“Il parere che il Senato ha votato ieri sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, a differenza di quello votato dalla Camera, ha mantenuto la posizione già espressa più volte dal Parlamento. Ovvero che l’idrogeno da finanziare con fondi pubblici è quello verde, cioè quello ottenuto da fonti rinnovabili attraverso l’utilizzo degli elettrolizzatori. Nel frattempo la produzione dell’idrogeno blu è consentita. Ma ciò è ovvio, visto che al momento la stragrande maggioranza dell’idrogeno utilizzato è addirittura quello grigio”. La posizione espressa al nostro Circular Talk sulle comunità energetiche dal senatore pentastellato Gianni Pietro Girotto, presidente della Commissione Industria Commercio e Turismo del Senato, si destreggia tra i colori dell’idrogeno per provare a fare chiarezza.
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Idrogeno, da una parte la realpolitik del Parlamento
D’altra parte, come abbiamo già ribadito più volte, proprio sull’idrogeno si gioca una delle sfide più importanti della transizione ecologica. E in realtà la sicurezza ostentata dal M5s, solo uno dei tanti partiti che sostiene l’eterogenea maggioranza di governo, viene meno se si fa riferimento proprio alla discussione parlamentare di ieri che ha discusso e votato, dopo un ampio confronto, la “relazione delle Commissioni riunite 5° e 14° sulla proposta di Piano nazionale di ripresa e resilienza”. Sono emerse, infatti, posizioni variegate sulla cornice ambientale e nello specifico sul tema energetico. Anzi, a dire il vero, di idrogeno si è parlato ben poco. Così quello che rimane sono i pochi accenni all’idrogeno che si trovano nella relazione, dove però si fa riferimento spesso a un vago futuro. Insomma, per il Senato l’idrogeno non è il presente.
“Si propone di prevedere, oltre agli incentivi a favore dell’elettrico da fonti di energia pulita e rinnovabile, anche incentivi a favore della ricerca e dello sviluppo delle tecnologie legate all’idrogeno green – si legge nella relazione approvata ieri – implementando l’uso delle attuali risultanze del settore, al fine di allineare l’Italia ad altri paesi europei, come Francia e Germania, che nel campo hanno investito ingenti risorse economiche, con l’obiettivo di affrancarsi per quanto possibile dal gas, idrocarburo altamente climalterante e corresponsabile dei gas serra, nella fase delicata della transizione energetica”.
Quindi, come ribadito proprio dal senatore Girotto ieri all’incontro promosso da EconomiaCircolare.com, “il finanziamento pubblico è per l’idrogeno verde. Fino a quando però non arriveremo a un volume tale da rendere l’idrogeno verde autosufficiente, si potrà usare l’idrogeno blu. In questo momento, insomma, gli incentivi devono andare alle rinnovabili e intanto si può usare il gas, le centrali non si possono mica spegnere dall’oggi al domani”. Anche sull’energia, dunque, vale la realpolitik.
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Idrogeno, dall’altra la realpolitik delle grandi compagnie
Alla concretezza del Parlamento fa quasi da contraltare, almeno all’inizio, il recente incontro promosso da Il Sole 24 Ore e incentrato proprio sulla strategia sull’idrogeno e sul suo ruolo nella transizione energetica. Ad aprire i lavori il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. A seguire un focus con i vertici di Eni, Enel, Snam, A2A, Italgas, gruppo Hera, Maire Tecnomont. Prima del forum ai partecipanti vengono mostrate le campagne promozionali delle aziende energetiche italiane. Le parole, i messaggi, perfino le immagini e i suoni sono uguali per tutte, e se non si andasse a vedere il committente si farebbe fatica a capire di chi si sta parlando, visto che tutte parlano allo stesso modo di economia circolare, transizione, digitalizzazione, per un mondo più sostenibile, con il futuro che dipende dalle scelte che facciamo e ovviamente è necessario cambiare ma possiamo farlo solo insieme, noi e le aziende, sempre all’insegna della decarbonizzazione. Quando però la discussione, avvenuta online lo scorso 30 marzo, entra nel vivo anche in questo caso torna la realpolitik.
“Siamo stati tra i principali giornali, e per molto tempo l’unico, ad affrontare il tema dell’idrogeno – ha affermato il direttore del quotidiano di Confindustria, Fabio Tamburini – Devo dire, con immodestia, che l’interesse attuale ci mostra che eravamo nel giusto. L’idrogeno può incrociare la propria strada con quella dell’economia circolare, non è detto che avvenga ma è bene che questo avvenga. Certamente c’è un problema di costi, al momento, ma vuol dire che la macchina deve andare a regime. C’è poi un altro problema, quello delle procedure: si devono rimuovere gli ostacoli procedurali e amministrativi che rende difficile, se non impossibile, passare dalle parole ai fatti”.
