Il percorso del movimento per l’acqua in Italia viene da lontano e nel tempo è riuscito ad aggregare culture ed esperienze differenti.
Ispirandosi al concetto di acqua come bene comune contesta le politiche fondate sulla sua trasformazione in merce, chiedendone con forza la gestione pubblica e partecipativa come garanzia di libero accesso per tuttə.
Nel 2011 abbiamo chiesto un’inversione di rotta
La straordinaria partecipazione ai referendum per l’acqua bene comune del 12 e 13 giugno 2011 avrebbe dovuto segnare una svolta rispetto alle politiche sui servizi pubblici locali, un’inversione di rotta rispetto ad un sistema orientato alla massimizzazione del profitto.
Nel 2011 la Corte costituzionale, in sede di valutazione dell’ammissibilità dei quesiti, fu chiara rispetto all’obiettivo prefissato dai promotori: “rendere estraneo alle logiche del profitto il governo e la gestione dell’acqua”.
Ma i processi di mercificazione e privatizzazione dell’acqua e dei beni comuni sono stati e continuano ad essere uno dei pilastri delle politiche economiche in Italia per cui l’esito referendario doveva necessariamente essere disconosciuto e contraddetto.
Draghi, un mese dopo il referendum: “liberalizzare i servizi pubblici locali”
Non a caso il 5 agosto 2011, un mese e mezzo dopo lo svolgimento dei referendum, Mario Draghi in qualità di Governatore della Banca d’Italia firmò, insieme al Presidente della Banca Centrale Europea Trichet, la oramai famigerata lettera all’allora Presidente del Consiglio Berlusconi in cui, tra le varie riforme “strutturali”, indicava come “necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala”.
La risposta del Governo fu pronta e a Ferragosto venne licenziato un decreto che l’anno successivo la Corte costituzionale censurò in questo modo “la nuova disciplina è contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata […] ma è anche letteralmente riproduttiva” pertanto svilisce lo strumento di democrazia partecipativa garantito dall’art. 75 della Costituzione, ossia il referendum.
C’è poco da aggiungere sulla “sensibilità” democratica di chi allora fu suggeritore della cancellazione della volontà popolare e oggi presiede il Consiglio dei Ministri.
10 anni di tentativi di aggiramento, fino al Recovery Plan
Purtroppo non si tratta di un caso isolato visto che in questi dieci anni i tentativi di aggiramento e contraddizione dell’esito referendario sono stati diversi e ripetuti.
A conferma di ciò la cosiddetta “riforma” del settore idrico contenuta nel Recovery Plan, di fatto, si sostanzia in una vera e propria strategia di rilancio dei processi di privatizzazione che si incentra sull’allargamento del territorio di competenza di alcune grandi aziende multiservizio quotate in Borsa che gestiscono i fondamentali servizi pubblici a rete (acqua, rifiuti, luce e gas) assumendo un ruolo monopolistico in dimensioni territoriali significativamente ampie. Nello specifico, il Sud Italia viene individuato come la “nuova frontiera” per l’espansione di questa tipologia di aziende.
Privatizzazione della politica
Purtroppo il nostro Paese è pervaso da un profondo degrado delle istituzioni e della democrazia e da un altrettanto profonda frammentazione delle relazioni sociali.
In questo senso la sempre maggiore segretezza e opacità delle scelte evidenziano la privatizzazione, di fatto, della politica. Da una parte lo spazio pubblico viene trasformato in merce di scambio per interessi di gruppo familistico, lobby economica, clan, dall’altra emerge una totale subalternità alla cosiddetta teologia della governabilità ovvero quell’idea per cui tutto avviene dall’alto e l’unico problema diviene come prendere quel potere.
I diritti vengono sempre più logorati anche mettendo sotto attacco gli enti locali e la democrazia di prossimità.
Si sta dimostrando il paradosso per cui, mediante il progressivo svuotamento dei poteri delle assemblee elettive e delle istituzioni democratiche, sono le stesse autorità pubbliche a promuovere la propria dissoluzione, trasformando la propria funzione da garante dei diritti e dell’interesse generale a facilitatore dell’espansione della sfera d’influenza dei grandi interessi finanziari sulla società.
Tutto ciò nonostante la vittoria referendaria e la grande partecipazione popolare abbiano costituito un argine all’invasione del pubblico da parte del privato, avendo riportato al centro l’individuo caratterizzandolo con i suoi legami sociali, con la collettività con cui si relaziona.
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La quotazione in borsa
Va evidenziato in ultimo che questo è un anno dirimente per il futuro dell’acqua visto che da dicembre 2020 questo bene, per la prima volta, è stato quotato in Borsa. Un passaggio epocale che apre alla speculazione e alla emarginazione di intere fasce della popolazione e costituisce una grave minaccia ai diritti umani fondamentali.
Oggi più di ieri, dunque, è importante riaffermare il valore universale dell’acqua come bene comune.
Riprendere la parola: in piazza il 12 giugno
Per queste ragioni il movimento per l’acqua, in occasione del decimo anniversario del referendum, ha deciso di prendere di nuovo parola così da rilanciare con forza i temi paradigmatici e fortemente attuali emersi 10 anni fa, promuovendo una grande manifestazione nazionale per il 12 giugno a Roma (ore 15.30 Piazza dell’Esquilino).
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