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sabato, Novembre 30, 2024

Corsa dei prezzi delle materie prime. “La soluzione? L’abbiamo in casa”

Erion, società multiconsortile per la gestione dei rifiuti elettronici, ha presentato un paper per dare vita ad una filiera del riuso-riciclo dei rifiuti elettrici ed elettronici, che contribuirebbe ad affrancare i Paese dalle montagne russe dei mercati globali delle materie prime critiche

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

Da mesi ormai, da quando l’economia ha iniziato la sua risalita dopo lo stop dei primi lockdown nel 2020, sentiamo parlare di carenza di materie prime e di prezzi alle stelle. I motivi sono diversi e complessi e solo parzialmente legati agli effetti della crisi del coronavirus: dalla complessità delle catene del valore mondiale agli accaparramenti a fini produttivi, alla speculazione.

La nostra redazione si è chiesta se l’economia circolare può essere parte della soluzione a questi problemi. Che la domanda abbia senso, e che una delle risposte alla crisi delle materie prime possa essere proprio l’economia circolare, lo conferma un paper (“Approvvigionamento delle materie prime strategiche: una questione di sicurezza nazionale”) presentato la scorsa estate da Erion, sistema multiconsortile per la gestione dei rifiuti elettronici. Secondo Erion, la costruzione di una filiera del riuso-riciclo garantirebbe al nostro Paese la disponibilità di circa 5.000 tonnellate l’anno di materie prime critiche. E un beneficio occupazionale di oltre 8.000 nuovi addetti.

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Un paese che importa il 90% delle materie prime

Prima ancora che si palesasse la penuria di tanti materiali e prodotti, dai chip alla carta, Erion ricordava che l’industria italiana dipende fortemente dalle importazioni di materie prime. Una dipendenza stimata attorno al 90% che, anche in periodi non critici, sottomette le nostre imprese – siamo un Paese manifatturiero – al giogo della fluttuazione dei prezzi. La soluzione, spiega Erion, l’abbiamo in casa e si chiama “miniera urbana”.

La situazione si fa ancor più complessa quando si tratta di quelle che l’Europa ha definito materie prime critiche (CRM – Critical Raw Materials): “materie prime di grande importanza per l’economia dell’UE e ad alto rischio associato alla loro fornitura”. Soprattutto ora che le strategie europee di transizione ecologica ed energetica richiedono un aumento del fabbisogno di questi materiali rari e preziosi per farne pannelli solari, turbine eoliche, motori elettrici, celle a combustibile ed elettrolizzatori, batterie.

“Un modo intelligente per ridurre, almeno parzialmente, la dipendenza dell’Italia dalle complesse dinamiche dei mercati globali delle materie prime critiche ci sarebbe ed è la valorizzazione della nostra miniera urbana di rifiuti tecnologici”, leggiamo nel documento Erion. Che vuol dire puntare sull’economia circolare: sull’allungamento della vita utile dei prodotti tecnologici, per ridurre la richiesta di materie prime necessarie a sostituirli, e sul riciclo per assicurare l’approvvigionamento alle nostre industrie.

La gestione dei RAEE in Italia

La fonte “urbana” di questi materiali sono quelli che chiamiamo i RAEE: rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Ogni anno in Italia vengono venduti circa un milione di tonnellate di AEE (apparecchiature elettriche ed elettroniche), tra telefonini, pc, stampanti, grandi elettrodomestici, pannelli fotovoltaici. Apparecchiature che, una volta che decidiamo di disfarsene, diventano la categoria di rifiuti che cresce più velocemente nell’Ue.

Nel 2018 (ultimi dati Eurostat), il tasso medio di raccolta dei RAEE nell’Unione europea è stato del 47 % (misurato come il volume dei RAEE raccolti rispetto alla quantità media di apparecchiature elettroniche immesse sul mercato nei tre anni precedenti). La quantità di AEE immesse sul mercato nell’UE è passata da 7,6 milioni di tonnellate nel 2011 a 8,7 milioni nel 2018: +14,1%. Nello stesso periodo, a livello europeo, il totale dei RAEE raccolti è salito da 3 a 4 milioni di tonnellate (+31%). Il totale dei RAEE trattati (riusati, riciclati, termovalorizzati) è cresciuto da 3,3 a 3,9 milioni di tonnellate (+19,5%) Quelli riciclati e preparati per il riutilizzo sono passati invece da 2,6 a 3,2 milioni di tonnellate (+26,2%).

