Una montagna di pannelli fotovoltaici dismessi rischia di invadere le discariche nei prossimi due decenni. Se non c’è un’accelerazione nello sviluppo di tecnologie efficaci e impianti per il riciclo, secondo gli esperti, sarà un vero e proprio “tsunami”, come lo hanno definito, intervistati dall’Associated Press, i fondatori di We Recycle Solar, azienda che appunto si occupa di riciclare impianti fotovoltaici.
L’energia solare è una delle prime fonti rinnovabili su cui il mondo punta per la decarbonizzazione e la transizione energetica. Il problema è che i pannelli solari col tempo si rovinano e perdono efficienza, senza tenere conto delle innovazioni tecnologiche che hanno portato nel giro di pochi anni ad avere pannelli fotovoltaici con una capacità due o tre volte superiore di generare energia. Risultato: dopo 15-30 anni, diventa più economico ed efficiente dal punto di vista energetico rimpiazzare i vecchi con i modelli più attuali.
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Quanti pannelli fotovoltaici ci sono e quanti ci saranno
Per avere un’idea concreta della dimensione del fenomeno, sono sufficienti alcuni dati. La capacità attuale di produzione di energia solare globale è di oltre un terawatt. Se consideriamo che in media un pannello fotovoltaico ha la capacità di 400 watt, si parla di circa due miliardi e mezzo di pannelli solari finora installati in tutto il mondo. Solo in Italia, nel 2022, erano attivi circa un milione e 225mila pannelli fotovoltaici. Il 21% in più rispetto all’anno precedente, e in linea con la media globale del 22%. È un trend che sicuramente si confermerà nei prossimi decenni, quindi dobbiamo aspettarci una crescita costante.
Se li vediamo in ottica rifiuto, secondo gli esperti, entro il 2030 ci saranno almeno quattro milioni di tonnellate di pannelli dismessi. E la situazione sarebbe ancora gestibile: ma entro il 2050 si arriverebbe a oltre 200 tonnellate a livello globale. Per fare un paragone, in tutto il mondo si producono ogni anno 400 milioni di tonnellate di plastica: ed è un problema serissimo per il nostro pianeta. Delle stime di Enel distribuzione, da qui al 2050 solo in Italia ci saranno da smaltire 2 milioni di tonnellate di pannelli solari.
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Cosa c’è dentro un pannello solare e come recuperarlo
Insomma, riciclare i pannelli fotovoltaici e recuperare i materiali all’interno è imprescindibile. Dentro, peraltro, c’è una piccola miniera. I materiali di maggior valore includono rame, argento, alluminio, vetro e silicio cristallino. Da un pannello fotovoltaico comune, di circa 22 kg di peso, è possibile recuperare mediamente 0,1 kg di schede elettriche, 0,2 kg di metalli vari, 1,7 kg di plastiche, 2,8 kg di silicio, 2,9 kg di alluminio, e 13,8 kg di vetro.
Questo, però, è possibile solo se i pannelli sono in buone condizioni perché devono essere immessi integri nella linea di trattamento. Nel webinar organizzato da Cyrkl e seguito da Economia circolare.com è stata la prima precisazione fatta da Michele Benvenuti, responsabile dell’impianto trattamento dei Raee dell’azienda Sogliano Ambiente, una delle poche in Italia a occuparsi del riciclo dei pannelli solari dismessi. Nell’impianto di Sogliano c’è una linea di trattamento al 100% meccanica e riesce a recuperare il 97% della componentistica del pannello fotovoltaico, a patto che siano fatti in silicio mono e poli-cristallo. Non un grosso problema, perché rappresentano il 94% dei pannelli solari installati in Italia.
Nei casi in cui i pannelli siano stati danneggiati da un incendio, dal crollo di un tetto, oppure siano realizzati in silicio amorfo o tellururio di cadmio, sono sottoposti a processi di tipo diverso, in quest’ultimo caso perché rientrano nella categoria dei rifiuti pericolosi. Sono processi molto costosi ma fortunatamente sono meno del 10% del totale.
