dunque, sono una delle molteplici soluzioni necessarie per prevenire gli sprechi, mettere in circolo i materiali e rigenerare la natura, ricorda Collacott. Per aumentare il tasso di rifiuti organici raccolti e trattati “le strutture industriali nei prossimi anni dovranno essere adeguatamente dimensionate a livello globale”. Serviranno investimenti nelle infrastrutture di raccolta e trattamento: “Lo schema di Responsabilità estesa del produttore (EPR) di imballaggi compostabili in Italia è un esempio di meccanismo per la raccolta di fondi necessari”. Serviranno poi, prosegue l’autrice, sistemi di etichettatura e flussi di raccolta “che separino efficacemente i materiali compostabili dagli altri”. La tecnologia, come quella delle filigrane digitali, daranno un aiuto. “Ma prima di passare a soluzioni compostabili – conclude – le aziende dovrebbero chiedersi se l’eliminazione o il riutilizzo sarebbero soluzioni migliori. Dopotutto, ciò che dobbiamo davvero affrontare è la nostra economia dello scarto”.
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