L’estate è ormai terminata, all’orizzonte, in molte città d’Italia, si sono affacciate le prime nuvole cariche di pioggia e dagli armadi vengono recuperati gli ombrelli.
Tra i primi regali che feci a mio marito (allora fidanzato) ricordo proprio un ombrello: bello e durevole, nelle mie intenzioni, doveva sostituire quelli “usa e getta” fino ad allora da lui usati che, solitamente acquistati per strada sotto la pioggia, non facevano in tempo ad arrivare integri nemmeno a casa o in ufficio. Se la memoria non mi inganna, nel 2010, costò 35 euro ed oggi, dopo oltre undici anni, al netto di un’asticella un po’ deformata, continua a svolgere egregiamente il proprio compito. L’anno seguente ci sposammo e andammo in viaggio di nozze in Giappone. Era il 2011, nel paese del Sol Levante la raccolta differenziata era pressoché inesistente, ogni frutto era avvolto da tantissima plastica e quando pioveva per le strade si trovavano cumuli di ombrelli rotti (dei quali riporto una foto).
Se chiedessi ad ognuno di voi se adopera sportine riutilizzabili, quasi tutti inizierebbero a fare l’elenco di tutti gli esemplari che portano in borsa, in auto e nei cassetti in ufficio. Allora, mi domando, perché non investite qualche euro per acquistare ombrelli riutilizzabili?
Sì, è vero, nessun ombrello riporta impressa la dicitura “usa e getta” ma è facile riconoscere un esemplare di scarsa qualità ed evitare quindi di contribuire ad allargare un fenomeno che vede ogni anno la dispersione nell’ambiente di decine di migliaia di ombrelli rotti così come dimostrano le foto di “cimiteri” di ombrelli scattate in varie città dopo una pioggia intensa.
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Dove si butta un ombrello rotto
Ad oggi non esiste alcuna norma che regolamenti le modalità di realizzazione degli ombrelli, né, salvo alcune eccezioni locali, è prevista una raccolta differenziata che consenta di disassemblare e riciclare le componenti recuperabili. In questo contesto gli ombrelli rotti vanno conferiti nella raccolta indifferenziata ovverosia nel cosiddetto secco.
Pensate che, secondo le stime, ogni anno oltre un miliardo (1.000.000.000!) di ombrelli finiscono nei rifiuti portando una mole insostenibile di metallo, poliestere e plastica a giacere in discarica per anni.
Non va meglio se, come alternativa, si utilizzano le mantelline di plastica monouso: pensate che, nella sola Hong Kong, in una stagione delle piogge possono essere abbandonati nell’ambiente oltre 14 milioni di esemplari.
Peraltro solitamente questi oggetti vengono realizzati, in tutto o in parte, in altri Paesi o addirittura in altri continenti con un forte impatto anche in termini di trasporto, oltre che di materie prima, energia e acqua. A ciò si aggiunge il fatto che – fateci caso – quando si rompono, gli utilizzatori “pensano bene” di abbandonarli per strada, in aiuole, in parchi o gettarli erroneamente in uno dei secchioni destinato alla raccolta differenziata.
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Chi è e che cosa fa l’ombrellaio e perché è un mestiere che sta sparendo
“È arrivato l’ombrellaio… si riparano ombrelli”: se chiedessimo di alzare la mano a chi non ha mai sentito provenire questa frase da un megafono installato su un’auto in transito quasi certamente vedremmo innanzi a noi una distesa di braccia abbassate. Questo artigiano, solitamente ambulante, ripara e rattoppa gli ombrelli che, a causa della pioggia e del vento, iniziano a dare i primi segni di cedimento. Le armi del mestiere sono fili di ferro, pezzi di ricambio (come le stecche e i frammenti di stoffa, spesso recuperati da ombrelli non più riparabili), pinze, ago e filo.
Da vero professionista dell’economia circolare, sa rigenerare gli esemplari migliori sostituendo qualche pezzo, potendo anche vendere ombrelli di seconda mano ad un prezzo stracciato. Purtroppo, però, sono sempre di meno le persone che si rivolgono a questo tipo di artigiano anche perché, paradossalmente, se spendere pochi euro per riparare un ombrello è considerata una follia, magari si paga una cifra maggiore per acquistare un ombrello di dubbia qualità e durata.
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Ombrelli dai materiali ecosostenibili
Per fortuna non tutto è perduto. Sono sempre più i produttori di questo irrinunciabile prodotto antipioggia che decidono di realizzare modelli ispirandosi ai principi di economia circolare. Ad esempio la Collezione Perletti Green offre ombrelli il cui tessuto RPET è ottenuto da bottiglie di plastica riciclate mentre il bottone della chiusura e l’impugnatura ergonomica sono realizzati in legno biodegradabile. La Totes, invece, distribuisce Eco Brella, realizzato con materiali riciclati: la sua copertura deriva al 100% da bottiglie di plastica PET riciclate. La sostenibilità prosegue col telaio composto al 70% materiali riciclati e con la maniglia in bambù. Un altro esempio arriva dalla Schirmmacher, ditta che realizza ombrelli ecosostenibili promozionali e che punta sull’ecosostenibilità del ciclo di vita grazie alla scelta dei materiali e alla durata del prodotto, sottolineando l’impegno anche in termini di riduzione delle emissioni di CO2 nel trasporto (con una produzione in Europa) nonché di standard ambientali in fase di produzione. In relazione ai materiali utilizzati, si parla di eco-ombrelli in plastica riciclata, manici di bambù e perfino modelli biodegradabili.
Ombrelli costruiti per durare a lungo sono anche quelli ideati da U211: progetto a cura di Gianluigi Frezzini e Fabrizio Gagliano, si sostanza in un prodotto pensato per essere riparabile – a partire dai giunti, anello debole del meccanismo di apertura e chiusura, in caso di rottura – così da allungarne la vita, ma non solo: l’idea è anche che il modello sia il più possibile disassemblabile per poterne favorire la raccolta differenziata.
Materiali ecosostenibili, strutture più robuste e antivento sono le caratteristiche che potrete cercare al prossimo acquisto.
Questi sono solo alcuni dei tanti esempi oggi in fase di progettazione o in commercio, quindi è fondamentale iniziare a pensare anche a cambiare le nostre abitudini di consumo in un’ottica di economia circolare.
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