In uno dei sui più recenti libri – Cambiamo strada. Le 15 lezioni del coronavirus, (Raffaello Cortina Editore, edizione francese 2020 – Edgar Morin parte dalla crisi pandemica per provare a disegnare un futuro migliore per l’umanità.
Morin (nome di battaglia usato durante la Resistenza e poi pseudonimo col quale il filosofo e sociologo è conosciuto in tutto il mondo) ritiene che quella del coronavirus non sia solo una crisi sanitaria divenuta poi anche crisi economica, ma che si tratti di una crisi di paradigma: “La crisi generale di proporzioni gigantesche causata dal coronavirus va vista come sintomo virulento di una vasta crisi più profonda del grande paradigma dell’Occidente diventato mondiale, quello della modernità”.
Scritto all’età di 99 anni, il volumetto è un po’ una summa dei precedenti lavori – come I sette saperi necessari all’educazione del futuro, o La via. Per l’avvenire dell’umanità, o Sur la crise, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero – di una delle intelligenze più originali ed “eretiche” che hanno attraversato per intero il secolo scorso: dalla resistenza al nazismo passando per il ’68, per la nascita del pensiero ecologico fino all’intelligenza artificiale e ai social. Le sue riflessioni hanno toccato campi diversi come etnologia, genetica, cinema (è stato anche regista). Questa diversità di interessi lo ha portato ad affermare la necessità epistemologica e filosofica di un pensiero della complessità che vada oltre le specializzazioni del saper che ormai, afferma, ingabbiano il pensiero (“il primato degli specialisti sui generalisti – scrive – nuoce ad una collaborazione efficace”).
Scritto nelle fasi iniziali della pandemia, il saggio prende le mosse dal covid per cogliere aspetti positivi che l’umanità ha saputo mettere in campo nei primi momenti di reazione, ed è ottimista sulla possibilità che questi aspetti possano perdurare e portare con sé anche altre necessarie riforme. Difficile dire se, a due anni dall’inizio della pandemia e a ripresa in corso, Morin ha conservato lo stesso ottimismo. Proprio per questo non si possono non apprezzare le sue proposte, che vi riferiremo principalmente negli aspetti riconducibili alla riflessione che EconomiaCircolare.com sta conducendo sul feticcio neoliberista della crescita economica.
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“Crisi della vita terrestre”
Il neoliberismo e il dominio globale che la politica gli ha concesso hanno enormi responsabilità, secondo il pensatore francese, nella crisi che viviamo. Egdar Morin non ha dubbi sul fatto che la pandemia, a partire dalla sua origine, sia “il sintomo brutale della crisi della vita terreste (ecologica), di una crisi dell’umanità, che è essa stessa crisi della modernità, una crisi dello sviluppo tecnico, economico, industriale, una crisi del paradigma fondamentale che ha organizzato e imposto tutte le forze ormai scatenate in una corsa verso l’abisso”. Una crisi legata “allo sviluppo tecno-economico senza limiti che degrada progressivamente la biosfera”.
A gravare sul presente e sul futuro del nostro Pianeta è il dominio incontrastato dell’economia sulla politica. Politica che ha abdicato al suo compito di pensare la società e migliorarla senza appiattirsi sulla presunta scientificità dell’economia: “Nel 2019 il dogma spacciato per scientifico del neoliberismo dominava la maggior parte dei Paesi del Pianeta; esso riduce la politica all’economia e questa alla dottrina della libera concorrenza come soluzione di tutti i problemi sociali”.
La politica, leggiamo ancora, “si è svuotata di ogni contenuto per mettersi a rimorchio dell’economia; l’economia si è piegata al neoliberismo“. Secondo Morin, succube dell’economia e del pensiero neoliberista, la politica è responsabile di molti dei danni che il coronavirus ha prodotto nella società: “L’ossessione dei dirigenti per la redditività ha portato a economie riprovevoli per quanto riguarda gli ospedali e la prevenzione dei rischi sanitari”, scrive: “La crisi ha potentemente messo in luce le carenze di una politica che ha favorito il capitale a discapito del lavoro e ha scarificato prevenzione e precauzione in nome della redditività e della competitività”.
