L’industria tessile sta producendo e consumando più che mai e, con un tasso di riutilizzo e riciclaggio attualmente ancora molto basso, è responsabile di circa l’8% delle emissioni globali. Dando lavoro a più 300 milioni nel mondo è una filiera di grande impatto economico, sociale e culturale che durante la pandemia ha subito una grave battuta di arresto – carenza di materie prime – , ma che sembra essere ripartita, forse troppo velocemente. Secondo uno studio della fondazione Ellen MacArthur Foundation del 2017, la produzione di abbigliamento è raddoppiata negli ultimi 15 anni, mentre il numero di volte che un capo viene indossato prima di essere scartato è diminuito del 36%. Il settore tessile è noto anche per il suo inquinamento idrico e uso (e rilascio) di sostanze chimiche. Circa 3.500 sostanze potenzialmente pericolose sono state identificate nella supply chain.
Le criticità del settore tessile nel report UNEP
Il report Sustainability and Circularity in the Textile Value Chain, redatto da UNEP e pubblicato nell’ottobre del 2020, sottolinea le diverse criticità che il sistema deve risolvere per aumentare la sua sostenibilità e diminuire il suo impatto climatico. Il processo di lavorazione a umido con fibre sintetiche emette meno CO2, ma utilizza sostanze chimiche inquinanti. Il tessile a fibre naturali (coltivazione di cotone), invece, può contare su un minor consumo di acqua. Il report punta i riflettori anche sulle microfibre, problema ambientale che desta notevole preoccupazione per gli effetti dannosi alla biodiversità, e potenzialmente alla salute umana. Proprio l’UNEP ha voluto organizzare una tavola rotonda virtuale in occasione del World Circular Economy Forum per discutere della sostenibilità nell’industria fashion e su come la comunicazione possa incidere nel processo di transizione. “I consumatori hanno bisogno di sapere quali sono gli impatti del settore settile – spiega Arnoud Passenier, ex ministro delle Infrastrutture e dell’Ambiente olandese – per produrre un paio di Jean ci vogliono circa 8mila litri d’acqua, questo le persone non lo sanno. Esistono tre aspetti che giocano un ruolo decisivo verso un’industria tessile più sostenibile: le motivazioni intrinseche, quindi l’atteggiamento del consumatore; le infrastrutture per riparare e riutilizzare i vestiti e infine la norma sociale nel rendere cool un capo di secondo mano”.
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Educazione e la comunicazione
Secondo Soumya Kalluri, founder della start up Dwij che utilizza vecchi jeans per creare borse e zaini, l’educazione rappresenta un importante punto di svolta. “Tante persone hanno a cuore la sostenibilità e la crisi climatica – dice Soumya Kalluri – il problema è farle accedere a queste informazioni. In India stiamo puntando molto sulla sensibilizzazione dei bambini che sono felici di affrontare questa sfida di cambiamento. Ovviamente le policy sono importanti, ma puntare sui bambini permette di arrivare anche a cambiare anche gli adulti”. Dwij-Upcycled crea accessori di abbigliamento su misura attraverso pratiche a rifiuti zero. Un ottimo esempio di come creare prodotti di qualità partendo da scarti di filiera. “Comprare vestiti di seconda mano è la soluzione più immediata – sottolinea Arnaud Passenier – in Olanda abbiamo diversi marketplace che offrono esempi di buone pratiche. Il nostro ministro della Difesa ha avuto l’ottima idea di usare fibre riciclate per produrre le uniformi dell’esercito”.
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Rendere più attraente la sostenibilità
“Una persona su due non sa cosa significa sostenibilità nel settore fashion” – spiega Beth Greenway Business Development Lead, Sustainable Choices di Zalando – C’è ancora molta confusione. In Europa manca una regolamentazione uniforme, ma non è sufficiente appiccicare un’etichetta che indichi impatto climatico del prodotto. Si dovrebbe creare più engagement con il pubblico, rendere più attrattivo il capo di abbigliamento sostenibile”. Anche il packaging è un tema caldo nel settore fashion. Sotto questo punto di vista Zalando ha lanciato un progetto pilota sugli imballaggi riutilizzabili nei Paesi nordici. Dall’ottobre 2019, 20.000 clienti in Finlandia, Norvegia, Svezia e Danimarca hanno ricevuto il loro ordine in un sacchetto di spedizione riutilizzabile da RePack. Le borse riutilizzabili sono realizzate con materiali durevoli e riciclati e possono essere utilizzate più e più volte per la spedizione e i resi.
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Rendere le minoranze più partecipi nella industria fashion
L’influencer e attivista americana Maya Penn è convinta invece che si debba cambiare qualcosa nella narrativa del settore. “I magazine che parlano di fashion dovrebbero essere i primi a dare meno spazio ai brand poco sostenibili – sostiene Penn. C’è questa idea che l’industria tessile sia guidata da un consumismo iper compulsivo ed è una narrativa che deve cambiare. Le minoranze, come la comunità Black e indigena, spesso rimangono fuori dalla conversazione sul mondo fashion. Non si tratta solo di riconoscere che le comunità più deboli sono anche le più danneggiate dalla crisi climatica, ma anche di capire che sono in grado di offrire soluzioni innovative” .
Ad Accra (Ghana) esiste una delle filiere tessili di seconda mano più grandi al mondo. “Il Kantamanto market è un ottimo esempio di come l’economia informale possa essere efficiente ed circolare – prosegue Maya Penn. Ci sono migliaia di iniziative simili, hanno bisogno di risorse e supporto dalle compagnie leader”.
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