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domenica, Dicembre 15, 2024

Come ridurre l’impatto ambientale dei nostri vestiti e del tessile in 8 mosse

Mentre le norme italiane ed europee provano a combattere il modello basato sull'usa e getta, cosa possono fare le singole persone per incidere su uno dei settori più soggetti a sprechi e inquinamenti? Ecco alcuni rapidi consigli pratici

Valeria Morelli
Valeria Morelli
Content Manager e storyteller 2.0. Fa parte del network di Eco Connection Media. Si occupa di strategie di comunicazione web, gestione social, consulenza 2.0 e redazione news e testi SEO. Per Green Factor, all’interno dell’ufficio stampa, si occupa delle relazioni istituzionali.

Ridurre l’impatto ambientale del settore della moda e del tessile è oggi tra gli obiettivi che si è posta l’Unione Europea in ottica di riconversione ecologica. Nel 2021 l’Ue ha infatti lanciato la roadmap per indirizzare il settore tessile verso un sistema sostenibile e circolare.

Negli ultimi anni gli acquisti di capi sono schizzati alle stelle e ogni anno i rifiuti pro-capite continuano a crescere: solamente in Europa si stimano circa 26 chilogrammi di tessuti consumati a persona ogni anno e nello stesso arco temporale ne vengono gettati via 11 kg. In poche parole, rispetto a venti anni fa si acquista molto di più, per indossare in media molto meno tempo un capo e ad andare di moda, in senso letterale, è la cosiddetta fast fashion. Quasi neanche il tempo di togliere il cartellino che finiamo per buttare abiti che hanno pochi mesi di vita.

Per questo diverse sono le misure in atto: dall’obbligo di raccolta della frazione tessile al lavoro che si sta portando avanti per la responsabilità estesa del produttore. Anche la Settimana Europea per la riduzione dei Rifiuti 2022 sarà dedicata proprio a questo tema.

Nell’attesa che – anche grazie alle normative – i capi vengano studiati per durare, essere riparati, riutilizzati e riciclati, cosa possiamo fare ora noi cittadini?

Leggi anche: È ora di vestire circolare. L’Europa lancia la roadmap per il settore tessile

Riadattare e riparare i capi grazie a refashion e upcycling

Se l’epoca consumistica ci ha abituati al binomio usa e getta, un modo per rompere questa catena è riparare e riadattare. Laddove non siamo in grado noi di cambiare una cerniera o inserire una toppa, la prima cosa da fare sarà cercare una lavanderia, un sarto o una merceria. Spesso con pochi euro avremo modo di ridare una seconda possibilità a una giacca o a un paio di pantaloni.

Ma cosa fare se il capo è completamente fuori moda o di misure magari divenute “extra” per il nostro giro vita? Facile: si può pensare di farlo semplicemente riadattare.

Sono sempre più diffusi laboratori sartoriali che intervengono (o danno lezioni) su come poter allungare un vestito, stringerlo in vita, rimodernare un capo. E per la maglietta stretta? Si potrebbero inserire degli inserti per aumentarla di una taglia. Dal jeans rovinato si potranno invece creare toppe con le parti ancora buone.

Unico limite? La creatività!

Leggi anche: Refashion: il mondo della moda sostenibile incontra quello del riuso creativo

Passare dalla cultura del possesso a quella dell’uso: scopri i negozi vintage e di seconda mano

Il grande salto di qualità nelle abitudini deve però arrivare attraverso il passaggio dalla cultura del possesso esclusivo a quella dell’utilizzo. Quando abbiamo bisogno di un capo nuovo – dai jeans a un vestito da cerimonia – perché non fare prima un salto nei negozi dell’usato? Spesso sono il luogo ideale per fare veri affari. Molti hanno angoli di vestiti firmati, alcuni anche con i cartellini (magari per un errato regalo), altri sono specializzati nel vintage e ti consentono di trovare una giacca anni ‘60 con i bottoni ancora originali, una camicia anni ‘70 oppure un particolare kimono degli anni ‘80.

Inoltre, oggi la gran parte dei negozi che si occupano di second hand hanno camerini, dividono i capi per taglie, per modelli e per stagione, facilitando così la ricerca dell’abito desiderato.

Leggi anche: 10 profili instagram da seguire per la moda vintage e second hand

Vestiti da fibre naturali

Quando non si riesca a trovare un abito prestato, regalato o in un negozio di seconda mano, non si può che comprarlo nuovo! In questo caso a guidare la scelta sul capo da acquistare potrebbe essere un’indagine sulle fibre con le quali è stato realizzato. Sono infatti sempre più numerose le case di moda che investono in linee prodotte con fibre naturali, magari provenienti da scarti di lavorazione o da piante che non sottraggono terreni o risorse agli scopi agricoli.

