L’idroponico (dal greco ὕδωρ hýdor, acqua + πόνος ponos, lavoro, “acqua che lavora”) rappresenta una pratica agraria “fuori suolo” molto diffusa, dove il terreno viene sostituito da un substrato inerte, irrigato da soluzioni nutritive necessarie per apportare alle piante tutti gli elementi per la crescita.
Si tratta in realtà di un metodo antico, che oggi ha riacquisito vigore e interesse per via delle sue singolari proprietà. La coltura idroponica, dunque, elimina la terra sostituendola con vari substrati o, anche senza di essi, utilizzando acqua arricchita da soluzioni minerali nutritive. È una tecnica di coltivazione rivoluzionaria per il suo uso minimo o nullo delle risorse naturali, in particolare suolo e acqua, rivelandosi una soluzione dal potenziale sostenibile senza eguali.
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Agricoltura idroponica e di precisione
La tecnica idroponica è molto diffusa in diversi paesi del mondo, specie quelli caratterizzati da siccità o aree desertiche, ma non solo. L’Olanda, che in Europa è la più avanzata al riguardo, produce grandi quantità di ortaggi, quali pomodori, cetrioli e peperoni, in serre idroponiche di precisione, sopperendo alla mancanza di adeguate condizioni climatiche per questo tipo di ortaggi.
Uno dei vantaggi di queste colture, infatti, è rendere possibile la produzione di ogni tipo di piantagione a prescindere dalle condizioni climatiche locali, abbattendo così i costi ambientali ed economici del trasporto. In Canada, per esempio, una organizzazione chiamata Lufa farms si occupa di produzione e distribuzione locale di prodotti agricoli coltivati sui “rooftop” di Montreal per portare frutta e verdura appena colta anche a chi vive in città.
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Pomodori senza nichel
Anche l’Italia, negli ultimi anni, si è avvicinata all’agricoltura senza terra, attraverso, per esempio, la sperimentazione di colture di pomodori idroponici nella provincia di Bologna, nonché di vari ortaggi per la grande distribuzione nella provincia di Grosseto, dove una serra di 14 ettari ha fatto molto parlare di sé – da Quark a D di Repubblica – per l’uso efficiente della risorse idriche (la serra utilizza acqua piovana) e la sua produzione bio e di qualità. Il controllo tecnico-scientifico e l’assenza di terra permettono di ottenere prodotti privi di metalli pesanti, come i pomodorini senza nichel, a cui molti sono allergici.
Il metodo idroponico può essere applicato in diversi contesti, per una piccola coltivazione urbana di orti verticali o per recuperare capannoni industriali non utilizzati nelle periferie delle città. Quello che più conta è la sostenibilità economica del modello, che prevede investimenti e tecnologie all’avanguardia per funzionare senza intoppi.
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Cosa c’è nella mangiatoia?
Nella giornata mondiale dell’alimentazione, lo scorso 16 ottobre, abbiamo ricordato quanto è importante fare attenzione a cosa mangiamo. Ma non solo conta che c’è nel nostro piatto, anche il contenuto della mangiatoia degli animali, che forniscono gran parte delle proteine delle nostre diete, ha un impatto importante sia sull’ambiente che sulla nostra salute. I pascoli e i campi di produzione del foraggio, infatti, sono spesso causa della scomparsa di foreste, impoverimento dei terreni e consumo delle risorse idriche.
In questo contesto, un’interessante sperimentazione all’avanguardia si sta svolgendo in Puglia, grazie ai fondi POR della Regione, per la produzione di foraggio idroponico attraverso l’uso di acque reflue affinate per l’alimentazione del bestiame. Per chi si occupa dell’alimentazione degli erbivori domestici, la tecnica idroponica offre vantaggi considerevoli, se si pensa che da un chilo di orzo, in circa una settimana, si possono ottenere, con le giuste condizioni di umidità, luce e calore, dai 6 agli 8 chili di foraggio, con enormi risparmi di suolo.