In Italia, leggiamo nel report, sono 365 mila le tonnellate di RAEE raccolte in maniera differenziata: poco meno del 40%: 6,14 chilogrammi a testa secondo Erion (nel 2018 eravamo a 4,8, Eurostat). Nell’UE siamo in media a 7,13 kg per abitante. Molto lontani comunque dal 65% fissato dalle norme europee che vorrebbe dire circa 10 chilogrammi a testa.

Che fine fanno i RAEE raccolti? “Oggi – leggiamo nel paper – alcune frazioni delle raccolte differenziate vengono esportate in altri Paesi europei per carenza sia dimensionale che tecnologica di impianti”.

Infatti “abbiamo veramente pochi impianti e poco significativi per recuperare terre rare e altri metalli di valore”, ci racconta Danilo Bonato, Direttore generale Erion Compliance Organization e membro del Comitato di alto livello materie prime della Commissione Europea. “Per farlo servono processi di trattamento di secondo livello (il primo livello è quello dei trattamenti meccanici, di frantumazione, ndr) processi chimici , possibilmente idrometallurgici. E in Italia non abbiamo questo tipo di tecnologia”.

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Il piano di ERION

Per aprire l’accesso a queste miniere urbane, Erion ha proposto un piano che “si articola su 3 iniziative progettuali integrate, e dovrebbe essere sostenuto da tutti gli stakeholders della filiera RAEE: produttori, centro di coordinamento, sistemi collettivi, impianti di trattamento, operatori logistici, riparatori, società e enti responsabili della raccolta”. Si tratterebbe di dare vita a 1.000 “Ecopint RAEE” su tutto il territorio nazionale (30 milioni di investimento), 100 centri di remanufacturing di apparecchi domestici (centri Re-man, 20 milioni di euro) e 5 impianti di idro/biometallurgia per il recupero delle materie prime critiche (costo: 50 milioni).

Un piano del genere permetterebbe di raccogliere 90.000 tonnellate l’anno di RAEE da avviare alla preparazione per il riutilizzo (30.000 tonnellate/anno, tra prodotti e componenti) o al riciclo, da cui ricavare 5.000 tonnellate/anno di materie prime critiche potenzialmente disponibili in primis per la nostra industria. Ecopoint, centri Re-man e impianti darebbero lavoro a 8.000 persone. Un milione le tonnellate di CO2 non emesse grazie al riutilizzo e riciclo.

Ecopoint RAEE

Per raggiungere gli obiettivi europei serviranno almeno 250.000 tonnellate di RAEE domestici, stima Erion: +70% rispetto ad oggi. Per arrivare a questa cifra il consorzio propone 1.000 eco-centri di piccole dimensioni, la metà almeno al Sud, in luoghi facili da raggiungere: attrezzati sia per la raccolta dei RAEE da avviare al riciclo che per il riutilizzo, sarebbero la risposta alla “carenza di soluzioni semplici e pratiche per consentire ai cittadini di conferire i vecchi apparecchi elettronici”. Raggiungere gli obiettivi europei, calcola Erion, garantirebbe alla filiera del riciclo un fatturato aggiuntivo di almeno il 30%, e la creazione o riconversione di 4000 posti di lavoro.

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Centri Re-man

L’Italia è la cenerentola della riparazione. Le attività di remanufacturing legate al settore dell’elettronica valgono circa 5 miliardi di euro a livello europeo (con 40.000 addetti e 3.000 imprese) ma meno di 200 milioni di euro in Italia, quasi tutte concentrate su apparecchiature professionali (stampanti e informatica): “Il remanufacturing o, più propriamente, la preparazione per il riutilizzo nel mondo dei RAEE domestici è attualmente un fenomeno marginale”, spiega Erion.

100 centri di remanufacturing permetterebbero di gestire la preparazione per il riutilizzo del 5% in peso dei RAEE conferiti dai consumatori presso i centri di raccolta: si potrebbero ottenere così quasi 30.000 tonnellate di prodotti ricondizionati, cioè almeno 900.000 apparecchi elettronici (in particolare grandi elettrodomestici e TV) da rimettere sul mercato. Che corrispondono, secondo Erion, a circa 50mila tonnellate di CO2 equivalente evitate.

