La lotta alla povertà energetica è il settimo degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite definito come ‘Assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni entro il 2030’. Nella direttiva europea Efficienza Energetica del 2021 a cui il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC, 2023) fa riferimento la povertà energetica è definita come “la mancanza di accesso da parte delle famiglie ai servizi energetici essenziali che forniscono livelli di base e standard dignitosi di vita e salute, compresi riscaldamento, acqua calda, raffreddamento, illuminazione ed energia adeguati per alimentare gli apparecchi”.
Basso reddito, costi elevati dell’energia e scarsa efficienza energetica degli edifici sono i tre fattori che contribuiscono a sedimentare questo fenomeno. Dal rapporto dell’Osservatorio Italiano per la Povertà Energetica 2023 (OIPE), in base ai dati Istat sulle spese delle famiglie residenti in Italia relativi al 2021, sono 8,5 % le famiglie colpite da povertà energetica con percentuali più alte nel Centro Sud, in famiglie numerose, e quelle in cui la persona di riferimento è giovane (fino a 35 anni) o è di origine straniera. In Sicilia colpisce il 14.6% della popolazione.
Le comunità energetiche rinnovabili – che permettono la produzione e l’autoconsumo dell’energia pulita, decentralizzata e diffusa – determinano un significativo abbattimento dei costi dell’energia, ulteriormente ammortizzati dagli incentivi previsti dal GSE (Gestore Servizi Energetici) che ogni CER gestisce secondo il proprio statuto. Per questo le CER sono state individuate dall’Unione Europea come uno degli strumenti fondamentali per aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili e combattere la povertà energetica. Tuttavia, si legge nel rapporto OIPE, “le capacità delle comunità energetiche di combattere la povertà energetica rimangano su un piano teorico” in quanto “si osserva una tendenza all’omogeneità sociale dei partecipanti, generalmente di estrazione sociale e culturale medio-alta”. Le classi medio-alte hanno maggiori probabilità di accedere alle informazioni sulle opportunità di risparmio proposte dalle istituzioni, divenendone il reale target, e maggiore conoscenza del dibattito sui temi energetici. I dati Istat sulla povertà, infatti, sottolineano che l’incidenza della povertà assoluta diminuisce al crescere del titolo di studio della persona di riferimento della famiglia. A leggere questi dati germoglia un quesito: come costruire un argine alla povertà energetica con le CER?
Se la povertà energetica è fuori norma la lotta è già persa
La Regione Sicilia nel 2022 ha destinato ai Comuni quasi 5 milioni di euro per la redazione degli studi di fattibilità tecnico economica propedeutici alla costituzione delle CER, ponendo come requisito che ogni CER fosse costituita per almeno il 10% da soggetti in povertà energetica. In assenza di linee guida e mancando un indice univoco per stabilire questo parametro, molti Comuni siciliani si sono basati sull’ISEE o hanno incluso tra i beneficiari i cittadini percettori del reddito di cittadinanza o del bonus energetico. L’accesso alla CER, sia per i componenti produttori, sia consumatori, sia prosumer – termine coniato per indicare la coincidenza tra produttore e consumatore – rimane però vincolato al POD (point of delivery), cioè il luogo fisico in cui l’energia elettrica viene effettivamente passata al consumatore e dove il consumo viene misurato per scopi di fatturazione.
Nel caso di abitazioni private è in sostanza il contatore. Rimangono quindi escluse dalle CER tutte quelle situazioni prive di un regolare allaccio all’elettricità, incluse le case occupate. Secondo le disposizioni previste nell’art.5 della legge nota come Piano Casa Renzi-Lupi (n.80/2014), infatti, chi occupa un edificio non ha diritto ad avere in quel luogo la residenza, e quindi l’accesso alle utenze (acqua, luce, gas). Al di là delle considerazioni morali e giustizialiste, è facile immaginare che sia più probabile riscontrare condizioni di fragilità, aggravate dalla povertà energetica, proprio in queste circostanze.
A Palermo, dove il Comune ha ottenuto dalla Regione fondi non ancora utilizzati, destinati a costituire 12 CER, la graduatoria dell’emergenza abitativa aggiornata al 2023 conta circa 2500 nuclei. Secondo il SUNIA (Sindacato Unitario Nazionale Inquilini ed Assegnatari), solo una trentina di alloggi sarebbe stata assegnata negli ultimi due anni. “A peggiorare la situazione”, racconta a EconomiaCircolare.com Zaher Darwish, presidente del SUNIA, “il Comune di Palermo non ha presentato progetti sul tema abitativo sui fondi PNRR, perdendo un’opportunità per mitigare la grave situazione abitativa della città”. A mancare è in generale una mappatura di queste case: l’entità dell’emergenza abitativa resta in parte sommersa perché non ci sono dati sulle occupazioni e sulle abitazioni informali, i cosiddetti catoi, cioè stanze con accesso sulla strada in cui vivono intere famiglie o abitazioni ricavate da ruderi di palazzi che portano ancora i segni dei bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Quasi in tutti questi casi le abitazioni sono alimentate da allacci abusivi che gravano sulle casse comunali, e sono riscaldate con sistemi non sicuri e non efficienti, con finestre, infissi e porte molto vecchi. La questione abitativa di Palermo ha portato il sindaco Roberto Lagalla a firmare a gennaio di quest’anno una delibera per garantire il diritto alla residenza a chi occupa abusivamente un immobile e presenta determinate fragilità. Questo provvedimento, se da una parte permetterà di regolarizzare alcune situazioni a beneficio degli inquilini, dall’altra normalizza e cronicizza situazioni abitative, come i catoi, che non garantiscono condizioni di vita dignitose.
