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venerdì, Novembre 15, 2024

Bandi Pnrr per l’economia circolare, tutti i dubbi degli operatori

A due mesi dalla pubblicazione dei bandi per accedere ai fondi per l’economia circolare del Pnrr emergono le critiche e le perplessità degli operatori: dai tempi strettissimi ai fondi ai Cumuni ai rischi della burocrazia

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

Quasi due mesi fa, il ministero della Transizione ecologica (Mite) pubblicava gli avvisi per la presentazione delle proposte che ambiscono ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) dedicati all’economia circolare. In questi due mesi sono emersi dubbi, critiche, criticità. EconomiaCircolare.com, che aveva già espresso la propria opinione, raccoglie i pareri degli operatori, molti dei quali espressi durante la presentazione del report Waste management e convergenze industriali di Althesys (salvo diverse indicazioni, quindi, le opinioni riportate sono state raccolte durante quel recente incontro).

I tempi della burocrazia

L’esperienza italiana della burocrazia nazionale, e la sua narrazione, non sono mai positive. Tra i diversi dubbi e preoccupazioni relative ai bandi e alla loro gestione, non poteva mancare, a ragione, la burocrazia.

I progetti “dovranno essere presentati in tempi rapidissimi e realizzati in tempi tanto veloci che non sono in linea con le lungaggini italiane”, ha detto Michele Rasera, direttore generale Contarina. Ricordando l’esperienza complessa e negativa (anche se con esito positivo) dell’impianto per il riciclo dei pannolini di Lovadina di Spresiano, Rasera non si è certamente detto ottimista: “Non è cambiato niente. L’end of waste è una materia ancora spinosa che si scontra con i mali dell’Italia: la burocrazia, le lungaggini”. Intendendo per burocrazia, ha spiegato il dg, “la protezione di chi deve dare le autorizzazioni e la ricerca di assenza di rischio […] che tende ad ingessare. Che guarda la liceità delle procedure piuttosto che l’obiettivo finale”. Se questo atteggiamento di chi deve autorizzare, ha aggiunto Rasera, “non verrà superato, e lo dico appunto anche in ottica di Pnrr, possiamo mettere tutti i soldi che vogliamo ma tutto sarà bloccato”.

Stessa preoccupazione da Mauro Tiviroli, amministratore delegato di Marche Multiservizi (Gruppo Hera): “I progetti sconteranno sicuramente gli aspetti problematici della burocrazia. Ma anche del nimby, perché fare impianti è sempre più difficile”. Stessa preoccupazione espressa a EconomiaCircolare.com da Maria Letizia Nepi, Segretario generale FISE Unicircular: “Notoriamente la burocrazia italiana non aiuta quando occorrono celerità, concretezza e idonei presidi sulle procedure complesse. Speriamo che emerga un rinnovato senso di responsabilità amministrativa a valle del PNRR. Un’occasione del genere non ricapita”.

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I fondi ai Comuni

Altro tema spinoso è la destinazione della gran parte dei fondi (1,5 miliardi di euro con l’Investimento 1.1 della Missione 2, Componente 1  del Pnrr) agli Egato (gli enti di governo d’ambito, quando in attività) o i Comuni. Lo ha spiegato bene Francesco Sicilia, direttore generale Unirima, che ne fa una questione di metodo: “Dobbiamo capire cosa non funziona e metterci mano. Oggi il recupero di materia è una delle bandiere del nostro Paese, siamo bravi nel recupero di materia. Che viene principalmente da rifiuti speciali, cioè quelli delle attività industriali, e che è fatto dalle imprese, tendenzialmente piccole e medie: un settore che funziona e raggiunge obiettivi importanti, come quello della carta, senza aiuti”. Sicilia si domanda allora “perché si estendono le competenze del pubblico su questa tipologia rifiuti. Il timore è che su questo settore si possa mettere mano e rompere qualcosa che oggi funziona”. E poi, aggiunge, nel caso di revamping e ampliamenti di impianti esistenti (che è poi il caso della filiera della carta) “sinceramente faccio fatica a capire come si farà ad investire i soldi nella linea 1.1. Siccome gran parte rifiuti urbani vanno in impianti privati, se un imprenditorie privato che tratta prevalentemente rifiuti urbani vuole accedere a quei fondi, come fa, se c’è scritto che la proprietà resta pubblica?”.

