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venerdì, Novembre 15, 2024

Ecco quanto ci costa, secondo Greenpeace, la plastic tax che ancora non entra in vigore

L’associazione ha presentato un report per misurare gli effetti dei posticipi (sono stati superati i tre anni) dell’entrata in vigore di un provvedimento “non più rimandabile” che, tra l'altro, ci avrebbe permesso di utilizzare il gettito (1,2 miliardi di euro ) per pagare la plastic tax europea

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Redazione EconomiaCircolare.com

Approvata con la legge di bilancio del 2020, la plastic tax italiana sarebbe dovuta entrare in vigore a luglio 2020, ma l’esecutività è stata posticipata da ben tre governi (Conte 2, Draghi e Meloni): ad oggi dovrebbe partire il primo gennaio 2024 ma l’attuale esecutivo ha detto a chiare lettere che l’obiettivo è cancellarla. E se invece tutti questi rinvii non ci fossero stati? La domanda se l’è posta Greenpeace, che sul tema ha presentato la ricerca “I posticipi della plastic tax. Come lo Stato ha favorito un settore industriale che continua a realizzare grandi profitti”, diffuso ieri sera in anteprima su Rai3 da Report. La risposta dell’associazione è semplice: il Paese ci avrebbe guadagnato. Dal punto di vista del bilancio (avremmo potuto utilizzare i circa 1,2 miliardi di euro di gettito dalla plastic tax italiana per pagare quella europea: 800 milioni di euro stimati per il 2021); dal punto di vista ambientale, incentivando di fatto il riciclo; e da quello dalla competitività, aiutando le riconversione delle imprese verso business più sostenibili.

Scelte politiche miopi che costeranno ancora più care al sistema Paese – leggiamo nella nota di Greenpeace – visto che per il solo 2021 l’Italia potrebbe essere costretta a versare circa 800 milioni di euro per la plastic tax europea calcolati sulla quantità di imballaggi in plastica che non siamo in grado di riciclare. Si tratta di aggravi che oggi pesano solo ed esclusivamente sulle casse pubbliche e che potevano essere in parte coperti dalla plastic tax italiana”.

Invece, sottolinea l’associazione, “l’introduzione di questo provvedimento viene considerata non più rimandabile da importanti organismi internazionali (OCSE), non solo per realizzare una vera economia circolare, ma anche per ridurre l’inquinamento da plastica usa e getta. In Italia, invece, la Plastic Tax continua a essere rinviata, assecondando il volere di un’industria inquinante che continua a fare enormi profitti”.

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Che cos’è la plastic tax italiana e quanto varrebbe

La Legge di Bilancio per il 2020 ha introdotto la plastic tax, un’imposta sul consumo dei manufatti in pla­stica monouso utilizzati per l’imballaggio delle merci e dei prodotti alimentari (i cosiddetti “manufatti con singolo impiego”, MACSI). La tassa si applica anche a tutti quei MACSI fabbricati, anche solo in parte, in plastica, mentre sono esclusi i prodotti compostabili e i quali che genericamente potremmo definire prodotti medici.

Greenpeace ha calcolato che dal 2020 al 2023, se la plastic tax fosse entrata in vigore avrebbe portato ingenti quantità di denaro alle casse pubbliche in termini di gettito fiscale: circa 1,2 miliardi di euro. Questo in base alla versione pari a 0,45 € per chilogrammo (a questa cifra si arriva durante l’iter legislativo per l’approvazione; inizialmente, infatti, la tassa prevedeva un’imposta pari a 1 euro per chilogrammo).

La plastic tax sarebbe dovuta entrare in vigore inizialmente a luglio 2020 ma, nella fase più critica della pandemia, il Governo Conte 2 l’ha posticipata due volte: prima al 1° gennaio 2021, con il decreto “Rilancio” (decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34), poi al 1° luglio 2021, con la Legge di Bilancio 2021. Anche il Governo Draghi ha continuato a posticipare l’entrata in vigore della Plastic Tax: con il decreto “Soste­gni bis”, infatti, la Plastic Tax è stata prima rinviata al 1° gennaio 2022 e, ancora, al 1° gennaio 2023 con la recente Legge di Bilancio 2022. Il Governo Meloni ha infine introdotto, nel disegno di Legge di Bilancio per il 2023, un’ulteriore proroga al 1° gennaio 2024.

Il motivo dei rinvii

I detrattori hanno sempre accusato la Plastic Tax di introdurre “costi insostenibili che causerebbero la perdita di competitività del settore”. Sin dai primi mesi della pandemia nel 2020, i continui rinvii dell’entrata in vigore della tassazione sono stati motivati con la profondità della crisi economica in atto, una cornice in cui l’imposizione di nuovi prelievi avrebbe penalizzato settori già pesantemente colpiti dalla recessione.