“La storia della riqualificazione del centro storico di Palermo, e del quartiere di Ballarò in particolare, è una storia di interventi pubblici socialmente iniqui”, racconta Fausto Melluso, presidente di Arci Sicilia, “negli anni passati il Comune e la Regione hanno stanziato molti fondi per il miglioramento della qualità edilizia del centro storico attraverso bandi che, invece di sanare situazioni abitative precarie, hanno finito per dirottare i fondi verso investimenti speculativi, soprattutto perché le fasce più fragili della popolazione non sono state in grado di accedere ai finanziamenti.” Nonostante le buone intenzioni, quindi, in uno scenario di emergenza abitativa strutturale, solo parzialmente compresa vista la mancanza di dati, il provvedimento della Regione Sicilia per dare alle CER comunali un orientamento solidale rischia di mancare l’obiettivo di arginare la povertà energetica e, di conseguenza, gli effetti della crisi climatica.
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Ballarò sogna una comunità energetica rinnovabile e solidale di quartiere
Il quartiere di Ballarò e il confinante quartiere dell’Albergheria sono tra i quartieri di estrazione popolare nel centro storico di Palermo. “Sono anche la sede di uno dei mercati storici della città, di laboratori artigiani ancora attivi e di molte associazioni del terzo settore e di matrice cattolica”, spiega Fausto Melluso, “qui convivono fianco a fianco situazioni abitative molto diverse: accanto ad appartamenti in vendita a 4000 euro al metro quadro, B&B e appartamenti in affitto, si trovano edifici di proprietà comunale lasciati in situazioni di abbandono in cui diverse persone vivono in condizioni estremamente precarie e moltissimi catoi non abitabili per ordinanza comunale, su cui è molto difficile intervenire poiché, a volte sono sottoposti a vincolo paesaggistico e altre ancora assenti dal piano regolatore”. Le migliorie abitative dovrebbero essere attuate per alleviare la povertà energetica, senza correre il rischio di un aumento sproporzionato dei costi abitativi o energetici. L’eterogeneità sociale di Ballarò e dell’Albergheria potrebbe costituire un buon esempio di CER solidale, e le associazioni che operano qui non sono di certo sprovviste di organizzazione.
“All’Albergheria esiste già una comunità sociale e politica, ampia e variegata: un’ottima base di partenza per la realizzazione di una CER” racconta a EconomiaCircolare.com Giulia Di Martino, attivista di Arci Porco Rosso e dell’assemblea pubblica SOS Ballarò. “Abbiamo appena iniziato a parlarne, ed è ancora difficile capire la portata della proposta ma la immaginiamo come un percorso di co-progettazione utile per la vita quotidiana della comunità tutta, nell’ottica di aumentare la qualità abitativa di chi vive in condizioni precarie e di ridurre i consumi inutili e le situazioni di spreco, attraverso logiche diverse da quelle del profitto”. In riferimento al contesto abitativo Di Martino commenta: “Siamo consapevoli che si tratta di quartieri in pieno centro storico, con un’edilizia complessa che ne riflette il tessuto sociale, e su cui pendono molti interessi. Mettere in luce ed affrontare queste criticità è una sfida che ci sentiamo di accettare”.
Le stesse associazioni hanno già realizzato il progetto “Sbaratto” per avvicinare il quartiere ai temi della sostenibilità. Sbaratto è l’associazione che ha permesso la formalizzazione del mercato dell’usato dell’Albergheria come forma di economia circolare e contrasto alla povertà dal basso.
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Questo progetto è nato dal coinvolgimento attivo di chi da sempre lavora al mercato e per cui rappresenta un’importante, se non l’unica, fonte di reddito. Il progetto Sbaratto dimostra concretamente la possibilità di intraprendere percorsi di autodeterminazione dal basso con la collaborazione dell’Università e delle istituzioni, rispettando l’identità di una comunità, in una città sempre più turistificata. “Dal nostro punto di vista”, conclude Di Martino, “in questo momento storico, le istituzioni devono ascoltare e mettere a disposizione strumenti e risorse per realizzare ciò che viene immaginato dal basso. Dovrebbero imparare a facilitare e mediare i processi trasformativi voluti dalle comunità.”
Esempi virtuosi di CER in contesti urbani già esistono, ad esempio a Roma, a Garbatella e a Torpignattara, o a Napoli nel complesso di case popolari nella periferia Est della città. Il percorso della CER solidale di Ballarò e dell’Albergheria avrà, però, la peculiarità di affrontare il duplice scoglio del complesso tessuto sociale e dell’edilizia sottoposta a vincolo paesaggistico.
Sarà un’occasione per dare una prospettiva politica al tema delle CER in un contesto urbano periferico socialmente ma centrale geograficamente e architettonicamente, situazione simile a molte città del Sud. Le attività in corso a Ballarò e dell’Albergheria possono quindi costituire un esempio a cui guardare affinché la transizione energetica sia un processo di trasformazione collettivo, consapevole e di autodeterminazione delle comunità.
Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del workshop conclusivo del “Corso di giornalismo d’inchiesta ambientale” organizzato da A Sud, CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali ed EconomiaCircolare.com, in collaborazione con IRPI MEDIA, Fandango e Centro di Giornalismo Permanente
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