L’opinione di Sicilia è largamente condivisa. Una scelta, quella di destinare i fondi a Comuni ed Egato, che “taglia fuori tutto il mercato. Dire che questo ci preoccupa è un eufemismo”, ha detto Giorgio Custodi, Head of Business Process Improvement di Acea Ambiente. “L’impostazione degli avvisi pubblicati dal MiTE rischia di determinare notevoli gap competitivi per imprese private del riciclo, le quali, sebbene facciano parte della filiera nella gestione dei rifiuti come anello della catena essenziale,  risultano marginalizzate nell’assegnazione dei finanziamenti”, dice a EconomiaCircolare.com Nepi (FISE Unicircular). “Assoambiente ha scritto all’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato”, fa sapere Elisabetta Perrotra, direttore FISE Assoambiente: “Dal nostro punto di vista sarebbe forse stato meglio finanziare strumenti economici di mercato in grado di premiare aziende più efficienti e innovative”. Paolo Barberi, presidente Anpar, l’Associazione di categoria dei riciclatori dei rifiuti inerti: “Considerando che il comparto privato della gestione dei rifiuti è fatto di piccole e medie imprese e che questo porta l’Italia ad essere uno dei Paesi più avanzati a livello europeo – ha detto intervistato dalla nostra rivista – perché lo Stato con il Pnrr preferisce finanziare al 100% il pubblico per fare lo stesso lavoro che il privato ha fatto bene fino ad oggi? Vediamo con preoccupazione, e con sospetto, il fatto di voler finanziare il pubblico e portare tanti rifiuti all’interno della privativa pubblica”. Ha provato a dare una spiegazione Tiviroli (Marche Multiservizi): “Assegnare i fondi agli Egato è un fattore che complica. Credo che questa scelta vada letta nell’ottica degli aiuti di stato, probabilmente si è trattato di un escamotage”.

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Tempi troppo stretti

Altra questione che preoccupa è quella dei tempi, che, ricordiamo, sono legati alle scadenze fissate dalla Commissione. Le proposte di intervento per accedere ai fondi si possono presentare entro 120 giorni dalla pubblicazione del bando, dunque dal 15 ottobre 2021. Un periodo molto breve se pensiamo che si dovranno fare scelte che, ci si augura, rimedieranno ai non pochi problemi della gestione nazionale dei rifiuti. Pur volendo vedere “il bicchiere mezzo pieno”, Giacomo De Luca presidente dell’azienda veneta Savno ha sottolineato che “è richiesta troppa velocità: 120 giorni sono troppo pochi”. Una contrazione dei tempi che rischia di non favorire il bene del Paese. Secondo De Luca, infatti, favorirà “chi ha già progetti nel cassetto” e non è detto che siano quelli di qui il Paese ha bisogno.

C’è una strategia?

I i fondi del Pnrr, che contribuiranno a ridisegnare l’impiantistica nazionale, arrivano prima che abbia visto la luce un Piano nazionale di gestione dei rifiuti. “Piano che dovrebbe contribuire a fornire una visione d’insieme su fabbisogni e linee d’intervento – ricorda Nepi (Unicircular) –. Il fatto che non sia ancora stato definito porta il rischio che si allochino risorse in modo non ottimale piuttosto che offrire una visione strategica che metta al centro i rifiuti e l’economia circolare per una ripresa duratura e resiliente dell’economia”.  Pare insomma, come anche EconomiaCircolare.com aveva sottolineato, che la visione tecnologica e impiantistica arrivi prima di quella strategica, che si scelga il mezzo di trasporto prima di conoscere la destinazione.