Nel trattamento meccanico dei pannelli più comuni, invece, in una prima fase viene fatta la scorticatura dell’alluminio, sono rimossi cavi di connessione e la scatolina di giunzione. Dopodiché, il tappeto di vetro, plastica e celle solari viene processato in un macchinario che gratta via il vetro. Il pannello che rimane viene poi triturato e sottoposto a un setaccio molto più fine che separa la plastica Pet e Eva, le polveri di silicio e i connettori di rame.
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Il mercato secondario dei materiali recuperati
Una volta recuperati, i materiali possono essere usati in tantissimi modi: tuttavia non è semplice. I pannelli solari sono progettati per resistere parecchi anni alle intemperie e sono particolarmente resistenti: non è facile romperli per togliere i vari elementi costitutivi. All’interno di ogni pannello solare ci sono, inoltre, solo piccoli frammenti di questi preziosi materiali: più del 60% del valore è contenuto nel 3% del suo peso. Oltretutto, si trovano a loro volta all’interno di altri componenti: insomma, un lavoro ostico.
Le tecnologie attuali, comunque, permettono di estrarre quasi la totalità dell’argento, del rame e dell’alluminio. Dopodiché possono essere direttamente impiegati per produrre nuovi pannelli solari. L’obiettivo, spiegano dal team di Soren, azienda che si occupa del riciclo di pannelli solari intervistata dalla Bbc, è riuscire a recuperare per quest’uso circa i tre quarti dei materiali. Anche perché attualmente manca l’argento sufficiente a costruire lo sterminato esercito di pannelli solari di cui il mondo avrà bisogno per la transizione energetica. L’alluminio, invece, ha già un suo mercato ed è piuttosto facile da vendere, come ha spiegato Federica Savini, consulting team leader di Cyrkl.
Le cose si complicano con il silicio, la plastica e il vetro. Il silicio va bene nelle fonderie, mentre non sempre ha la qualità sufficiente per essere usato in nuovi pannelli solari perché presenta parecchie impurità. Il riciclo della plastica, essendo un’accoppiata dei polimeri Pet e Eva, è altrettanto difficile. Con il vetro la situazione è ancora peggiore. Per prima cosa separarlo senza frantumarlo richiede una grade attenzione. E poi quello estratto non è quasi mai di una qualità sufficiente per essere usato in nuovi pannelli solari.
Però va benissimo per essere impiegato nella produzione di piastrelle o dalle aziende che si occupano di sabbiatura o, infine, mescolato con altri materiali per fare l’asfalto. Margini di miglioramento, in ogni caso, ci sono. Sogliano Ambiente, ad esempio, ha ottenuto la certificazione “End of Waste” sul vetro da pannello fotovoltaico: il prodotto recuperato ha una qualità così alta da essere venduto come materia prima.
Il primo ostacolo: mancano le aziende per riciclarli
Il problema è che mancano aziende specializzate nel farlo su scala industriale. Nella maggior parte dei casi sono piccoli progetti di ricerca. Negli ultimi mesi, però, sono apparse le prime eccezioni. Le più rilevanti sono in Francia, dove ha aperto una fabbrica dedicata al riciclo dei pannelli solari a Grenoble, gestita dalla società Rosi. E negli Stati Uniti, a Yuma, nel deserto dell’Arizona. Lo stabilimento di Yuma riesce a processare 7.500 pannelli solari in un giorno e 30 milioni di chilogrammi di pannelli in un anno. Numeri molto inferiori per l’impianto francese, che l’hanno scorso è riuscito a riciclare circa 4.000 tonnellate ma, assicurano, la situazione cambierà nel futuro.
Secondo i dati forniti da Michele Benvenuti nel webinar, in Italia ci sono circa una decina di impianti di recupero, con differenti capacità produttive: dai 60 ai 200 pannelli processati in un’ora e con differenti livelli di qualità del prodotto finale. Sogliano Ambiente, spiega, attualmente, lavora circa 100 tonnellate di pannelli fotovoltaici, provenienti da tutta Italia, e il flusso è destinato sicuramente a crescere, arrivando almeno a 2000-2.500 tonnellate annue. Per il flusso di lavoro attuale bastano, ma in futuro ci saranno seri problemi se l’offerta di trattamento non aumenterà.
