Le città sono diventate fondamentali nelle nostre vite, e sempre più lo saranno in futuro. Studiare il modo per viverci nel miglior modo possibile diventa dunque fondamentale. Nel 2009 il numero di persone che vive nei centri urbani ha sorpassato quello di chi vive nelle aree rurali: oggi il 55 per cento della popolazione mondiale vive in città e si prevede che nel 2050 si arriverà al 68 per cento. Anche se è possibile che la pandemia alteri queste previsioni, invertendo o rallentando la tendenza all’urbanizzazione in favore di luoghi meno densamente popolati, le città, in quanto responsabili del 75% del consumo di risorse naturali, del 50% della produzione di rifiuti, e di cifre che si aggirano tra il 60% e l’80% del totale delle emissioni climalteranti, restano cruciali nella pianificazione di un futuro basato su economie efficienti, in grado di ottimizzare le risorse terrestri e alleggerire l’impronta dell’uomo sul Pianeta.
Il Centro Studi in Economia e Regolazione dei Servizi, dell’Industria e del Settore Pubblico dell’Università di Milano Bicocca (CESISP) ha di recente pubblicato una ricerca intesa a individuare strumenti per la misurazione della circolarità nei centri urbani, ricavandone una classifica italiana delle città più circolari e proponendo confronti a livello europeo. Si tratta della seconda edizione di una ricerca già effettuata nel 2019. Per questo secondo anno il campione di città analizzate si è allargato da 10 a 20: le città selezionate sono le 10 città più popolose d’Italia più i capoluoghi di regione e/o le città con un miglior rapporto tra popolazione e informazioni disponibili.
La più circolare è risultata Milano mentre in fondo alla classifica troviamo Catania. I risultati sono stati ottenuti elaborando un indice di circolarità urbana, prodotto dall’intersezione di cinque diversi indicatori che vedremo più avanti nel dettaglio: input sostenibili, condivisione sociale, uso di beni come servizi, end of life, estensione della vita dei prodotti. Ognuno degli indicatori è a sua volta composto da diversi criteri. E, poiché la ricerca non ha ancora individuato dei parametri condivisi e consolidati su cui basare la misurazione della circolarità in ambito urbano, lo studio chiarisce che il punto di partenza è una “mappatura delle politiche di prossimità al cittadino” al fine di sviluppare “un indice di circolarità quale strumento di supporto per l’analisi di impatto regolatorio delle politiche ambientali e per la sostenibilità”. Lo studio è quindi un importante primo passo a livello italiano nell’elaborazione di strumenti di supporto al decision making e al policy making a livello locale e nazionale.
L’Indice di Circolarità Urbana e i sottoindicatori
I sopracitati cinque criteri utilizzati per elaborare l’Indice di Circolarità Urbana (ICU) possono anche essere pensati come dimensioni o espressioni della circolarità nelle città e, all’interno di ognuno di questi ambiti, esistono dei sottoindicatori che consentono una misurazione più elaborata delle performance dei singoli centri. Così, quando si parla di input sostenibili si intende: l’utilizzo di energia rinnovabile da fotovoltaico o solare termico nel settore pubblico (in cima alla lista Verona, in fondo Napoli e Palermo); la percentuale di auto elettriche sul totale di veicoli immatricolati (è Trento la città con i numeri più alti); la percentuale di spostamenti a emissioni zero sul totale degli spostamenti in città (vanno bene Milano, Napoli e Bologna, male Aosta); la disponibilità di verde urbano (Trento e Reggio Calabria staccano sensibilmente tutte le altre); il numero di alberi per 100 abitanti (Brescia è quella che ne ha di più, Catania quella che ne ha meno).
All’interno dell’indicatore di condivisione sociale i ricercatori hanno invece incluso: la spesa comunale annuale per i disabili (sono Trento e Cagliari quelle che spendono di più, Bari e Napoli quelle che spendono meno) e per gli anziani (Aosta e Trento in cima alla lista); il numero di strutture residenziali per stranieri (capofila Firenze, fanalini di coda Milano, Cagliari e Genova); la presenza sul territorio di istituzioni non profit in relazione al numero di abitanti (il record è di Trento); il livello di soddisfazione dei cittadini (alto a Trento e Milano, basso a Catania e Palermo).
