Uno degli insegnamenti del 2024 è che la lotta per il diritto al clima passa (anche) dalla mobilitazione in prima persona di chi fa ricerca sui temi ambientali e climatici. Studiose e studiosi, ricercatrici e ricercatori, professioniste e professionisti hanno maturato in questi anni una crescente sfiducia nei confronti della politica e, per non lasciare sole le attiviste e gli attivisti, sempre più spesso sono scese in strada, si sono addirittura candidate (l’abbiamo raccontato qui) e hanno indicato l’urgenza di agire per evitare il collasso climatico, così come lo definisce da tempo il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres.
L’ultimo esempio in questo senso arriva dal Global Network for the Study of Human Rights and the Environment (GNHRE) (la Rete Globale dei Diritti Umani e dell’Ambiente) che dal 24 giugno ha promosso una lettera di sostegno per il riconoscimento del diritto a un ambiente sano da parte del Consiglio d’Europa: da non confondere con il Consiglio europeo, cioè l’unione dei capi di stato e governo dei 27 Stati membri dell’Unione Europea, il Consiglio d’Europa è la principale organizzazione di difesa dei diritti umani in Europa, che include 46 Stati tra cui tutti quelli UE. Nella lettera, firmata al momento da 172 delle personalità più note nell’ambito della ricerca, si chiede l’adozione di un nuovo protocollo addizionale alla Convenzione Europea sui Diritti Umani (CEDU).
“Le crisi ambientali interconnesse, tra cui il cambiamento climatico, l’inquinamento e la perdita di biodiversità, rappresentano la sfida decisiva dei diritti umani del nostro tempo – si legge nella lettera – La crisi planetaria colpisce tutte le persone che vivono negli Stati membri del Consiglio d’Europa, rendendo imperativo compiere urgentemente passi decisivi verso l’adozione di un quadro giuridico vincolante che riconosca e protegga il diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile. Ogni anno, nella sola Unione Europea, oltre 300.000 persone muoiono prematuramente a causa dell’inquinamento atmosferico. Il rapido peggioramento dei cambiamenti climatici sta causando ondate di caldo senza precedenti, siccità prolungate, inondazioni ricorrenti, innalzamento del livello del mare e incendi devastanti che devastano comunità ed ecosistemi”.
“Dal Mar Mediterraneo al Circolo Polare Artico, interi ecosistemi stanno collassando e le comunità soffrono le conseguenze della perdita irreversibile di biodiversità. L’accesso all’acqua potabile, alla qualità dell’aria e alle terre fertili è a rischio, il che minaccia anche la sicurezza alimentare, diminuisce la resilienza delle comunità e spazza via le pratiche culturali. Coloro che sono colpiti in modo sproporzionato dalla crisi climatica, e in particolare le generazioni più giovani, si trovano ad affrontare nuove forme di ansia. Queste crisi aggravano le disuguaglianze esistenti, colpendo gravemente i diritti umani di coloro che già si trovano in situazioni emarginate”.
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La Svizzera non vuole rispettare le indicazioni della CEDU sul clima
L’appello dei membri, partner e colleghi accademici firmatari di GNHRE non giunge all’improvviso. Innanzitutto perché, come si ribadisce nella lettera, dà seguito a un precedente e analogo appello, proveniente in quel caso da oltre 450 organizzazioni della società civile, movimenti sociali e organizzazioni dei popoli indigeni. Ma soprattutto l’indignazione europea arriva dopo l’accoglienza che è stata riservata alla sentenza dello scorso aprile proveniente dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. La ricordate? Il tribunale di Strasburgo aveva accolto le istanze delle “anziane per il clima”, un gruppo combattivo di donne svizzere che conta oltre 2500 aderenti e che aveva denunciato l’inazione climatica dello Stato svizzero.
Come ricordava Greenpeace, “la Corte ha stabilito che la Svizzera viola i diritti umani delle donne anziane perché non sta adottando le misure necessarie a contenere il riscaldamento globale. In particolare, il tribunale ha riscontrato una violazione dell’articolo 8 (diritto alla vita privata e familiare) e dell’articolo 6 (diritto alla giustizia). Per la prima volta, un tribunale transnazionale specializzato in diritti umani sostiene esplicitamente il diritto alla protezione del clima. Nella sua sentenza, la CEDU stabilisce i requisiti specifici che gli Stati membri devono soddisfare per rispettare i loro obblighi in materia di diritti umani. Nell’ambito di questo procedimento, come terza parte anche l’Italia, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, aveva presentato una propria memoria, per supportare la posizione della Svizzera”.
Tuttavia le istituzioni svizzere avevano fatto intendere sin da subito che non avrebbero rispettato la sentenza perché, a parer loro, stanno già facendo tutto il possibile per contrastare il riscaldamento globale e perché sulle politiche climatiche non spetta alla CEDU decidere cosa sia meglio fare e dove sia più opportuno agire per ogni singolo Stato. Come ricordava l’agenzia di stampa Reuters, sia il governo che il parlamento hanno criticato “l’attivismo giudiziario” della corte europea, con i parlamentari di destra che addirittura si sono spinti a fare della becera ironia sull’età delle donne che hanno portato la Svizzera in tribunale.
“È davvero vergognoso quello che è appena successo”, ha detto Stephanie Brander, 68 anni, a Reuters dopo il voto, tremando di rabbia. “È un insulto e una mancanza di rispetto dei nostri diritti che sono stati confermati da un tribunale internazionale”.
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L’affanno dell’Italia sul clima
Viene da osservare, purtroppo, che tutto il mondo è paese. Nel senso che le destre al potere in buona parte dell’Europa – ora pure in Francia – confermano il loro scetticismo sul cambiamento climatico, preferendo promuovere il business as asual che ci ha portato ai record di temperature che il Vecchio Continente registra, mese dopo mese, da oltre un anno e mezzo, con effetti ancora più gravi ed evidenti sugli Stati affacciati sul Mar Mediterraneo.
Anche l’Italia, dunque, continua da tempo a respingere le istanze per un diritto al clima. Di tali istanze è sprovvisto ad esempio il PNIEC, il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima che il governo Meloni ha inviato alla Commissione europea il 30 giugno. Dall’ultima bozza che è stata possibile consultare si percepisce che si continuano a sottovalutare gli effetti della crisi climatica e ci si continua ad affidare alle “soluzioni” indicate dalle aziende fossili, come la cattura e lo stoccaggio di carbonio o i biocarburanti, oppure a forme di energia centralizzate e autoritarie come il nucleare.
Così all’attivismo ambientalista al momento non resta che affidarsi e farsi ascoltare da voci straniere. Negli scorsi giorni, ad esempio, a Roma si è fatta notare la presenza di Al Gore, vicepresidente USA nel governo Obama e premio Nobel per la pace nel 2007. Al Gore, che da più di 15 anni promuove la necessità di contrastare il cambiamento climatico in ogni angolo del mondo attraverso Climate Reality Project, ha incontrato presso il Centro Congressi La Nuvola oltre 1000 attiviste e attivisti provenienti da ogni parte del mondo – c’era anche l’associazione A Sud, che ha parlato di giustizia climatica e di repressione dell’attivismo climatico. Al Gore ha criticato il governo italiano, puntando il dito sulla scelta di usare denaro pubblico per finanziare la creazione di nuovi impianti per il gas, “l’equivalente di 300 centrali a carbone”. Dal governo Meloni soltanto silenzio: una (non) risposta che preoccupa.
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