[di Morena Famà]
A Palermo un bene confiscato alla mafia diventa una sartoria in cui si recuperano gli scarti della società: vecchi abiti si trasformano in opere artigianali, persone emarginate trovano una nuova vita
Sinossi
Sartoria Sociale è molte cose. È un vintage&social shop e un laboratorio tessile in cui lavorano insieme professionisti del cucito, operatori sociali e persone in difficoltà di varie etnie. È il paradiso delle seconde chance. Sartoria Sociale è una piccola impresa multidimensionale della Cooperativa Al Revés nata a Palermo nel 2014 e impegnata da tanti anni nella valorizzazione del lavoro artigianale e nella formazione di competenze in questo settore, con un occhio sempre attento all’inclusione e all’integrazione. È uno scambio di esperienze infinito e inarrestabile, che produce bene continuo reimmettendo nel mercato prodotti destinati alla discarica. Sartoria Sociale attraverso i principi dell’accoglienza e della solidarietà impegna soggetti svantaggiati sostenendoli nel reinserimento lavorativo. È un luogo di interrelazione e aggregazione, dove il riutilizzo etico degli scarti permette un’economia sostenibile ed ecologica in cui il cliente sostiene lo shopping solidale. Sartoria Sociale è una realtà incredibile che lotta per chi non ha voce e non è ascoltato. È contemporaneamente un laboratorio artigianale, un atelier e un esercizio commerciale. Sartoria Sociale è l’emblema del riciclo creativo che trasforma magicamente la “munnizza”in “ricchizza” e ogni fine in uno straordinario nuovo inizio. Un luogo dove si fa formazione attraverso incontri tra persone,colloqui individuali e attività di gruppo. Sartoria Sociale è un tuffo nel passato che ti lancia nel futuro.
Sartoria Sociale è un universo meraviglioso, tenero e frizzante. Una felice benedizione in mezzo al triste degrado in cui la società rischia di crollare quando perde di vista il senso delle cose. Il concetto che la guida è semplice: trasformare scarti in risorse realizzando prodotti unici che rappresentino dei benefici concreti per le persone e per la natura stessa. Un’idea geniale, un sogno talmente folle e utopico che doveva per forza divenire realtà.
Mission possible: migliorare la società
“Abbiamo creato la cooperativa con l’obiettivo di formare posti di lavoro attraverso l’inclusività di soggetti svantaggiati a vario titolo e di attenzionare persone con problematiche di vario genere: mentali, sociali ed economiche.” afferma Loredana Introini, una dei soci del progetto. “Lo scopo è rispondere ad alcuni bisogni del territorio che non venivano presi in considerazione da nessuno, però con un’ottica diversa. Si tratta di un sistema di sussidiarietà orizzontale: ognuno dà una mano per fare in modo che gli altri trainino gli altri.” aggiunge Rosalba Romano, assistente sociale, socio fondatore dell’associazione Al revés e del progetto Sartoria Sociale. L’intento è coinvolgere attorno ad uno stile di vita equo e solidale la comunità che, sebbene diffidente e lontana dal fare rete, tuttavia ricerca modelli alternativi di lotta alla frammentazione e alla precarietà del lavoro. “Noi non guadagniamo nulla; il nostro è piuttosto un volontariato dalla mattina alla notte” ammette Rosalba, e un successo non da poco per questi operatori sociali è stato tradurre il desiderio di stabilità e di un disegno duraturo in una vera e propria associazione da dover e saper gestire. “Il fine è sempre la persona, la vendita rimane un mezzo: siamo un’organizzazione no-profit. Eppure, oltre l’aspetto prettamente tessile, dobbiamo avere capacità gestionali e competenze aziendali: normative da applicare, budget da rispettare, bilanci da conteggiare, tasse da pagare. Questo è il nostro approccio professionale.”
