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lunedì, Dicembre 16, 2024

Il reddito di base per sostenere la conservazione ambientale. Uno studio analizza vantaggi e criticità

Uno studio internazionale, pubblicato su Nature Sustainability, prova a superare i limiti degli strumenti basati sul mercato per la conservazione della natura. Lo fa prevedendo l'introduzione di una specifica forma di reddito di base per le popolazioni indigene. Emergono punti di forza e debolezze

Vittoria Moccagatta
Vittoria Moccagatta
Classe 1998. Laureata in filosofia all'Università degli Studi di Torino, è una borsista Training for Circularity WEEE Edition presso il CDCA. Co-fondatrice di startup nell'ambito dell'agricoltura sostenibile, è stata una ricercatrice per il progetto "Torino città solidale e sostenibile"

Per affrontare la degradazione antropogenica degli ecosistemi del Pianeta e la conseguente crisi di biodiversità, negli ultimi decenni le tecniche di conservazione si sono rapidamente sviluppate e differenziate secondo diverse direttrici. Una di quelle predominanti utilizza strumenti basati sul mercato (Market-Based Instruments o MBI) per assegnare un valore monetario ai servizi che gli ecosistemi forniscono, con il duplice obiettivo di creare incentivi per la loro conservazione e un reddito per il sostentamento delle comunità locali coinvolte.

Gli MBI più comuni, come la bioprospezione (cioè lo sfruttamento della biodiversità a scopi scientifici e commerciali), l’ecoturismo o i progetti REDD+ (per la Riduzione delle Emissioni da Deforestazione e Degrado forestale), sono però oggetto di critiche, spesso riducibili a una: concentrerebbero la loro attenzione sugli interessi economici di chi gestisce il servizio, rischiando di fallire l’obiettivo di redistribuire i benefici alle comunità locali e, in alcuni casi, di salvaguardare l’ambiente.

Un team internazionale di ricercatori dell’Università di Edimburgo, di Oxford e del Wildlife Conservation Society Cambodia Program ha pubblicato a metà maggio la ricerca A global conservation basic income to safeguard biodiversity su Nature Sustainability, proponendo di ovviare ad alcune criticità degli MBI con l’erogazione di una specifica forma di reddito di base per la conservazione ambientale: il fine è quello di “migliorare le condizioni di vita delle popolazioni indigene e delle comunità locali (Indigenous People and Local Communities o IPLC) – spiega Emiel de Lange, uno dei ricercatori – nonché di disattivare le cosiddette trappole della povertà che spesso le costringono a sfruttare eccessivamente le risorse naturali” o a essere loro stesse sfruttate da cattivi MBI.

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Che cos’è il reddito di base per la conservazione ambientale?

Il reddito di base per la conservazione ambientale (Conservation Basic Income o CBI) è un pagamento in contanti incondizionato dato alle persone che vivono in aree protette o vicino a specie a rischio di estinzione. Il CBI è quindi una forma specifica di progettualità per il trasferimento di denaro (Cash Transfer Program o CTP) che unisce i benefici di un reddito di base universale (Universal Basic Income o UBI) al focus diretto sulla conservazione dell’ambiente. Il CBI, infatti, viene erogato indipendentemente dalla condizione economica dei singoli destinatari e in quantità sufficiente a garantire loro un’adeguata sussistenza. Al contrario, per esempio, altre forme di CTP vengono invece elargite soltanto a specifici gruppi di persone sulla base di test di idoneità economica e, nella maggior parte dei casi, non sono sufficienti da sole a garantire un livello basilare di sussistenza.

Le ipotesi dei costi del reddito di base per la conservazione ambientale

La ricerca pubblicata su Nature Sustainability stima il costo lordo globale per il CBI, valutando tre scenari di conservazione e tre regimi di pagamento. I primi due scenari, che coprono soltanto le aree di biodiversità più a rischio, prevederebbero di erogare il pagamento rispettivamente a 232 milioni e 318 milioni di persone in tutto il mondo, di cui oltre il 75% risiede in Paesi a basso e medio reddito (70 milioni solo in Cina). Lo scenario più completo è invece stimato sul 44% della superficie terrestre, quella necessaria per salvaguardare tutta la biodiversità, e comporterebbe il pagamento di 1,6 miliardi di persone. A partire da queste cifre, la ricerca ipotizza alcuni possibili importi in dollari statunitensi da erogare per ogni individuo a cadenza giornaliera: nel primo caso 5,50 dollari indipendentemente dal Paese di residenza, nel secondo il 25% del prodotto interno lordo pro capite di tale Paese e nel terzo una quantità variabile tra 1,90 e 21,70 dollari in base alla classificazione del reddito del Paese in basso, medio-basso, medio-alto o alto.

