“Aspettando godo” è uno spettacolo teatrale del Claudio Bisio degli esordi che nel titolo parafrasava uno dei capolavori del teatro dell’assurdo, a firma di Samuel Beckett. E quel titolo di Bisio potrebbe applicarsi al governo italiano che, in attesa della definitiva decisione dell’Unione europea sulle attività da considerarsi sostenibili (è la partita della tassonomia, di cui abbiamo ampiamente scritto qui), continua a sostenere di fatto in questa partita sia il gas che il nucleare.
Se all’inizio il ministro alla Transizione Ecologica Roberto Cingolani aveva scelto di restare in una posizione attendista, negli ultimi tempi le dichiarazioni a sostegno di queste due discusse fonti energetiche, contestate dal mondo ambientalista e scientifico perché poco “green” e colpevoli di accentuare la crisi climatica in atto, si sono fatte via via più frequenti e più nette. Per capire bene la posizione italiana serve però fare un passo indietro.
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Il giorno in cui gas e nucleare diventeranno green
Il 7 dicembre il vicepresidente della Commissione europea, il lettone Valdis Dombrovskis, annuncia ufficialmente ciò che le indiscrezioni degli ultimi mesi avevano già anticipato. “L’inserimento di gas e nucleare nella tassonomia è una questione che è stata sollevata da vari ministri – ha affermato – Per il mix energetico del futuro abbiamo bisogno di più rinnovabili ma anche di fonti stabili e la Commissione adotterà una tassonomia che copre anche il nucleare e il gas”. In realtà la decisione ufficiale sarà comunicata il 22 dicembre, attraverso l’adozione dell’atto delegato complementare, ovvero l’escamotage che l’Unione europea aveva individuato con il Regolamento n, 852 del 2020 che da una parte introduceva ufficialmente la tassonomia, e dunque individuava le attività da considerarsi sostenibili e perciò finanziabili, dall’altra rinviava le questioni più spinose. Vale a dire l’inserimento o meno di gas e nucleare, che non comparivano nell’elenco parziale fornito l’anno scorso ma sulle quali le pressioni e gli interessi si sono subito rivelati fortissimi.
Dopo più di un anno di lobbying, pare dunque che l’Europa abbia ceduto e scelto di inserire queste due fonti energetiche tra quelle da considerarsi green. Pur con alcuni distinguo: sul gas naturale saranno stabilite delle soglie emissive (nell’ultima bozza si ribadiva il limite, piuttosto generoso, dei 100 gCO2e/kWh); mentre sul nucleare si parla di quattro ambiti in cui andranno fissati i valori limite: operazioni del sito nucleare (utilizzo, costruzione, dismissione), stoccaggio di scorie e combustibile nucleare esausto, estrazione e processamento dell’uranio, riprocessamento di combustibile esausto.
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Che ne pensa l’Italia del gas e del nucleare green?
La seduta di question time del 15 dicembre poteva essere una buona occasione per chiarire, a una settimana di distanza dalla decisione europea, la posizione italiana. L’occasione era l’interrogazione parlamentare presentata dal deputato di Alternativa Giovanni Vianello e dal pentastellaot Luca Sut, che al MiTe chiedevano proprio di chiarire ufficialmente le proprie idee su gas e nucleare. La risposta della sottosegretaria Vannia Gava si è limitata però a ripercorrere le varie tappe della tassonomia per sottolineare infine che, non appena l’atto delegato complementare della Commissione sarà reso pubblico, “lo stesso sarà valutato con la dovuta attenzione al fine di esprimere la posizione a riguardo”. Per sintetizzare: l’Italia attende l’Europa. Solo dopo il 22 dicembre, a decisione già presa, il governo elaborerà una propria visione e da lì, si spera, una propria strategia sul mix energetico da perseguire per raggiungere gli obiettivi ambientali richiesti dal Green Deal.
“La Francia e i Paesi dell’Est Europa vogliono il nucleare – ha commentato il deputato Vianello – tra le fonti sostenibili che beneficeranno di centinaia di miliardi di euro nei prossimi 10 anni, mentre la Germania e diversi Paesi dell’Europa centrale e occidentale si stanno opponendo perchè il nucleare e gas drenerebbero fondi alle rinnovabili e alla riqualificazione energetica ritardando la transizione ecologica. Duole constatare che l’Italia nonostante due referendum popolari non si è ancora espressa contro il nucleare (e il gas) e quindi subirà silenziosamente la scelta degli altri Paesi dimostrando ancora una volta che questo governo non è capace di tutelare gli interessi italiani in Europa”.