Il secondo ostacolo: non è economicamente conveniente
Perché cresca il numero di aziende specializzate nel riciclo di pannelli solari, la precondizione, però, è ridurre i costi. Recuperare i componenti, come abbiamo visto, non è un processo semplice e quindi è sempre costoso: troppo, tanto da scoraggiare finora chiunque volesse cimentarsi, a parte i rari casi di cui abbiamo parlato. Finché conferire in discarica i pannelli solari dismessi è più vantaggioso, è impossibile sperare nel proliferare di nuove aziende.
Le attuali esperienze, quando non sono direttamente finanziate da fondi pubblici all’interno di progetti di ricerca, hanno altre fonti principali di guadagno. Nel caso di We Recycle Solar in primis inviare gli operai per smantellare i campi di pannelli fotovoltaici da sostituire oppure ricondizionarli e poi rivenderli. Il riciclo è l’ultima delle voci, finanziata dalle due precedenti. Sogliano Ambiente svolge molte altre attività al di là del riciclo dei pannelli solari.
I costi, c’è da dire, sono molto influenzati dalla tecnologia usata. “Un processo termino per staccare il vetro dalla plastica e dalle celle ha costi stratosferici, mentre il trattamento meccanico è molto più economico: una tonnellata di pannelli solari ha un’incidenza di 70-80 euro di energia elettrica”, spiega Benvenuti.
Inoltre, ci sarà una spinta ulteriore a sostenere il settore. In Italia c’è già stata col Superbonus e proseguirà con il Pnrr, negli Stati Uniti c’è l’Inflation Reduction Act. Secondo le stime della società di consulenza Rystad Energy già nel 2030 il valore di mercato intorno ai materiali riciclati dai pannelli solari dovrebbe superare i 2,7 miliardi di dollari per arrivare nel 2050 a 80 miliardi. Gran parte di questo mercato, nell’Unione europea, dovrà passare da un modello lineare a un modello circolare, come richiesto dalla Waste Electrical and Electronic Waste Directive (WEEE).
Non è però tutto così scontato. Sempre Benvenuti sottolinea un problema, almeno nel mercato italiano: tante aziende non si fidano ad acquistare materie prime seconde. Fortunatamente la mentalità sta cambiando, precisa, ma l’unica certezza per lavorare è riuscire ad avere materiali di qualità elevata: questo però, come abbiamo visto, richiede costi maggiori per farlo. Insomma, il mercato deve ancora trovare una forma ottimale di equilibrio.
L’economia circolare è l’unica soluzione sostenibile
Di sicuro, sviluppare l’economia circolare in questo settore sarà fondamentale: oltre alle ragioni economiche, c’è la sostenibilità ambientale. Se finiscono in discarica, tutti i materiali usati per costruire in pannelli solari andrebbero persi. Un’evidente contraddizione: si producono pannelli fotovoltaici per ridurre le emissioni di CO2 e poi si aumenta l’impronta di carbonio perché invece di recuperare i materiali si estraggono nuove materie prime, in particolare l’estrazione del silicio, che deriva dalla silice, a sua volta, composta di sabbia e quarzo.
Sebbene gli attuali metodi di produzione abbiano ridotto di 12 volte l’impronta di carbonio, l’impatto ambientale dei pannelli solari resta principalmente legata alla produzione. Una volta dismessi, tuttavia, i pannelli fotovoltaici rilasciano nell’ambiente cadmio, piombo, indio, molibdeno e tellurio. In quantitativi sono bassi, ma inevitabilmente questo impatto aumenterà negli anni.
La stessa gerarchia dei rifiuti, del resto, impone di evitare il più possibile il conferimento in discarica e per legge la presenza di questi elementi ne vieta anche l’invio negli inceneritori. In Puglia, inoltre, dove sono installati numerosi pannelli solari e nei prossimi quindici anni ci saranno almeno 300.000 tonnellate di rifiuti fotovoltaici, è partito un progetto, Parsival, finanziato a EIT Raw Materials, il cui obiettivo è creare una catena di valore circolare per il fotovoltaico.
Mentre col riciclo, sebbene ci siano ovviamente degli impatti, la situazione migliora. L’impianto di Yuma, per esempio, nei primi sei mesi di attività, ha permesso di risparmiare 650.000 tonnellate di anidride carbonica. Moltiplicare queste cifre per la quantità di pannelli solari prevista nei prossimi decenni basta a capire come il riciclo è una tappa obbligata della transizione energetica.
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