Il ministro Cingolani ha ricordato che “la sostenibilità è inevitabilmente un compromesso tra ambiente ed economia, ma bisogna mettere insieme le due istanze”. Pur evitando di entrare nei dettagli del PNRR, che dovrà essere consegnato entro il 30 aprile all’Unione europea, l’esponente del governo Draghi ha delineato i prossimi orizzonti italiani. “Faremo passaggi importanti, anche aggressivi, soprattutto sulle rinnovabili, che richiederanno passaggi estremamente rapidi – ha spiegato – Si pensi al fotovoltaico o all’eolico: se si decide di installare questo tipo di impianti i passaggi sono molto lunghi. Con questa efficienza noi non possiamo andare avanti, anche perché col Pnrr bisogna mostrare all’Europa gli stati di avanzamento, bisognerà in un certo senso far vedere le fattura. Stiamo lavorando a bandi ad hoc e sulla catena dei permessi. Dopo Pasqua porteremo già un pacchetto di idee, condivise coi ministri Brunetta e Giovannini, affinché i soldi che otterremo vengano davvero spesi”.
E, più nello specifico sull’idrogeno, Cingolani mostra di non essere granché convinto delle potenzialità (si pensi alla recente priorità data alla fissione nucleare, ad esempio). “Noi dobbiamo essere leader nella transizione, e siccome il mondo è orientato sull’idrogeno anche noi dobbiamo percorrere questa strada. Al momento i costi, come noto, sono molto alti, specie su quello verde. Bisogna creare una domanda intelligente, penso per esempio che i trasporti pesanti sono candidati per essere alimentati ad idrogeno, a patto che siano di massa. Serve poi una rete di distribuzione sulle strade, così come sono ancora poche le catene automobilistiche che si occupano di idrogeno. Il mercato è disposto a pagare qualcosa di più perché è verde, ma non si può chiedere beneficenza”.
Tuttavia, come ha ricordato Laura Villani, managing director di Boston Group, “l’ipotesi al 2050 è che tra il 10 e il 15% dei consumi europei sia possibile grazie all’utilizzo dell’idrogeno, con investimenti complessivi di circa 300 miliardi di euro. Francia e Germania sono le due nazioni che al momento più di tutte stanno investendo sulla creazione di una filiera che è ancora tutta da definire. Al momento l’1% dei consumi va già a idrogeno, che però è prodotto attraverso combustibili fossili. L’obiettivo è dunque quello di passare agli elettrolizzatori e alle rinnovabili. Al momento l’idrogeno verde costa circa 3 volte di più rispetto al grigio. La sostituzione dunque del diesel dei camion con l’idrogeno verde non avverrà a breve. Fino a questo momento – ha continuato Villani – a produrre gli elettrolizzatori sono piccole imprese, e c’è da immaginare che anche le grandi aziende vogliano entrare nel business”.
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Idrogeno verde, Enel contro tutte?
Vale la pena ricordare, in ogni caso, che soltanto le aziende energetiche presenti all’incontro de Il Sole 24 ore – caratterizzate quasi tutte dalla presenza dello Stato negli assetti societari – rappresentano il 10% del Pil italiano e prevedono l’impiego di 100mila persone. Sull’idrogeno, dunque, sarebbe auspicabile una convergenza. E invece è proprio sui colori, quindi sulla scelta di come alimentare il vettore energetico, che viene marcata da tempo una differenza notevole. Da una parte Enel è l’unica che insiste, così come il Parlamento, sull’idrogeno verde e dunque sull’utilizzo delle fonti rinnovabili. Dall’altra tutti gli altri colossi – da Eni a Snam – spingono per l’idrogeno blu e per quello grigio. Si tratta di una differenza sostanziale, specie perché il governo non ha ancora sciolto la riserva su quale tipo di idrogeno intende puntare sul Pnrr. Quando a febbraio il premier Mario Draghi è intervenuto in Parlamento non ha parlato di colori e di modalità di approvvigionamento. Molto più netto è stato nel suo intervento Francesco Starace, amministratore delegato di Enel, che ha bocciato nettamente l’idrogeno blu (pur senza nominarlo).
“L’utilizzo migliore per l’idrogeno è quello che sa sfruttare il suo alto contenuto energetico – ha osservato – Per questo motivo bisogna puntare sulla chimica e sulla decarbonizzazione dell’acciaio: sono questi i settori pesanti su cui bisogna puntare, altro che pensare al riscaldamento. L’idrogeno è incredibilmente energivoro. Essendo la più piccola molecola al mondo, questo influisce anche sul trasporto. L’idrogeno viene prodotto lì dove si consuma, perché è difficile e pericoloso da trasportare. Per farlo viaggiare bisogna comprimerlo enormente, e ciò richiede alta densità di energia. La cattura della Co2 e il suo stoccaggio è una tecnologia in giro da 20 anni, con notevoli problemi e difficoltà, e non si tratta di qualcosa di transitorio. In Australia ad esempio impianti del genere, che sono molto ottocenteschi e complessi sia disegnare che da gestire, riscontrano molti problemi. Tra l’altro se funzionasse, l’industria elettrica l’avrebbe già utilizzata, visto che sono stati spesi 10 miliardi di euro senza risultati ottimali. Ma quante parti di Europa vorrebbero impianti di ccs? Penso non tante. Si fa prima ad abbattere i costi degli elettrolizzatori che risolvere i problemi del ccs. Gli elettrolizzatori mi ricordano i pannelli solari, che avevano un utilizzo sperimentale (i primi furono installati nello spazio) e ora sono diventati mainstream”.