“Il MoVimento 5 Stelle – ha dichierato invece Luca Sut dopo l’interrogazione – ha anche inserito nella risoluzione sulla transizione ecologica, in discussione alla Camera, due esplicite condizioni che chiedono al Governo di esprimere il dissenso dell’Italia all’inserimento di nucleare e gas dalla tassonomia green. Il Parlamento ha dunque il diritto di essere informato sulle determinazioni in seno al Governo e al Ministero”
Lo stesso Parlamento, inoltre, ha bocciato – sempre il 15 dicembre – una risoluzione del gruppo Facciamo Eco, a prima firma di Rossella Muroni, che in riferimento agli indirizzi da assumere in vista dle Consiglio europeo chiedeva al governo di lavorare per escludere gas e nucleare dalla tassonomia europea.
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Il “tifo” di Cingolani per nucleare e gas
Ben più nette, invece, sono apparse in questi mesi le posizioni del ministro Cingolani. È stato il primo in Italia ad aprire al nucleare, parlando prima di fusione nucleare e poi di centrali di quarta generazione, mentre da qualche giorno batte il tasto dell’assenza di emissioni di CO2 da parte di questa fonte energetica – anche se è stato smentito dai Verdi.
Sul gas, invece, molto significativa è la relazione presentata dal ministro lo scorso 14 dicembre al Parlamento sui prezzi dell’energia in aumento e sulla sicurezza degli approvvigionamenti. Nel testo si legge ad esempio che “nella fase centrale della transizione energetica verso le emissioni zero, l’approvvigionamento del gas ha un ruolo centrale per la sicurezza del sistema energetico europeo e nazionale”. Successivamente il ministro traccia la mappa internazionale delle importazioni di questo combustibile fossile, sottolineando che le importazioni arrivano in maniera diversificata (80% tramite gasdotto, 20% tramite importazione di GNL). L’approvvigionamento deriva da Russia (42%), Algeria (14%), Qatar (11%), Norvegia (9%), Libia (8%), Olanda (2%).
“L’Italia – scrive il MiTe – è dotata di una infrastruttura gas ben sviluppata e diffusa su tutto il territorio nazionale che comprende: circa 290mila km di rete di trasporto e distribuzione, 3 terminali di rigassificazione, oltre 18 miliardi di metri cubi di capacità di stoccaggio. In particolare, l’infrastruttura locale di distribuzione del gas naturale, costituita da una rete di 264mila km, si sviluppa in tutto il Paese raggiungendo il 91% dei Comuni e servendo oltre 25 milioni di punti di riconsegna”.
E ancora, Cingolani spiega che “l’Italia ha un mix energetico in cui, pur a fronte di una penetrazione crescente delle fonti rinnovabili, il ruolo del gas riveste ancora un ruolo significativo, per gli usi termici e anche nella generazione di energia elettrica. A tale ultimo riguardo, la stretta relazione tra l’aumento del prezzo dell’energia elettrica e quello del gas è conseguenza del fatto che quest’ultimo risulta ancora determinante nella formazione del prezzo all’ingrosso (tecnologia prevalente nella determinazione del prezzo orario marginale del mercato elettrico nella maggior parte delle ore). A ciò si aggiunga un altro dato che è la forte dipendenza dall’estero: l’Italia importa circa il 93% del gas necessario e oltre il 10% dell’energia elettrica (dati ARERA 2020)”.
La ricetta del ministro per diminuire la dipendenza dalle importazioni estere è dunque quella ribadita più volte negli ultimi tempi. “Per il gas, oltre alla proposta di rafforzamento del sistema di riserve attraverso stoccaggi congiunti europei sul versante della sicurezza, si sta verificando come aumentare la quota di produzione nazionale in modo da ridurre l’importazione, ovviamente a parità di fabbisogno e quindi senza che questo comporti un rallentamento del percorso di decarbonizzazione del sistema energetico. In questo momento l’opzione non è trivellare di più, ma utilizzare al massimo giacimenti che già ci sono, che sono stati chiusi e in un anno si possono riaprire”.
Come si può aumentare al massimo la resa dei giacimenti? Cingolani non lo spiega ma è noto che una delle tecniche preferite dalle compagnie petrolifere è l’utilizzo della CO2. Ovvero attraverso il ricorso alle tecnologie note come Ccus, che prevedono cioè la cattura, l’uso e lo stoccaggio di carbonio. Ma questa (non) è un’altra storia.
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