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La sperimentazione sul foraggio idroponico
La particolarità del progetto pugliese, coordinato dalla professoressa Grazia Carelli del Dipartimento di medicina veterinaria dell’università di Bari, è di sperimentare per la prima volta su larga scala la coltura idroponica con acque reflue trattate, per produrre foraggio per l’alimentazione del bestiame. Lo studio si propone di affrontare in primo luogo il problema diffuso in molte regioni italiane e, in particolare in Puglia, della scarsità idrica e dello “stress idrico”, che penalizzano le produzioni agricole, con un grave impatto sull’economia locale principalmente basata sul settore primario. Per contrastare questo problema, le principali fonti alternative di approvvigionamento d’acqua sono la raccolta delle acque piovane, la dissalazione di acque marine o salmastre e il riutilizzo delle acque reflue opportunamente trattate.
Quest’ultima tecnica rappresenta una fonte di acqua facilmente disponibile, nonché circolare, in quanto allunga la vita della risorsa idrica riutilizzandola per soddisfare la crescente domanda di irrigazione delle colture. L’acqua reflua, dunque, invece di diventare rifiuto, ritorna risorsa utile, sempre tenendo a mente i potenziali rischi.
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Wastewater, pro e contro
Le acque reflue trattate sono oggi largamente utilizzate in agricoltura, specialmente nelle regioni aride e semiaride dove le risorse di acqua dolce sono insufficienti per soddisfare la domanda idrica. Molti studi hanno analizzato l’argomento considerandone anche i rischi. La presenza di sostanze tossiche, metalli pesanti, residui di pesticidi, gas velenosi, infatti, possono generare un potenziale impatto dannoso sulla crescita delle piante, sulla salute del suolo e sull’ambiente. Le preoccupazioni sociali sui prodotti delle colture irrigate con acque reflue e la conseguente influenza sul valore di mercato di queste colture sono tra le principali criticità.
In Europa il riutilizzo delle acque reflue trattate è praticato soprattutto nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, caratterizzati da maggiori problemi di scarsità d’acqua, ma esistono esempi di riuso anche in Belgio, Germania e Inghilterra. Non esiste tuttavia una normativa quadro comunitaria in materia. Per quanto riguarda la legislazione italiana, se da una parte, sembra indicare un’ampia disponibilità verso il riutilizzo dei reflui trattati, dall’altra, è estremamente rigida, imponendo il monitoraggio di un enorme numero di parametri chimici e limiti microbiologici estremamente severi.
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Dal risparmio idrico al benessere animale
Nello specifico caso del progetto condotto dall’università di Bari, che coinvolge come partner l’Acquedotto Pugliese, il Comune di Noci (Ba) e una società agricola di Gioia del Colle, la coltura fuori suolo, realizzata in serre container di 12 metri collocate nelle vicinanze di Gioia del Colle, dovrebbe produrre 500 kg al giorno di foraggio idroponico per bovini da latte e vitelli da ingrasso, con un potenziale consistente risparmio di acqua e di suolo. Ma questo non è l’unico aspetto al centro della ricerca. Il progetto è di carattere multidisciplinare, puntando anche a verificare la qualità del foraggio prodotto e la salute degli animali monitorati da un pull di studiosi tra cui veterinari, biologi, tossicologi e agronomi.
L’esperto scientifico del progetto, il professore Luigi Ceci, sottolinea l’importanza dei dati attesi dalla ricerca che dovrebbero permettere di “valutare le produzioni e il benessere animale con l’introduzione di foraggio idroponico nella razione alimentare”. Se la coltivazione d’orzo idroponico dovesse dare i risultati sperati, la produzione di foraggio senza l’utilizzo della terra potrebbe rappresentare una valida alternativa per favorire le attività zootecniche in regioni penalizzate dall’orografia, dalla scarsità d’acqua e dal clima o anche in zone marginali, inquinate o contaminate – come ad esempio l’area attorno al polo industriale di Taranto o la “terra dei fuochi” in Campania.
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