A seconda delle aree e delle tipologie di pagamento scelte, la ricerca conclude quindi che un reddito di base per la conservazione potrebbe costare tra 350 miliardi e 6,73 trilioni di dollari statunitensi all’anno. Poiché si tratta di cifre enormi, l’opzione più praticabile potrebbe essere quella di pagare 5,50 dollari al giorno solo ai residenti delle aree protette dei Paesi a basso e medio reddito per un totale annuo di 478 miliardi: nonostante rimanga una cifra piuttosto alta, essa rientra nei limiti che i conservazionisti ritengono necessari per proteggere efficacemente gran parte della natura in tutto il mondo.

Come ricorda Emiel de Lange, tale cifra è infatti “inferiore ai circa 500 miliardi che si stima i governi spendano ogni anno per sovvenzionare i combustibili fossili e i settori inquinanti che ne fanno uso”. Ulteriori finanziamenti potrebbero inoltre arrivare dalla tassazione sul carbonio, cosicché il CBI ottenga il duplice vantaggio di promuovere la conservazione in territori specifici e di ridurre l’impatto ambientale a livello globale.

Le criticità del reddito di base per la conservazione ambientale

Così come per gli stessi MBI, anche per il reddito di base per la conservazione ambientale si evidenziano alcune criticità sulle quali si sta concentrando la scienza. Ecco in sintesi le principali:

    1. La possibilità che il CBI, aumentando il reddito delle persone, possa paradossalmente contribuire alla perdita di biodiversità e, almeno nel breve termine, alla deforestazione. Infatti, a livello globale, il reddito è fortemente correlato alla produzione di un impatto ambientale e quindi il suo incremento, proprio come nel caso dell’ecoturismo (che rientra tra i market based instruments), spesso comporta l’intensificarsi della degradazione delle risorse naturali perché consente ai beneficiari di acquistare attrezzature migliori per sfruttare la natura;
    2. L’attivazione del CBI produrrebbe nuove migrazioni verso le aree di conservazione. Questo fenomeno è suggerito dalla mappatura della correlazione globale tra aree protette e crescita demografica contenuta in una ricerca pubblicata nel 2008: gli studiosi hanno rilevato infatti, che i tassi medi di crescita della popolazione umana ai confini di 306 aree protette in 45 Paesi dell’Africa e dell’America Latina erano quasi il doppio della crescita rurale media.
    3. Il denaro contante potrebbe non essere il miglior tipo di sussidio in ogni contesto. Esso certamente consente ai destinatari di decidere autonomamente come utilizzare i benefici ricevuti, ma è ampiamente riconosciuto che il denaro contante finisce per essere inutile o male utilizzato se a monte non esiste una fornitura efficace di beni e servizi. Pertanto, è necessario che qualsiasi tipo di beneficio in denaro venga affiancato da reti di servizi che abbiano infrastrutture adeguate in ogni comunità indigena (IPLC target).

Il CBI potrebbe quindi non essere applicabile ovunque nella stessa forma, anche a causa dell’eterogeneità delle IPLC d’interesse e delle loro necessità di sviluppo. “Il nostro studio fornisce numeri concreti al CBI”, ricapitola de Lange, “dimostrando che è un investimento ambizioso ma potenzialmente sensato” per agire come un quadro di riferimento all’interno del quale sviluppare programmi personalizzati di conservazione ambientale (anche nella forma di MBI) e conseguire risultati migliori in termini di sostenibilità e supporto alle comunità locali.

studio conservazione

Sintesi di alcuni potenziali effetti del CBI. Fonte: A global conservation basic income to safeguard biodiversity

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