In attesa del decreto sulla preparazione al riutilizzo (previsto dal decreto legislativo 205/2010), il tema entra nella Legge di bilancio inviata al Senato. L’articolo 156 istituisce infatti un fondo biennale dedicato, con una dotazione complessiva di 6 milioni di euro. Che sia il preludio anche all’atteso decreto? “Nell’anno europeo dedicato al diritto alla riparazione – commenta la sottosegretaria al MiTe Ilaria Fontana – l’Italia segna un piccolo ma fondamentale traguardo verso la circolarità”.
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Preparazione al riutilizzo, cosa vuol dire
Perché, anche se spesso ce ne dimentichiamo, tra i pilastri dell’economia circolare e della gerarchia europea dei rifiuti (oltre che di una visione meno consumistica del mondo) c’è la riduzione degli scarti: allungando la vita utile di un oggetto, cedendolo se non ci serve più a chi invece ne avrebbe bisogno, riparandolo se non funziona più, procrastinando il momento in cui lo getteremo nella pattumiera rendendolo un rifiuto.
Passaggio fondamentale nelle strategie per la riduzione e il riuso è la riparazione – tema caro a questo magazine: che può voler dire sostituire un componente rotto di un circuito stampato, o riparare la gamba di un mobile, cambiare la zip di un abito o rimettere in sesto il cambio di una bici. I centri per la preparazione al riutilizzo servono a questo. Secondo la lettera dell’articolo 156, i centri per la preparazione al riutilizzo garantiscono appunto “operazioni di controllo, pulizia, smontaggio e riparazione”.
Il fondo del MiTe per la preparazione al riutilizzo
La Legge di bilancio – al netto delle modifiche che apporteranno le Camere – istituisce, dal bilancio del MiTe, “un apposito fondo, finalizzato ad incentivare l’apertura dei centri per la preparazione per il riutilizzo”. Si tratta di un fondo biennale per gli anni 2022 e 2023, con una dotazione di 3 milioni di euro l’anno, per “imprese individuali e società” iscritte nelle liste regionali (all’articolo 216, comma 3 del testo unico ambientale).
L’articolo 156 parla di contributo “a copertura parziale, ovvero integrale, dei costi sostenuti per l’avvio dell’attività”. Ogni centro potrà beneficiare di un importo massimo di 60.000 euro. Dunque saranno almeno 100 i centri che potrenno beneficiare della misura.
“Imprese individuali e società”
Parrebbe di capire, dunque, che il fondo è destinato a centri di nuova apertura (“costi sostenuti per l’avvio dell’attività”). Ma i dettagli si avranno, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge, col decreto del Ministro della transizione ecologica e del Ministro dell’economia e delle finanze che definirà “le modalità di impiego e di gestione” del fondo.
I beneficiari dei fondi, di legge nel testo all’esame del Senato, saranno “imprese individuali e società”.
Ambiente e occupazione
Il fondo, secondo la sottosegretaria Ilaria Fontana, sostiene “un’attività importantissima per evitare che gli oggetti di uso comune di cui ci liberiamo diventino rifiuti”. Sostiene “luoghi dotati di attrezzature adeguate e personale che si occupi di controllare il funzionamento, di pulire e se necessario di smontare e riparare i beni conferiti dai cittadini, con l’obiettivo di dare loro una seconda vita oppure di recuperare componenti che possono risultare utili per future riparazioni. Questo approccio e queste pratiche sono il cuore del percorso di transizione ecologica che stiamo portando avanti”. Con vantaggi non solo ambientali: “Questi centri possono produrre nuova occupazione e dare impulso a un nuovo mercato”.
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Qualche numero sulla preparazione al riutilizzo
Stando al censimento sui centri di riuso e riparazione, ancora in corso, lanciato da Danilo Boni con Maurizio Bertinelli (e supportato dal Centro di Ricerca Rifiuti Zero di Capannori e da Zero Waste Italy) 6 centri del riuso su 10, tra quelli oggi attivi nel nostro Paese, offrono anche servizi di riparazione: soprattutto restauro di mobili (26%), ciclofficine (18%), riparazione di elettrodomestici (11%), piccoli lavori di sartoria (5%).
Se la sottosegretaria Fontana parla di occupazione, l’ex ministro dell’Ambiente Sergio Costa si era spinto a suggerire qualche stima: sarebbero oltre 230mila le posizioni di lavoro che occorrerebbero, ha detto all’inizio di quest’anno, “per i cosiddetti riparatori”.
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