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Consumismo
Filiato dall’assunto della crescita economica senza fine, il consumismo è oggi, in larga parte del Pianeta, lo stile di vita dominante, che ha calato le logiche del neoliberismo nelle vite individuali e nei rapporti sociali, alterandoli e deteriorandoli. Morin non è tenero: “L’alienazione consumistica porta a un degrado della nostra civiltà”. E poi “un malessere interiore cresce con il benessere esteriore. Il maggior livello di vita è deteriorato dall’abbassamento della qualità della vita”. Il consumismo mercifica i rapporti sociali e li inaridisce, riducendoli a scambi. Il lockdown sembra aver intaccato questo automatismo e interrotto, almeno brevemente, la corsa al consumo. “Abbiamo potuto, durante la crisi, consumare solo l’indispensabile”, riflette Morin. E si chiede se “saremo di nuovo soggiogati dalla pulsione consumistica, a sua volta stimolata da pubblicità onnipresenti?”.
Il collegamento tra neoliberismo, consumismo, stili di vita e sostenibilità ambientale della vita sulla Terra è chiarissimo: “Alcune misure e abitudini, soprattutto alimentari, acquisite durante il confinamento potrebbero essere mantenute per contribuire alla transizione ecologica, che costituirebbe una rivoluzione non violenta della società”.
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Un nuovo ruolo della politica a partire della pandemia
La messe di investimenti, gli interventi sull’economia, e il ruolo meno sottomesso degli Stati per rispondere alla crisi pandemica hanno fatto sperare Morin in una nuova fase che possa vedere protagonista una politica che riconquista il proprio ruolo. “La crisi ha messo in discussione il neoliberismo, sostrato dottrinario delle politiche portate avanti nel mondo a partire dagli anni Thatcher-Reagan, che promossero la libera concorrenza economica come soluzione di tutti i problemi sociali e umani e che predicarono, per le imprese, la massima libertà e, per lo Stato, un ruolo minimo. Tutto nella prospettiva, sempre smentita, secondo cui la crescita dalla ricchezza dei ricchi avrà un effetto ‘trickle-down’ (effetto goccia, ndr) sul popolo. La crisi ha costretto gli Stati ad abbandonare la loro politica di austerità”.
Secondo lo studioso, quindi, sono due “le necessità inseparabili per ogni rinnovamento politico: uscire dal neoliberismo, riformare lo Stato”. Se per un nuovo ruolo dello Stato Morin indica una maggiore partecipazione dei cittadini, per lo politica ritiene necessario “unire globalizzazione e de-globalizzazione, crescita e decrescita, sviluppo e inviluppo”.
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Globalizzazione e deglobalizzazione
In linea teorica il concetto di globalizzazione non è negativo, secondo Morin. Negativo è limitare questo processo ai soli aspetti commerciali, economici e tecnologici. Perciò, per una società migliore, è auspicabile proseguire nella globalizzazione ma senza limitarla al dominante carattere tecno-economico, dando invece a questo concetto “un senso pieno che indica il moltiplicarsi e lo sviluppo di legami e cooperazioni”. D’altra parte, la pandemia ha fatto emergere con evidenza alcuni limiti della globalizzazione che riguardano anche aspetti economici, come l’interruzione di catene del valore globali che hanno lasciato ad esempio i nostri Paesi a lungo senza mascherine, senza reagenti per i test clinici, senza chip, senza materie prime. Nel mondo immaginato dal pensatore francese, allora, coesisterebbe la globalizzazione e insieme “parziali deglobalizzazioni che consentirebbero di assicurare l’autonomia alimentare e sanitaria delle nazioni, di soddisfare il loro minimo vitale energetico e industriale, di salvare il territorio dalla desertificazione, favorirebbe la vita delle comunità locali e regionali, l’orticultura nella periferia urbana, l’alimentazione a chilometro zero, il piccolo commercio e l’artigianato”.
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Crescita e decrescita
Analogo compromesso secondo Morin dovrebbe riguardare il fondamentale neoliberista della crescita economica.