L’ambiente ringrazia
Il passo successivo è stato alzarsi le maniche partendo dal nulla. “In questo momento storico bisogna guardare il mondo in un modo diverso, al revés, letteralmente al contrario.” Per questo motivo i soci e i volontari salvano capi di ogni tipo che altrimenti diverrebbero eccedenza, dimostrando che l’insignificante nasconde in sé una grande potenzialità: si valorizza l’esistente seguendo il modello della Critical Fashion. “Raccogliamo abiti donati. Una parte viene igienizzata e rimessa in vendita così com’è, sotto forma di usato. Ma oltre al recycling applichiamo anche l’upcycling: alcuni degli abiti che ci regalano infatti non sono più indossabili, quindi prendiamo i tessuti, li scuciamo, li aggiustiamo e realizziamo delle nuove creazioni. Perfino ciò che ci viene portato, se inutilizzabile per i nostri scopi, non viene buttato, ma donato ai bisognosi. Se consideriamo poi che lo smaltimento dei rifiuti è spesso gestito dalla mafia, evitiamo anche di accrescere il fenomeno illegale diventando più autonomi.”
Sartoria Sociale agisce quindi nel rispetto dell’ambiente e, direi, ci ha ricamato sopra un mestiere: l’industria tessile è il secondo settore più inquinante al mondo, perciò lo sviluppo di questo genere di idee si rivela vincente nel combattere gli sprechi mondiali, attivando circoli virtuosi nel percorso di produzione. L’economia circolare è alla base della struttura dell’impresa collettiva, insieme ad una produzione responsabile e ad una moda sostenibile. Il concetto che la rappresenta è “niente si distrugge, tutto si trasforma”.
L’inclusione sociale
Con un’attività individualizzata di ascolto, orientamento, affiancamento e riabilitazione al lavoro, coordinata da assistente sociale e supportata da tutor, si mira a fare acquisire “l’autoimprenditorialità, il coraggio di mettersi in gioco, la coscienza delle proprie capacità tecniche (e non solo) per applicarle e realizzarsi.” Il gruppo di lavoro interessa un nucleo di volontari in difficoltà: disabili, immigrati, persone con problemi mentali e detenuti, come le donne del Pagliarelli Lab, un laboratorio di cucito tutto al femminile dentro il carcere Pagliarelli di Palermo, che ridà speranza alla difficile realtà della detenzione. “L’impostazione del lavoro che preferisce l’intimità del contesto artigianale all’anonimato dell’ambiente industriale offre un luogo tranquillo dove mettersi alla prova, dove si può essere se stessi e spontanei, dove si impara e si socializza, dove ci si confronta e ci si confida, dove si è seguiti con serietà e si cresce, dove ci si riscatta e si diventa più forti insieme.” In breve riscoprire il piacere di collaborare diviene fonte di determinazione e laboriosità.
Se la Sartoria Sociale produce abbigliamento, d’altro canto elimina etichette dannose che non fanno altro che diffondere pericolosi pregiudizi. “Le persone hanno questo incredibile potere: ti permettono di conoscere te stessa, nel bene e nel male. Ti mettono in discussione, ti fanno comprendere verso quali orizzonti desideri realmente spiccare il volo.” spiega Chiara Affatigato, una giovane assistente sociale.
Non a caso “il bene comune siamo noi” viene ripetuto spesso con orgoglio e fierezza tra queste stoffe. Il soggetto da valorizzare, oltre che agli oggetti e al bene pubblico restituito alla comunità, è l’essere umano: sono le persone il reale tesoro. Un altro loro leitmotiv è Wear the difference: indossa la differenza, ma anche we are the difference: noi siamo (e facciamo) la differenza, per sottolineare anche l’immensa multietnicità e varietà che esiste in questo sorprendente contesto.
I vantaggi per il cliente
In queste dinamiche il cliente non veste soltanto una manifattura artistica e artigianale, ma porta in giro la storia di chi si è sentito respinto e giudicato. “Comprare un po’ di meno avendo chiara la trasparenza dei meccanismi sarebbe una scelta consapevole e sostenibile, evitando il superfluo in un mondo in cui tutti siamo ipervestiti.” sostiene Loredana. E aggiunge Rosalba: “Esortiamo a non finanziare grandi marchi che sfruttano i lavoratori e non garantiscono loro alcun diritto e alcuna sicurezza: la gente così si sensibilizza e sviluppa un consumo critico. E chi compra da noi non è solo un cliente, ma anche uno stakeholder, perché diventa allo stesso tempo azionista: prendi e dai, ed ecco che torna la circolarità”.