Perplessità condivisa da molti degli attori del settore. “C’è bisogno di scegliere in maniera corretta, c’è bisogno di progetti con obiettivi di lunga durata, che siano quelli strutturali e che portino benefici nel corso degli anni”, sottolinea Rasera (Contarina): “Attenzione che la gatta frettolosa fa i gattini ciechi. Si rischia di finanziare il meno peggio tra i progetti che arrivano”. E poi Sicilia (Unirima): “Il problema è fare attenzione a dove si costruiscono gli impianti. Di Piani regionali che, per non costruire inceneritori, costruiscono impianti di recupero, che sono più accettati dall’opinione pubblica ma magari non servono al territorio, ce ne sono stati diversi negli anni. Questo è un grande rischio”.

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Attenzione catalizzata dal 16% dei rifiuti: gli urbani

Più dell’80% circa dei rifiuti italiani (154 milioni su quasi 190) sono rifiuti delle attività economiche (rifiuti speciali) eppure la gran parte dei fondi dei bandi andranno (se escludiamo i progetti faro) ai rifiuti urbani. Una scelta che, secondo Nepi (Unicircular), “risponde ad un generale maggiore interesse delle istituzioni centrali e locali per la gestione dei rifiuti urbani rispetto ai rifiuti speciali, considerata la immediata percezione che la cittadinanza ha della buona o cattiva gestione degli urbani”. Una scelta, continua, “a nostro avviso opinabile, non coordinata con una chiara strategia nazionale (attualmente anch’essa in fase di definizione) e quindi priva di un chiaro disegno di accompagnamento e supporto alla transizione a modelli di produzione e distribuzione circolari anche per i rifiuti speciali”.

L’organico dimenticato

Se l’attenzione nei bandi è catalizzata dai rifiuti urbani, allora spicca una rimozione, sottolineno alcuni operatori. “L’organico rappresenta il 40% dei rifiuti urbani – ha detto Massimo Centemero, direttore generale Consorzio italiano compostatori (CIC) –  eppure non ci sono forme di finanziamento sull’impiantistica privata dedicata. E dire che sono questi impianti che hanno fatto il primato del Paese nel riciclo della Forsu”. “C’è stata una sottovalutazione della filiera dell’organico” anche secondo Paolo Giacomelli, senior advisor Utilitalia.

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Niente per sostenere il mercato delle materie prime seconde

Paolo Barbieri ci raccontava qualche tempo fa che il 30% degli aggregati riciclati ogni anno resta invenduto dentro i magazzini degli impianti. E non perché il mercato non abbia bisogno di aggregati. C’è, dunque, un tema di mercato del riciclato, e non solo per gli aggregati. “Manca un provvedimento di legge che imponga l’utilizzo del riciclato. I soldi del Pnrr secondo me andavano indirizzati a far sì che si utilizzi il riciclato”, ha sottolineato Roberto Sancinelli, presidente e amministratore delegato di Montello SpA. Il rischio imbuto, dunque, con impianti che producono a pieno regime ma che non hanno sbocchi sul mercato, è dietro l’angolo: “Possiamo riciclare finché vogliamo il rifiuto – aggiunge Sarcinelli –  ma se poi non spingiamo il riciclato non abbiamo il collocamento finale dei prodotti”. Gli fa eco Nepi: “Le risorse previste dal PNRR per il potenziamento e l’efficientamento del settore del riciclo si sono rivelate certamente inferiori a quelle sperate dagli operatori”.

Inceneritori

Sappiamo che i piani nazionali di ripresa, nel rispetto principio europeo Dnsh (non arrecare danni significativi all’ambiente), non possono finanziare inceneritori. Sappiamo, o almeno credevamo di sapere. Perché, ha spiegato Alessandro Marangoni, CEO Althesys Strategic Consultants, che ad esempio “i francesi non hanno escluso dal proprio Pnrr la termovalorizzazione: e non si capisce perché qualchePpaese lo possa fare altri no”. Il tema dell’incenerimento, però, figura nei cahiers de doléances del Pnrr. “Mi a spettavo che si prestasse attenzione anche alla termovalorizzazione – ha affermato Sancinelli – che in Italia sembra una cosa impronunciabile. Su questo è mancato il coraggio. Quasi direi, provocatoriamente, facciamo termovalorizzatori statali”.

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