La pensa diversamente Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia: “In questi anni abbiamo spesso sentito l’industria italiana lamentarsi per l’introduzione della tassa sulla plastica, paventando crisi, chiusure aziendali e perdite di milioni di posti di lavoro. I nostri dati dimostrano come questo teatrino non avesse alcun fondamento reale”, Invece, spiega, “non solo l’industria gode di ottima salute, ma continua a fare enormi profitti a scapito di tutti noi: sono infatti a carico della collettività i costi derivanti dal mancato riciclo degli imballaggi in plastica in Italia, pari a circa 800 milioni di euro per il solo 2021”.

Alla base delle dichiarazioni di Ungherese ci sono i dati Istat raccolti dal report: “L’indice di produzione industriale, il margine operativo lordo e la produzione industriale venduta indicano come il comparto degli imballaggi abbia fatto registrare tra il 2020 e 2023 ottimi risultati, nonostante la crisi economica innescata dalla pandemia”.

Leggiamo ancora nel documento dell’associazione che, nonostante la battuta d’arresto dovuta alla pandemia, l’immissione al consumo di plastica da imballaggio è tornata a crescere del 3% nel 2021 rispetto al 2020 e, secondo le ultime previsioni del CONAI, è prevista in crescita a un tasso annuale dello 0,3% nel 2022, dell’1,9% nel 2023 e dello 0,9% nel 2024. Se nel 2019, infatti, sono stati immessi al consumo 2,31 milioni di tonnellate di imballaggi in plastica, CONAI prevede che nel 2023 ne saranno immesse al consumo 2,32 milioni di tonnellate.

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Greenpeace

“L’introduzione della Plastic Tax nei tempi originariamente previsti, perciò, avrebbe riguardato ambiti del settore della plastica che – particolarmente nel caso degli imballaggi in materie plastiche – hanno potuto recuperare rapidamente dalla pesante battuta d’arresto indotta dal Covid-19”.

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Greenpeace

La plastic tax europea

In vigore dal primo gennaio 2021, la Plastic Tax europea prevede il pagamento di 0,80 euro al chilogrammo per i rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati (mentre, come abbiamo visto, la Plastic Tax italiana prevede un’imposta sul consumo dei MACSI e non propriamente sul solo rifiuto di imballaggio). Il calcolo è basato sulla quantità di imballaggi in plastica che ogni nazione non riesce a riciclare e, costa all’Italia, secondo le stime della Commissione UE per il solo 2021, circa 800 milioni di euro (il dato definitivo dovrebbe arrivare questo mese). “Costi che oggi pesano solo ed esclusivamente sulle casse pubbliche e che potevano essere in parte coperti dalla Plastic Tax italiana”.

Il provvedimento europeo, ricorda Greenpeace, “non fa distinzione tra le diverse tipologie e caratteristiche dei polimeri: perciò, anche i rifiuti di imballaggi in plastica compostabile conformi alla UNI 13432:2002 rientrano nell’alveo della Plastic Tax europea”.

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Credito d’imposta e contraddizioni

In un Paese come l’Italia, i cui rappresentanti politici e industriali dichiarano di voler puntare sempre di più sul riciclo per ovviare alla crescente produzione e all’utilizzo di packaging in plastica, secondo Greenpeace “la mancata entrata in vigore della Plastic Tax rappresenta un’evidente contraddizione in termini politici, dal momento che si tratta di una tassa pensata proprio per far decollare il mercato dei prodotti riciclati visto che non si applica a tali materiali”. la Plastic Tax italiana, infatti, non è prevista per i polimeri riciclati: questo può costituire “un acceleratore della riduzione della produzione e dell’utilizzo di plastica vergine e, perciò, può determinare anche una diminuzione strutturale dei contributi che l’Italia dovrà versare all’Unione Europea”.

Inoltre, per poter incentivare investimenti di riconversione produttiva, la norma che ha dato il via libera alla Plastic tax italiana prevedeva anche un credito d’imposta pari al 10% delle spese sostenute nel 2020 per l’adeguamento tecnologico “finalizzato alla produ­zione di plastica compostabile secondo lo standard EN 13432:2002”. Ai continui posticipi della norma, lamenta Greenpeace, si è accompagnata la mancata adozione dei provvedimenti necessari a definire le modalità applicative del credito di imposta destinato alle aziende produttrici di MACSI: l’art. 1, comma 658 della legge di bilancio per il 2020 prevedeva infatti che, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della stessa legge, fosse adottato un decreto interministeriale (di concerto fra l’allora Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, l’allora Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero dell’Economia e delle Finanze) contenente le disposizioni applicative necessarie a rendere operativo il credito d’imposta.

Anche per questo l’associazione punta il dito contro la mancata entrata in vigore che “continua a tenere ancorato il settore del packaging a logiche produttive che appartengono al passato, sacrificando l’innovazione”.

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