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domenica, Dicembre 1, 2024

Se la dipendenza dalle materie prime critiche diventa un boomerang per lo sviluppo sostenibile

L’approvvigionamento alla base delle produzioni tecnologiche, dagli smartphone all’eolico, rischia di diventare un problema per la conversione ecologica. L’approccio circolare può essere d’aiuto grazie al recupero di materie dai rifiuti RAEE

Nicoletta Fascetti Leon
Nicoletta Fascetti Leon
Giornalista pubblicista, allevata nella carta stampata. Formata in comunicazione alla Sapienza, in giornalismo alla Scuola Lelio Basso, in diritti umani all’E.ma (European Master’s Programme in Human Rights and Democratisation) di Venezia. Ha lavorato a Ginevra e New York nella delegazione UE alle Nazioni Unite. Vive a Roma e da nove anni si occupa di comunicazione ambientale e progetti di sostenibilità

Prima era la corsa all’oro, poi è stata la volta della febbre del petrolio, la prossima sembra profilarsi come l’era delle terre rare. Quelle, per intenderci, che servono a produrre i nostri telefonini, le turbine eoliche, il fotovoltaico, i droni, le batterie per le auto e le bici elettriche.

L’approvvigionamento delle materie prime è da sempre un fondamentale passaggio dello sviluppo economico, specie nella sua versione industriale. Non è un caso che anche i conflitti abbiano più spesso a che fare con il controllo delle risorse che con idee e valori da condividere con le popolazioni “conquistate”. Più che di “scontro di civiltà” stile Huntington, molte guerre parlano di lotta per l’accaparramento di beni essenziali: terre fertili, petrolio, gas, acqua, etc.

L’attuale ennesima rivoluzione tecnologico-industriale – quella della così detta “transizione energetica”, “ecologica”, “digitale” – insieme alla fragilità e limitatezza del pianeta, fanno emergere nuove materie prime preziose.

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La culla delle nuove tecnologie

Il tungsteno fa vibrare i telefoni, il gallio e l’indio sono parti integranti della tecnologia a diodi elettroluminescenti (LED) delle lampade, i semiconduttori hanno bisogno di silicio metallico e le celle a idrogeno e elettrolitiche richiedono metalli del gruppo del platino.

Solo per dare un’idea dell’importanza di questi minerali, tocca sapere che un piccolo smartphone contiene fino a 50 diversi tipi di metalli, che contribuiscono alla sua dimensione ridotta, leggerezza e funzionalità. Queste materie sono la culla delle nuove tecnologie pulite. Sono insostituibili nei pannelli solari, nelle turbine eoliche, nei veicoli elettrici e nell’illuminazione a risparmio energetico.

Se le materie sono “critiche”

Ne è ben consapevole l’Unione europea che ha di recente stilato un piano d’azione sulle così dette “materie prime critiche” (ossia di critica importanza economica nonché di critico approvvigionamento), individuando 30 materiali essenziali per l’industria e la società europea, da cui l’Ue è fortemente dipendente, in particolare dalla Cina. La Commissione ammette che senza di queste, l’European Green Deal, semplicemente, non è realizzabile. Nella Comunicazione “Resilienza delle materie prime critiche: tracciare un percorso verso una maggiore sicurezza e sostenibilità” si legge che la Cina fornisce all’UE il 98% delle terre rare (REE), la Turchia il 98% di borato e il Sud Africa soddisfa il 71% del fabbisogno di platino e una percentuale maggiore di metalli come iridio, rodio e rutenio.

Fabbisogno in espansione

Se ci poniamo in prospettiva, con l’abbandono dei combustibili fossili e la conversione alle rinnovabili e all’elettrico per la riduzione dei gas climalteranti, il fabbisogno delle nuove materie prime si prevede in netta espansione. Solo per le batterie dei veicoli elettrici e lo stoccaggio dell’energia l’Unione europea nel 2030 avrà bisogno, rispetto all’attuale approvvigionamento economico, di una quantità di litio fino a 18 volte superiore ad oggi, e di ben 60 volte nel 2050. Similmente aumenterà la richiesta di cobalto che nel 2050 potrebbe essere di 15 volte superiore a quella attuale. La richiesta di terre rare utilizzate nei magneti permanenti, ad esempio per i veicoli elettrici, le tecnologie digitali o i generatori eolici, potrebbe decuplicare entro il 2050. Questo significa che la nostra economia rischia di passare dalla dipendenza da combustibili fossili a un’altra totale dipendenza da specifiche materie prime critiche. Anche l’industria italiana, di conseguenza, è esposta al rischio.