Non molti sanno, ad esempio, che oggi dagli scarti della produzione di banana si può realizzare una fibra resistente e assorbente. O che Orange Fiber è un’eccellenza italiana simbolo dell’economia circolare che partendo dagli scarti delle bucce degli agrumi, ottenuti dalla produzione dei succhi, genera una cellulosa idonea a realizzare tessuti di origine vegetale.

Vi è poi chi riesce a creare fibre per realizzare abiti da piante come l’ortica o dalla cellulosa estratta dal legno dell’eucalipto e del faggio. Pensate che anche le alghe stanno dando eccellenti frutti, per produrre capi intimi!

Leggi anche: Tessuti naturali da fibre vegetali: dalla banana all’ortica, l’abbigliamento che nasce dalle piante

La moda circolare

Un altro esempio di capi di abbigliamento ecosostenibili e circolari riguarda quelli che nascono dal recupero delle fibre. LoFoio di Sara e Beppe Allocca grazie alla collaborazione coi cenciaioli toscani, recupera la lana per realizzare accessori invernali con filati rigenerati.

Anche la collezione RifòLab è un’esplosione di pezzi bellissimi e sostenibilità grazie al processo virtuoso di recupero di tessuti.

Un grandissimo esempio circolare e di upcycling nel mondo della moda è poi il Progetto Quid: dagli “scarti” relativi a tessuti di fine serie o ad eccedenze di magazzino nascono capi di abbigliamento, accessori femminili e oggetti per la casa confezionati da persone appartenenti a categorie svantaggiate.

Un’altra interessante strada per i capi refashioned la offre Must Had, una piattaforma dedicata alla vendita di abbigliamento e accessori prodotti esclusivamente dagli scarti dell’industria della moda.

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Fatevi furbi: recuperate spazio negli armadi

Acquistare vintage o fare attenzione alla sostenibilità del capo comprato non basta se poi voi stessi siete degli accumulatori. Riuscite a vedere il fondo del vostro armadio? Avete scatole piene di vestiti che avete riposto qualche anno fa?

Essere particolarmente affezionati a una maglia o un paio di pantaloni ci può stare… collezionarne chili e chili … no!

Per essere parte del cambiamento pensate all’ultima volta che li avete indossati. Se sono passati due o tre anni forse è il caso di rimetterli in circolo: regalateli o scambiateli con gli amici, pubblicate annunci nei gruppi tipo “te lo regalo se vieni a prenderlo”, vendeteli nei negozi second hand o attraverso le tantissime app esistenti.

Ciò che a voi non serve potrebbe essere utile a qualcun altro che così non dovrà acquistare qualcosa di nuovo grazie alla vostra ricondivisione.

Donare i capi per beneficenza

Un’alternativa validissima è poi donare ciò che è ancora in buono stato ma non ci serve più, a chi invece potrà farne buon uso, anche per beneficenza.

Chiariamolo subito: i canali della raccolta dei vestiti a fini umanitari sono diversi da quelli del conferimento stradale. A regolamentare i doni è la legge contro lo spreco alimentare (GU n.202 del 30-8-2016) il cui articolo 14 prevede che si possono cedere a titolo gratuito articoli e accessori di abbigliamento conferiti dai privati direttamente presso le sedi operative dei soggetti donatari, non attraverso cassonetti su strada.

In tali casi la finalità è la redistribuzione tra i bisognosi e la raccolta solitamente avviene presso associazioni o nelle parrocchie. Quindi non potranno ad esempio essere successivamente venduti.

Quando gettare abiti vecchi e rotti nei cassonetti stradali

L’Italia ha anticipato la scadenza europea del 2025 e già dal primo gennaio 2022 ha reso obbligatoria la raccolta differenziata del tessile. Essa avviene principalmente attraverso i cassonetti stradali (solitamente gialli) o presso le isole ecologiche.

Qui butteremo ciò che non riusciamo a rivendere, regalare, riparare o riutilizzare. Può andarci di tutto purché pulito: le tende, le federe, i vestiti, l’intimo, persino scarpe e borse.

Non vanno inseriti tessuti sporchi (come uno straccio con macchie di grasso che dovrà essere buttato nell’indifferenziata) o maleodoranti perché potrebbero rendere inservibile gli altri capi. Proprio per ridurre il rischio di contaminazioni è opportuno conferire gli abiti all’interno di sacchetti chiusi.

Una volta recuperati dai contenitori, si provvederà a riutilizzare o riciclare più capi possibili, in ottica di economia circolare e riduzione dell’impatto ambientale. Quel che non tutti sanno infatti è che spesso un buon tessuto, anche se strappato, potrà tornare a nuova vita sotto forma di indumenti o accessori diversi. Mentre parte degli scarti potranno diventare pezzame industriale o divenire materiali fonoassorbenti o imbottiture.

Leggi anche: 10 consigli per riciclare correttamente i tuoi vestiti usati (inclusi quelli rotti)

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