Il fatturato annuale medio di ciascun centro raggiungerebbe il milione di euro l’anno. Cinque gli addetti diretti, più 10-15 indiretti. Aprire un centro richiederebbe – tra locali, attrezzature e avvio delle attività – un investimento di 200mila euro per centro.

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Impianti di riciclo dei Critical Raw Materials

Tra il 15 e il 18% del peso complessivo dei RAEE è costituito da frazioni di valore economico medio alto: metalli e sostanze contenute nei componenti elettronici, nei motori elettrici, nei compressori, nelle schede elettroniche e nei circuiti stampati. “Si può prudenzialmente stimare – leggiamo nel paper – che il valore economico totale dei materiali ottenibili da un riciclo ottimizzato sia pari a circa 50 milioni di euro”, mentre oggi il 90% di questi materiali prede la via di impianti esteri con introiti per soli 10 milioni di euro.

Secondo Erion, con 5 impianti di medie dimensioni (10.000 tonnellate gestite per impianto) si potrebbe mantenere in Italia il 70% delle frazioni a valore medio alto (evitando 10.000 trasporti ogni anno), da riciclare con ”processi di estrazione della materia basati sulle più moderne tecniche di idrometallurgia e di biometallurgia”. Obiettivo: fino a 5.000 tonnellate di materie prime critiche.

Ciascun impianto avrebbe bisogno di circa di 60 dipendenti (tecnici, operai, amministrativi, commerciali), e favorirebbe la nascita di un indotto di almeno 400 persone, tra attività logistiche, consulenza, controllo qualità, trading. Quanto agli impatti ambientali, assicura Erion, quelli delle tecnologie proposte “sono piuttosto contenuti, essendo a bassissime emissioni e a ridotti consumi energetici”.

Gli ostacoli

L’ottimismo di Erion nell’immaginare un piano nazionale che faccia crescere la filiera della raccolta e del riciclo dei RAEE, non dimentica però gli ostacoli che questo piano incontrerebbe. “Senza adeguate semplificazioni questo progetto non potrà realizzarsi”, viene sottolineato nel documento presentato a luglio scorso. E poi c’è il tema annoso della burocrazia: dalla mancanza di un Decreto ministeriale sulla preparazione per il riutilizzo ai tempi lunghi necessari per le autorizzazioni.

Ma col Pnrr – che, ricordiamo, ai RAEE dedica 150 milioni dei progetti faro – sono stati fatti passi avanti per correggere queste storture e accompagnare la filiera verso una maggiore maturità? “Il Pnrr sta dando aiuti concreti. Aspettiamo a fine mese la scadenza per la presentazione dei progetti sull’economia circolare per verificare quanti ne arrivano e accertarci della loro qualità”, sottolinea Bonato. La questione, ci spiega, “non è tanto, o non solo, fare bandi, ma accertarsi che il mondo industriale risponda. Perché se come alle aste del fotovoltaico non si presenta nessuno, qualcosa non è andato bene. Non voglio mettere le mani avanti, ma la sensazione diffusa è che non ci sia la corsa a presentare progetti”.

Tre gli aspetti che sono mancati e che, secondo il manager Erion, rischiano di essere determinanti.

Primo. “Sarebbe stato opportuno accompagnare l’arrivo di questi fondi con un programma integrato di interventi di supporto e assistenza alle imprese. In altri Paesi – dice Bonato – ci sono sportelli di consulenza e assistenza che aiutano gli imprenditori a formalizzare il progetto, a mettere a punto la proposta, a inserirla in quadro integrato di filiera”. E questo, rimarca, “sarebbe ancor più importante in Italia, dove la gran parte delle imprese sono PMI”.

Secondo. “Una semplificazione normativa efficace. Perché se dopo aver preso i soldi la burocrazia porta via sei o sette anni per le autorizzazioni, come avviene oggi, gli imprenditori non saranno certo motivati ad investire”.

Terzo, il contesto. “Non possiamo negare che i finanziamenti in arrivo siano assolutamente interessanti, ma non bastano i soldi. Bisogna avere un piano generale in cui l’investimento si possa inserire. Mentre la Strategia sull’economia circolare arriverà, se arriverà, solo a metà di quest’anno”. Insomma, “qualche riserva e preoccupazione resta ma, almeno per questa volta, voglio essere ottimista”, conclude Bonato.

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