Si è conclusa ieri 15 novembre la Digital edition 2020 di Ecomondo, l’expo delle Green Techology che ogni anno vede migliaia di persone affollare quotidianamente gli stand allestiti nei locali della fiera di Rimini. Una versione, quella 2020, che sotto le prescrizioni del DPCM del 25 ottobre ha dovuto reinventarsi da un giorno all’altro in formato completamente digitale, attraverso una piattaforma web che ha ospitato la Double Digital Green Week: due settimane di incontri, networking e conferenze dedicate alla transizione verso un’economia verde e attraversate dal network internazionale di imprese, policy makers, buyers che hanno fatto della sostenibilità e della circolarità il loro orizzonte. Anche quest’anno tra le tematiche al centro dei tavoli c’è l’economia circolare, anzi, la bioeconomia circolare. A capo della macchina organizzativa c’è Alessandra Astolfi, Group Brand Manager Green Technologies Division di Italia Exhibition Group, che EconomiaCircolare.com ha intervistato su contenuti e sfide di questa complessa edizione.
Dottoressa Astolfi, quali sono stati i temi chiave di questa edizione per forza di cose esclusivamente digitale della kermesse? IL Covid-19 ha cambiato anche l’agenda dell’ecosistema che ruota attorno a Ecomondo?
I temi chiave di questa edizione tutta digitale di Ecomondo erano già stati scelti tra la fine dello scorso anno e l’inizio del 2020. Italian Exhibition Group, organizzatore della manifestazione, aveva subito compreso la portata storica del Green Deal della Commissione europea e di quel documento di visione ne avevamo subito fatto la cornice tematica dell’edizione 2020. Il Covid non ha fermato questo impianto, anzi, possiamo dire che ha reso drammaticamente ancora più attuale l’urgenza di fare dell’Europa il primo continente a zero emissioni di gas serra entro il 2050. A settembre, poi, l’ulteriore accelerazione politica del Parlamento europeo che ha proposto di innalzare al 55% il taglio delle emissioni inquinanti entro il 2030. Quel che è cambiato repentinamente, è il contesto che ci ha obbligati a trasferire la piazza d’affari e innovazione tecnologica dei nostri espositori e il calendario dei convegni scientifici su piattaforma digitale. Da manifestazione ibrida, IEG ha saputo in davvero pochi giorni implementare l’ambiente digitale per permettere alle aziende espositrici di mettersi in contatto con il mercato. Uno sforzo di tante donne e uomini cui va un plauso in questo momento di incertezza, ma nel quale la meta è chiara. La pandemia va tenuta sotto controllo, la transizione verso l’economia green non si ferma.
La presentazione di Ecomondo recita: “Evento di riferimento in Europa per l’innovazione tecnologica e industriale nell’economia verde. Una fiera internazionale con un format innovativo che unisce in un’unica piattaforma tutti i settori dell’economia circolare: dal recupero di materia ed energia allo sviluppo sostenibile”. Il 2020 riparte con mesi complicatissimi – per via della pandemia – in cui l’economia è messa in ginocchio da sistemi produttivi e sociali che ci hanno messo di fronte ad una inadeguata gestione delle risorse e della loro gestione. Questo Expo 2020 non ha potuto non tenerne conto: quali sono i dati – se ne esistono – su come l’innovazione tecnologica e sviluppo sostenibile influiranno sul futuro per un modello economico differente?
Quello che sappiamo oggi, anche grazie a manifestazioni come Ecomondo e Key Energy, è che se l’Italia mantiene l’indice complessivo di circolarità più alto in Europa, lo deve anche alla sua capacità tecnologica e industriale. Per fare un esempio, guarderei alla bioeconomia. Oggi l’Europa mette al centro la valorizzazione integrata dei cosiddetti sottoprodotti e dei rifiuti organici delle filiere agrifood, della pesca e acquacoltura, forestali, municipali. Quello che spesso scartiamo o buttiamo può essere utilizzato in altre filiere. Quello che chiamiamo valorizzazione oltre a smaltire materiale ad alto impatto ambientale, ci aiuta a generare acqua pulita e carbonio da portare al suolo. Questo è un aspetto essenziale, perché garantire la fertilità del suolo per le colture e l’accesso al cibo di fronte all’aumento della popolazione mondiale sono le sfide globali che la bioeconomia può aiutarci ad affrontare.