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La geopolitica del nuovo oro

E non è solo un problema economico. Si tratta anche di equilibri geopolitici globali. Basti pensare all’aumento del prezzo della bauxite in seguito al recente golpe in Guinea. Il Paese africano è il secondo produttore mondiale della roccia che costituisce la principale fonte per la produzione dell’alluminio, nonché il principale fornitore della materia prima alla Cina. Il Sole24Ore riferisce che dopo il golpe il prezzo della bauxite, già in rialzo del 40% da gennaio, ha toccato il suo record di 2.782 dollari per tonnellata al London Metal Exchange. Per non parlare della crisi dei prezzi di quasi tutte le materie prime dovuta all’arresto delle produzioni durante l’emergenza sanitaria, o degli interessi che gravitano intorno all’Afghanistan, di recente tornato nelle mani dei talebani. Secondo le autorità USA, nel sottosuolo afgano ci sono tra i più ricchi giacimenti minerari al mondo, il cui valore va oltre il trilione di dollari. Il New York Times, citando un memorandum del Ministero della Difesa USA, sostiene che l’Afghanistan potrebbe diventare “l’Arabia Saudita del litio”. Il cobalto, di cui è invece ricco il Congo, è una delle cause di sfruttamento minorile per la sua estrazione nelle miniere di proprietà cinese.

Un potenziale boomerang per lo sviluppo sostenibile

Le cattive notizie non finiscono qui. Secondo l’OCSE, l’aumento dell’uso dei materiali, unito alle conseguenze ambientali della loro estrazione e trasformazione, nonché dei rifiuti generati, potrebbe incrementare la pressione sulle risorse e compromettere i benefici in termini di benessere. Se non si tiene conto delle implicazioni del consumo di risorse necessario alle tecnologie definite “a basse emissioni di carbonio” si rischia semplicemente di spostare l’onere della diminuzione delle emissioni ad altre parti della catena economica, generando nuovi problemi ambientali e sociali, come l’inquinamento da metalli pesanti, la distruzione degli habitat o l’esaurimento delle risorse minerarie.

In questo contesto la digitalizzazione e la transizione ecologica rischiano di diventare un boomerang per lo sviluppo sostenibile, umano e del pianeta.

L’economia circolare e la “miniera urbana” dei rifiuti tecnologici

Un barlume di speranza lo offre ancora una volta l’approccio circolare che punta al recupero delle risorse già nelle nostre mani. Per non mettere a rischio la transizione verde e digitale, l’Unione europea intende investire in ricerca e sviluppo, nella prospezione mineraria sostenibile nei propri Paesi e, non ultimo, nel recupero di materiali preziosi dai rifiuti. Anche per l’Italia, un modo per ridurre, almeno parzialmente, la dipendenza dalle complesse dinamiche dei mercati globali delle materie prime critiche sta nella valorizzazione della nostra «miniera urbana» di rifiuti tecnologici. Secondo un recente rapporto Erion, la corretta e completa gestione, orientata al riciclo, invece che allo smaltimento, delle apparecchiature elettriche ed elettroniche post consumo, i cosiddetti RAEE, può diventare una vera “miniera”, nella logica della transizione economia circolare. Secondo i dati contenuti nel rapporto, a fronte dell’immissione nel mercato di oltre 900.000 tonnellate all’anno di apparecchiature elettriche e elettroniche sono raccolte in modo differenziato poco più di 350.000 tonnellate all’anno di RAEE, ovvero il 40%, rispetto ad un obiettivo europeo del 65%. Di queste, va a riciclo l’89%. Con gli investimenti e le scelte politiche giuste, i materiali riciclati potrebbero essere molti di più, riducendo il nostro consumo di materie primarie. Anche i consumatori sono avvisati: gli innumerevoli oggetti tecnologici nelle nostre mani, sono piccoli giacimenti preziosi di cui non disfarsi con superficialità.

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