Per la misurazione dell’uso efficiente dei servizi e dei beni lo studio prende in considerazione: il numero annuale di viaggi su trasporto pubblico di ogni abitante (il record in positivo è dei veneziani, in negativo degli aostani); il numero di vetture disponibili in sharing (Milano e Roma sono quelle che ne hanno di più); i chilometri di piste ciclabili di diverso tipo (Reggio Emilia e Bologna le più virtuose); l’offerta di trasporto pubblico (Milano è in cima alla lista, Aosta in coda); le auto in circolazione in percentuale agli abitanti (troppe a Perugia e Catania, meno di una per ogni due abitanti solo a Genova e Venezia); il livello di congestione del traffico (va male a Roma, dove ogni tragitto in auto dura il 39% in più del necessario).
Indicatori per la misurazione dell’efficacia nelle politiche per la riduzione delle esternalità ambientali (end of life) sono considerati: la quantità di rifiuti urbani prodotti (la media nazionale italiana di rifiuti pro-capite è di circa 537 chili: Catania si attesta a 733, Reggio Calabria a 396); la diffusione tra i cittadini della pratica della raccolta differenziata (Trento e Bergamo le più virtuose, Catania la più indisciplinata); la percentuale di cittadini raggiunti dal servizio di porta a porta (100% a Milano, Brescia e Cagliari, 0,1% a Trento e Pescara); la percentuale di depurazione dell’acqua (100% a Torino, Milano e Genova, 56% a Catania); i consumi idrici giornalieri per abitante (troppo alti a Milano, contenuti a Bari e Firenze); la concentrazione di PM10 nell’aria (i valori più alti a Torino, i più bassi a Reggio Calabria).
Infine, indicatori per misurare l’uso efficiente delle risorse sono considerati: le dispersioni della rete idrica (a Cagliari, Pescara e Bari si spreca il 50% dell’acqua potabile immesso nella rete idrica, il 15% a Trento e Milano); la percentuale di uso efficiente del suolo, dato dal consumo di suolo pro capite e dai cambiamenti del territorio in rapporto ai residenti (la migliore è Milano, la peggiore Venezia); la quantità di eco-brevetti depositati (Bologna ne ha il numero maggiore, Palermo quello minore); le assunzioni nell’ambito dei green jobs (i dati sono carenti ma è Milano a staccare di gran lunga le altre); le imprese che investono nei settori green (anche qui non ci sono dati per tutte le città, ma dalle informazioni disponibili è Milano quella che fa meglio, seguita da Roma); la percentuale di imprese green sul totale delle imprese operanti su base provinciale (è ancora Milano a guidare la lista).
Le differenze tra Nord e Sud e i risultati “non incoraggianti”
Incrociando i 28 indicatori suddivisi nelle 5 categorie sopra elencate, si ottiene un indice di circolarità urbana (ICU) ricavato dalla media ponderata dei punteggi ottenuti nella valutazione degli indicatori parziali. Il risultato migliore, come già detto, lo raggiunge Milano con un ICU pari a 7,7, seguono Trento e Bologna rispettivamente con 7,5 e 7,2; i punteggi più bassi sono invece quelli di Catania e Palermo che si attestano rispettivamente a 3,8 e 3,9, seguono Bari e Pescara, entrambe a 4.
Come troppo spesso avviene in questo tipo di classifiche, le differenze tra Nord e Sud risultano evidenti, con un Nord più virtuoso e che investe in politiche locali sostenibili e un Sud che fa fatica a stargli dietro: la classifica del CESISP vede tutte città del Nord nelle prime 10 posizioni e una prevalenza di città del Sud nelle ultime posizioni. Male anche il Centro Italia che compare in classifica solo dalle posizioni dodicesima e tredicesima dove troviamo Roma e Perugia, entrambe al di sotto della sufficienza (rispettivamente 5,5 e 5,3).