Ma non ci si ferma mai: la Sartoria offre anche un servizio di riparazioni sartoriali, di stireria, organizza corsi di cucito rivolti anche alle scuole e realizza lavori di packaging. E il lavoro è a misura d’uomo (e di donna), letteralmente: vengono esauditi i desideri dei clienti confezionando abiti del colore, della forma e della consistenza voluti, creando opere d’arte personalizzate e irripetibili che calzano a pennello. Inoltre attraverso la Tappezz’art –tappezzeria artistica- si dà un nuovo aspetto agli arredi rinnovandone l’estetica attraverso soluzioni fantasiose. “La creatività in questo tipo di attività è fondamentale perché non si può standardizzare: i materiali che ci arrivano sono sempre diversi e imprevedibili, quindi bisogna aprire la mente e lasciarsi ispirare da ciò che ci circonda.” specifica Loredana, che prosegue e ci spinge a riflettere sul fatto che “siamo tutti ex di qualcosa: ogni persona ha un trascorso particolare e porta in eredità quello che gli è appartenuto o a cui è appartenuto. Ma così come i tessuti possono essere rigenerati – una tovaglia rovinata diventa una pochette originale, una maglietta strappata diventa una collana colorata – così nella vita di tutti può capitare di avere dei periodi bui, ma ciò non vuol dire che non si possa ripartire. Tutti meritano una seconda chance, a prescindere dalla storia che hanno alle spalle.” Anzi, un oggetto derivante da un processo di riuso ha qualcosa in più rispetto ad un oggetto ancora inutilizzato: un vissuto da esplorare e un destino da riscrivere.
La storia cambia
Anche i luoghi hanno sempre un passato che custodiscono, e il locale in via Casella 22 non fa eccezione. Appartenuto al boss mafioso Antonino Buscemi e luogo di attività illecite di “Cosa Nostra”, quali spaccio di stupefacenti ed estorsioni, viene confiscato nel 1998 da parte della magistratura e il 14 novembre 2017 il Comune di Palermo lo consegna alla Sartoria Sociale. A sostenere attivamente il progetto sin da subito numerose partnership con scuole e associazioni: per ricucire il territorio è essenziale il sostegno di enti come Fondazione con il Sud, AddioPizzo, Libera, il Consorzio ARCA, la Fondazione Progetto Legalità Onlus, l’Accademia di Belle Arti di Palermo e altre realtà istituzionali. «Il nostro spirito è la contaminazione: qualche volta complicata da gestire, ma necessaria» precisa Rosalba. Entrata nel network europeo delle imprese tessili innovative e interessate a sperimentare nuovi modi di produrre e lavorare, TCBL -Textile & Clothing Business Labs-, la Sartoria ha poi vinto il primo bando promosso da WORTH.
E se già tanto è stato fatto, molto ancora c’è da fare. “Crescere e aumentare sempre di più il numero di persone coinvolte”, questo è l’obiettivo futuro sostiene Loredana. «Siamo convinti – è la conclusione di Rossella Failla, portavoce del progetto – che chi fa impresa sociale sia tenuto, quasi per etica professionale, ad aprirsi con fiducia e coraggio al futuro. E a lasciarsi contaminare dalla vocazione innata dell’umanità al superamento dell’esistente».
Grazie alla Sartoria Sociale scopriamo che la diversità è forza, che i rifiuti non esistono, che l’uomo non è solo manodopera e che non ruota tutto intorno al business. Un’alternativa rispetto al modello lineare comune che ribalta il concetto stesso di fare impresa, questo modello “rigenerativo” può essere una valida soluzione a gran parte delle problematiche legate all’attuale crisi ambientale, economica e sociale.