La crescita è negativa se letta esclusivamente in chiave economico-commerciale, per questo non va abbandonata nel suo complesso. “La crescita che va perseguita – sostiene – è quella dell’economia dei bisogni essenziali: i servizi pubblici, tra cui la salute, l’educazione, i trasporti, le energie verdi, l’agricoltura di fattoria e agroecologia, l’economia sociale e solidale, la produzione dei beni durevoli, l’artigianato del riciclo, e anche la costruzione di case per chi vive in alloggi precari o è privo di alloggio, l’organizzazione delle città in funzione dell’uomo”. Insomma, in questa luce, ben venga la crescita.
Mentre è auspicabile una decrescita in altri aspetti: “Si deve operare progressivamente una decrescita per ridurre l’economia del frivolo e dell’illusorio, riportare la pubblicità ai sui messaggi informativi, diminuire la produzione e la conservazione dei cibi industriali così come la produzione di oggetti usa e getta e non riparabili, ridurre il traffico automobilistico, il trasporto su gomma (a vantaggio di quello su rotaia) e il traffico aereo, il che ridurrebbe le intossicazioni da inquinamento e quelle da consumo”.
Sintetizzando, Morin sottolinea “la sottoproduzione di prodotti necessari, di cui va favorita la crescita, e una sovrapproduzione di prodotti superflui, di cui va favorita la decrescita”.
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Sviluppo e inviluppo
Anche l’idea di sviluppo è stata contagiata e monopolizzata dal neoliberismo. “Lo sviluppo come lo intendiamo in Occidente è un fatto limitato alla sfera tecnica ed economica. Esso tende a identificarsi con la crescita e con tutto ciò che è calcolabile, ignorando la non quantificabile qualità della vita”. Il risultato di questa identificazione è uno sviluppo che ha portato spesso aridità nelle relazioni sociali e territoriali, privilengiando appunto la quantità alla qualità. Ecco perché lo sviluppo dovrebbe essere affiancato dall’inviluppo: “L’inviluppo riguarda la comunità e la solidarietà”, chiarisce il filosofo. “Se infatti durante il confinamento la solidarietà nelle sue varie forme si è ridestata, essa emerge da un lungo letargo nelle famiglie, nel vicinato, nei paesi, nel lavoro, nella nazione”. Morin non dimentica il ruolo che lo sviluppo economico e tecnologico ha avuto nella riduzione della povertà, ma non si accontenta: Lo sviluppo “se ha liberato dalla povertà una parte di quelli che la subivano, ha spesso trasformato la povertà in miseria. Così, dello sviluppo occorre conservare e amplificare tutto ciò che produce benessere, salute, libertà e collegarlo a tutto ciò che protegge le comunità e le forme di solidarietà”.
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Economia circolare
Pur non citando esplicitamente l’economia circolare, nel volume Morin ne affronta i temi, e la necessità, in più occasioni. Abbiamo già riferito di passaggi in cui condanna i prodotti usa e getta e auspica la crescita del riciclo. “Ogni Stato nazionale deve promuovere la raccolta differenziata e il riciclo dei rifiuti invece di distruggerli con gli inceneritori e lasciare soprattutto che inquinino il territorio”. Si trovano accenni non solo al riciclo, ma anche agli altri, prioritari, aspetti dell’economia circolare. “Una politica di civiltà – scrive Morin – promuoverebbe, contro gli sprechi, il riciclaggio dei rifiuti e le riparazioni; rifiuterebbe l’usa e getta. L’abbandono del consumismo non significa austerità ma temperanza. […] Si tratta di sostituire all’egemonia della quantità l’egemonia della qualità, all’ossessione del più l’ossessione del meglio”.
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Il ruolo centrale della sostenibilità ambientale
La crisi climatica e la zoonosi all’origine della pandemia hanno di fatto reso le questioni ambientali uno dei punti nevralgici di questo decennio. “La presa di coscienza della comunità di destino terrestre tra la Natura vivente e l’avventura umana deve diventare il principale evento del nostro tempo: dobbiamo sentirci solidali con questo pianeta alla cui esistenza la nostra vita è legata”. Comunità di destino che deve portarci rivedere la nostra prospettiva sul pianeta e sulle specie viventi. E a promuovere, secondo Morin, un accordo globale promosso dall’ONU simile a quello per i diritti umani.
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