“I risultati della graduatoria per indice globale di circolarità non sono complessivamente incoraggianti – scrivono i ricercatori – Ad oggi, infatti, solo otto Comuni sui venti in esame riescono a raggiungere un valore di piena sufficienza negli indicatori di circolarità analizzati. Inoltre, si riscontrano differenze territoriali profonde che rappresentano un vero e proprio ostacolo per la crescita dell’economia circolare in Italia: per le singole città è difficile, se non addirittura impossibile, attuare politiche circolari innovative per il proprio sviluppo se le aree urbane limitrofe rimangono arretrate: ecco perché è quanto mai auspicabile una sinergia tra i vari Comuni dal punto di vista territoriale, con una responsabilità diffusa tra amministrazioni e società nel raggiungimento di avanzati standard di sostenibilità”.
Nelle considerazioni finali, gli autori dello studio spiegano il buon risultato di Milano, attribuendolo principalmente a innovative politiche di mobilità che hanno fatto guadagnare al capoluogo lombardo la sesta posizione a livello mondiale in una recente statistica sulla mobilità sostenibile della società inglese Mobility Futures, e all’uso efficiente delle risorse attribuibile, secondo lo studio, a “un’attenta e mirata iniziativa del Comune finalizzata al recupero delle zone periferiche e alla riqualificazione ambientale di aree dismesse”. I ricercatori fanno però notare che Milano ha ancora molto da fare in termini di consumi idrici e polveri sottili, entrambi troppo alti.
Gli autori dello studio propongono poi un confronto tra la classifica dell’ICU e quella sulla qualità della vita elaborata annualmente da Il Sole 24 Ore, facendo notare come alcune città si trovino nella stessa posizione in entrambe le classifiche. “Milano e Trento – si legge nelle conclusioni della ricerca – sono rispettivamente prima e seconda mentre Palermo e Catania chiudono entrambe le graduatorie. Gli unici casi che registrano delle differenze evidenti sono Aosta e Bergamo. Quest’ultima nella graduatoria IQV ottiene mediamente punteggi insufficienti in tutte le categorie analizzate e si posiziona undicesima, mentre nella classifica ICU si classifica al quarto posto. Aosta, invece, nella classifica ICU risulta insufficiente classificandosi al quattordicesimo posto mentre nella graduatoria IQV si posiziona quinta con un valore finale di 7,83”.
Il confronto con l’Europa
Infine, poiché identificare dei criteri di valutazione della circolarità è utile anche allo scopo di accogliere le indicazioni dell’Unione europea in materia di economia circolare, contenute nel Green New Deal presentato lo scorso gennaio dalla Commissione, lo studio propone un confronto tra la più circolare delle città italiane e otto capitali europee: Amsterdam, Berlino, Bruxelles, Copenaghen, Londra, Madrid, Parigi e Praga. Le circolarità di queste città è stata calcolata sulla base di cinque indicatori: condivisione sociale e sharing economy, inquinamento acqua e aria, gestione rifiuti, fonti rinnovabili e input sostenibili, sharing mobility. La classifica finale vede in cima Copenhagen con un punteggio pari a 3,26 e, in fondo, Praga, con un punteggio di 2,39. Milano si attesta in quarta posizione con un punteggio di 3,13. In generale, fanno notare i ricercatori, le città prese in considerazione presentano livelli nella media, offrendo uno scenario incoraggiante a livello europeo.
Concludono gli autori dello studio: “Lo sviluppo di un sistema di misurazione dell’economia circolare al livello urbano su scala europea è un tassello fondamentale nel quale il CESISP intende giocare un ruolo importante a supporto dei decisori pubblici. Lo scopo principale non è tanto redigere una classifica – comunque utile per stimolare, in termini comparativi, comportamenti virtuosi – bensì quello di offrire un contributo di analisi a disposizione delle amministrazioni per aiutare a cogliere i punti di forza e di debolezza delle politiche finora adottate. È convinzione degli autori che le sfide della sostenibilità e dell’economia circolare dipendono soprattutto dalle politiche e dai servizi di prossimità del cittadino, in grado di plasmare l’ecosistema urbano e promuovere un sistema economico inclusivo, privo di sprechi e più equo e sostenibile”.
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