Tra le vostre attività c’è quella della ricerca di soluzioni attraverso laboratori che coinvolgono diverse istituzioni, enti di ricerca, la Commissione Europea e l’OCSE, e ovviamente le aziende. In questi anni, da un punto di vista politico, sembra che l’economia circolare stia assumendo sempre maggiore interesse per via della positiva ricaduta da un punto di vista sociale, produttivo e quindi sull’economia reale. Un modello che funziona è quello che si adatta alle nuove tecnologie e alle nuove opportunità normative. Può farci un punto sul 2020 e sul palinsesto di questa edizione, evidenziandone gli essenziali punti di forza?
I comitati scientifici delle due manifestazioni di IEG hanno progettato il calendario dei convegni e workshop, molti dei quali hanno previsto anche una call for papers che ha aperto una finestra importante al mondo della ricerca e dell’università, con una struttura precisa, cui sono intervenute anche le istituzioni e i principali stakeholder e attori del cambiamento verso l’economia verde in Italia e in Europa. Dalla visione del Green Deal, ai meccanismi di finanziamento, alle normative sia italiane che comunitarie, all’impatto di questi due fattori sulle filiere industriali e infine alle case history delle aziende o dei cluster d’impresa che possono essere d’ispirazione per altri. Bioeconomia circolare, rifiuti e risorse, ciclo delle acque, bonifiche e rischio idrogeologico sono le quattro aree presidiate da Ecomondo. Sul piano industriale, abbiamo previsto importanti eventi organizzati dal Consorzio Italiano Biogas, diventato negli anni uno dei trademark di Ecomondo per la sua valenza strategica. Abbiamo creato uno spazio dedicato alle startup e alle scaleup, cioè le aziende che hanno superato i dieci anni dalla costituzione, per potenziare così le filiere green. Spazio è stato riservato anche alle B-Corp, le benefit corporation, che grazie a tecnologie digitali e processi innovativi contribuiscono ad accrescere la consapevolezza delle ricadute sociali, oltre che economiche, della transizione green in settori molto diversi come la chimica e le costruzioni. Key Energy presidia eolico, fotovoltaico, le tecnologie di stoccaggio e inverter. Quest’anno, la novità è stata il focus sull’illuminazione nell’ecosistema energetico delle città, fattore chiave per rimodulare la domanda energetica e impattare così anche sui nostri stili di vita. Sostenibilità e energia pulita non sono concetti per addetti ai lavori, arrivano invece all’interruttore di casa e, come sappiamo tutti, nelle nostre bollette energetiche. Le ricadute, quindi, sono certamente anche sociali.
Una delle mission e delle principali attività dell’Expo è la connessione tra le aziende di molte parti del mondo. In che maniera la circolarità economica deve essere al centro di processi produttivi tra imprese di diverse nazioni? Ci sono degli esempi concreti di nuovi business internazionali che abbiano prodotto risultati significativi? Anche in relazione agli incontri tra imprese e ricercatori, sempre in ambito internazionale, che vengono messi a disposizione come momento di confronto e sulle best practice.
Ecomondo e Key Energy da alcuni anni stanno spingendo decisamente verso l’internazionalizzazione grazie al supporto di ICE Agenzia e del MAECI puntando da un lato ad attrarre operatori professionali provenienti dall’est Europa, Nord Africa, Africa Subsahariana, middle East e dall’altro ad ospitare aziende internazionali europee e collettive istituzionali per favorire lo scambio di tecnologie tra Europa e resto del Mondo. Noi siamo all’avanguardia su alcune filiere della green economy , siamo dei champion in Europa e siamo in grado di offrire soluzioni flessibili e adattabili ai vari contesti e negli ultimi anni le imprese si mettono insieme per accedere alle grandi gare internazionali in campo ambientale.
Dal 2009 Ecomondo propone un modello ideale di città sostenibile descritto come “spazio espositivo che mostra modelli di urbanizzazione, soluzioni tecnologiche, progetti, piani di mobilità, che consentono di migliorare la vita dei cittadini e favorire lo sviluppo dei territorio in chiave sostenibile”. Una visione di futuro possibile che dovrebbe diventare anche unica direzione da percorrere. In questo senso favorire il networking tra le aziende per la loro crescita, si sposa con la promozione della città sostenibile? Riqualificare aree contaminate e migliorare le condizioni di vita vuol dire necessariamente migliorare le condizioni lavorative e quindi economiche, ragion per cui anche le aziende in questo senso avranno un ruolo determinante, certo assieme alle istituzioni e quindi alla politica. A che punto è questo processo?