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“Non vedremo mai auto a idrogeno”
Pare di capire che, almeno al momento, che ciascuna big del settore energetico continuerà a perseguire la propria partita. Mentre appare comune l’idea che l’idrogeno avrà mercato non tanto sulla mobilità leggera quanto su quella pesante.
“I bisogni energetici a livello mondiale stanno salendo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Finalmente, dunque, abbiamo bisogno dell’idrogeno – ha commentato l’ad di Eni Claudio Descalzi – Si tratta di un vettore energetico che può dare un contributo importante ad esempio sul settore della mobilità pesante, insieme all’elettrico. Noi avremo stazioni multifunzionanti, con un poco di idrogeno e soprattutto elettrico e biogas. Io penso che in futuro ci sarà una crescita, ma non sulla mobilità leggera, perché l’idrogeno ha un’efficienza del 30% mentre l’elettrico del 70%, anche se l’idrogeno farebbe il pieno della macchina in pochi minuti. Quindi camion, navi e treni saranno i primi, credo, a usare l’idrogeno. Non bisogna cercare una contrapposizione tra idrogeno verde e blu. Il sistema energetico non è ideologico ma tecnologico. Noi andremo sull’idrogeno blu, che preferisco chiamare decarbonizzato, per togliere CO2 dalle nostre raffinerie, che funzionano con l’impianto Steam Reforming. Noi siamo i primi produttori e i primi consumatori dell’idrogeno, e non possiamo ovviamente chiudere le nostre raffinerie. Non definirei la Ccs come una sperimentazione. Faccio notare che il carbone è la risorsa più utilizzata ancora in campo elettrico (qui la frecciata a Enel è palese, ndr), nonostante da oltre 20 anni diciamo che deve scomparire. Questo ci insegna che dobbiamo porci obiettivi ambiziosi ma raggiungibili, e indicando come intendiamo traguardarli”.
Una posizione simile a quella di Descalzi, nell’ottica di sfruttare l’idrogeno per valorizzare gli impianti esistenti, è quella di Marco Alverà, ad di Snam, che in questi anni si è fatto notare per aver puntato da anni proprio sull’idrogeno e sul gas naturale sintetico.
“Per riuscire ad abbassare i costi del solare e del fotovoltaico, sono stati necessari miliardi di sussidi – ha riferito Alverà – Ecco perché bisogna puntare sull’idrogeno, e i diversi colori non si escludono a vicenda. La nostra stella polare deve essere la Germania, che ha un tessuto industriale simile al nostro. L’importante è non fare scelte infrastrutturali definitive. Il bello dell’idrogeno è che è molto versatile, essendo un vettore energetico. Siamo stati i primi a miscelare l’idrogeno col metano, per un mese intero, senza cambiare una vite. Questo non risolve il problema della decarbonizzazione, ma può essere un modo per creare domanda. Il trasporto dell’idrogeno via tubo costa 10 volte meno rispetto al trasporto via nave. Possiamo anche costruire in Nord Africa delle giga factory, utilizzando le nostre eccellenze. Perché trasportare Co2 in giro per il mondo, come avviene coi rifiuti? Immagazziniamola noi, abbiamo la fortuna geologica di avere siti adatti”.
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Forse percependo le distanze tra i manager italiani, Renato Mazzoncini, ad di A2A, ha cominciato il proprio intervento auspicando cooperazione tra le grandi aziende. “Io sono convinto che di auto a idrogeno in Europa non ne vedremo, mi sembra che stiamo andando verso le auto alimentate a batteria – ha aggiunto – Noi stiamo valutando l’energia prodotta dai termovalorizzatori come ponte per l’idrogeno, visto che funziona 24 ore su 24, al contrario delle rinnovabili che sono a intermittenza. Penso per esempio all‘impianto A2A di Brescia, con due ipotesi: o realizzando un elettrolizzatore accanto al termovalorizzatore, e trasportando poi l’idrogeno attraverso la rete ferroviaria fino a Iseo, o viceversa (cioè l’elettrolizzatore da realizzare a Iseo)”.
A Mazzoncini ha fatto eco Paolo Gallo, ad di Italgas, che ha sottolineato come “l’orizzonte più breve è quello del biometano, quello più a lungo termine è relativo all’idrogeno. Ovviamente queste infrastrutture devono essere in grado di accogliere gas diversi, compreso il gas naturale sintetico. Per far ciò servono tecnologie smart e intelligenti. In Sardegna abbiamo lanciato l’idrogeno con impianto fotovoltaico ed elettrolizzatore, per poi creare gas naturale sintetico attraverso l’utilizzo del metano”.
Per dirla con Pirandello, uno nessuno e centomila idrogeni.
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