Ripartiamo dal Green Deal: la visione che la Commissione europea ha proposto alla fine del 2019 è, riassumerei così, passare dal compito di rimediare agli errori del passato in tema di politiche ambientali o energetiche a un’anticipazione rigorosa di un nuovo modello. Dire che l’Europa deve diventare il primo continente a zero emissioni inquinanti significa agire anche nelle aree urbane, dive vive oltre il 60% della popolazione. Le aziende, e le loro tecnologie, perciò devono poter rispondere a un nuovo paradigma, che, dicevamo prima, coinvolge anche gli stili di vita. Per esempio, l’illuminazione pubblica o negli edifici. Se le fonti di generazione sono più pulite, in un sistema decarbonizzato, è probabile che il mercato vedrà un abbassamento dei prezzi. In aggiunta, se le tecnologie ci permetteranno di usare, infine, l’energia per i nostri usi domestici o lavorativi, contribuiremo ancora di più ad abbassare l’impronta di carbonio. Mettere a sistema le filiere industriali, inserire fattori di innovazione tecnologica, significa sviluppare la città sostenibile che di queste tecnologie si deve poi servire».
Dal vostro osservatorio, ritenete ci sia consapevolezza della necessità di un cambio di passo (anche auspicato di recente da 100 imprese italiane) verso un diverso modello economico e sociale o ci sono ancora troppi settori che pensano all’economia circolare come un comparto a sé?
Come riportano i nostri comitati scientifici, l’economia circolare non inizia né termina nei confini di un Paese, questo è quello che significa rispondere a una politica industriale e energetica ambiziosa come il Green Deal. L’economia circolare è una questione che tutta l’Unione europea ha in agenda, e prima ancora dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Su questa strada della decarbonizzazione si è incamminata anche la Cina. Il cambio di passo auspicato dal manifesto sul sito Green Deal Italia è soprattutto legato all’urgenza del momento. È stato sottoscritto da aziende importanti per il sistema Paese che già a maggio hanno messo l’accento sull’occasione storica che il Recovery Fund, di cui allora si iniziava a parlare, rappresenta per combinare il fattore ricostruzione post Covid e la transizione green. La ricostruzione economica o è green e sostenibile o sarà solo la riproposizione di un modello obsoleto che le aziende a più alto tasso di innovazione hanno già superato.
Ultima riflessione: entrando ancor più nello specifico, alla luce della vostra esperienza non ritenete che l’attenzione del mondo produttivo sia ancora troppo spostata sul riciclo e troppo poco su un più complesso ripensamento dei processi produttivi e sulla ecoprogettazione finalizzata alla riduzione dei rifiuti?
Noi siamo organizzatori fieristici, non vorrei entrare così nello specifico. Certo è che, purtroppo, il Covid ha influito sulle buone prassi che si stavano radicando anche in Italia. Da quanto risulta anche ai comitati scientifici delle nostre manifestazioni e anche dal rapporto degli Stati Generali della Green Economy, un processo virtuoso ha rallentato. Pensiamo alla necessità di plastica per le porzioni monodose, che il Covid ha fatto tornare per tutti noi consumatori. Il primo passo importante fu il Decreto Ronchi che cambiò il nostro modo di gestire i rifiuti. Certo, c’è l’elemento del riciclo, ma già nel 1997 si parlava di riduzione della produzione dei rifiuti. Serve tecnologia e ricerca per ripensare i nostri modelli produttivi, servono normative, vorrei aggiungere servono modelli di business differenti e coraggiosi. C’è quindi un sistema che deve completare questa transizione. L’ecodesign trova la sua prima direttiva europea nel 2007 e comprende anche l’idea di riparabilità degli oggetti, che significa anche la reperibilità sul mercato per un lungo periodo dei pezzi di ricambio; oltre alla scelta dei materiali che permetta, alla fine del ciclo di utilizzo degli oggetti o degli elettrodomestici, il riutilizzo dei materiali. Nella visione europea i due fattori, gestione dei rifiuti e ecodesign, marciano assieme.
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