[di Alessandra De Santis su Comune-info.net del 15.01.2018]
Fare economia tutelando l’ambiente, rispettando i diritti e valorizzando i territori, non solo è possibile ma è già realtà. Ce lo raccontano le oltre cento storie d’impresa raccolte, ad oggi, sull’Atlante Italiano dell’Economia Circolare; una piattaforma web gratuita pensata per orientare i consumi in modo etico e sostenibile, per la costruzione di una filiera sostenibile e per dare visibilità a chi, coraggiosamente, ha scelto di prendere la strada più difficile, quella che per fare profitti non scarica comodamente i costi sui lavoratori e sull’ambiente.
L’Atlante è uno degli strumenti di sensibilizzazione costruiti dal progetto Storie di Economia Circolare, promosso dal CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali e da ECODOM, il maggiore consorzio italiano impegnato nel recupero dei RAEE, rifiuti elettrici ed elettronici. Lo scopo dell’iniziativa? Stimolare una rivoluzione culturale grazie alla divulgazione, rendere consapevoli i consumatori offrendo delle alternative, mettere a sistema le varie realtà per creare una filiera che chiuda il cerchio e fare dell’economia sostenibile non un’eccezione ma la norma.
Le attività censite, che vanno dal semplice recupero di oggetti usati da rimettere in commercio, a esperienze industriali in grado di produrre materia prima seconda a partire dal riciclo di una materia prima vergine, hanno risposto all’appello compilando un dettagliato questionario, elaborato dal comitato scientifico composto, tra gli altri, dai ricercatori di Poliedra, Consorzio di ricerca del Politecnico di Milano e dagli economisti ambientali della Fondazione Ecosistemi.
Nell’Atlante le realtà, tutte significative nel proprio settore, sono collocate per Regione e inserite in uno dei tredici settori economici individuati; si va dall’agroalimentare alla gestione dei rifiuti dall’edilizia all’abbigliamento, dai mercati dell’usato ai casalinghi, e così via. In questo modo, è possibile navigare cercando realtà interessanti per ciascun settore vicino alla propria residenza.
L’altro strumento è l’omonimo Concorso annuale a premi, patrocinato dall’Ordine dei Giornalisti e dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, e rivolto a giornalisti, videomaker, fotografi, scrittori e storyteller, chiamati a raccontare scegliendo tra quattro linguaggi – video, foto, radio, scrittura – le storie virtuose di nuovi modelli produttivi e i benefici per l’ambiente e la società che ne derivano. Un contributo fondamentale al cambiamento di paradigma necessario affinché la transizione dall’economia lineare a quella circolare sia desiderabile e quindi concretamente realizzabile. La raccolta delle storie è iniziata il 5 dicembre scorso e il termine per l’invio scadrà il prossimo 31 maggio. Tutte le informazioni e il regolamento su www.economiacircolare.com. Questi strumenti sono il risultato del lavoro dell’equipe di ricerca di Storie di Economia Circolare.
La riflessione sull’economia circolare parte dalla definizione della Ellen MacArthur Foundation, che ha elaborato per prima il concetto: «l’economia circolare è un’economia pensata per auto-rigenerarsi, in cui i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera». È un sistema economico che, nella considerazione di tutte le fasi di vita di un prodotto – dalla progettazione, alla produzione, al consumo, fino alla destinazione finale –, sappia limitare l’apporto di materia ed energia in ingresso, minimizzare scarti e perdite, pianificare il riutilizzo dei materiali in successivi cicli produttivi, riducendo al massimo gli sprechi e ponendo attenzione alla prevenzione delle esternalità ambientali negative. Si oppone al modello economico lineare, detto usa-e-getta, in cui le iniziative a sostegno dell’efficientamento e della riduzione dei consumi, da sole, possono solo ritardare la crisi sistemica. L’accessibilità a grandi quantità di risorse ed energia non è adatta a un mondo dalle risorse finite.
Il comitato scientifico del progetto ha fatto un passo in più ampliando queste idee a un’economia in grado di creare anche nuovo valore sociale e territoriale, in cui servizi, prodotti e processi di produzione siano equi e poco impattanti sulla vita dei lavoratori e delle persone che vivono i territori coinvolti. L’obiettivo è stato quello di individuare criteri precisi, che tenessero conto delle ricadute sociali della produzione, per evitare di dar credito e visibilità alle tante storie di green washing di cui il marketing italiano è pieno.
Tuttavia, va detto ed è fondamentale ricordare che un intero sistema economico, anche se pensato nei termini della circolarità, non è assolutamente sufficiente ad arginare la crisi contro la quale il nostro modello di società rischia di schiantarsi. Ridurre i consumi in generale e, di conseguenza, la produzione, è imprescindibile perché non è in termini di mera quantizzazione delle merci che può essere ripensato il nostro modello economico. Occorre la costruzione di un sistema valoriale nuovo, slegato dalle logiche del consumo che sono alla base di quello attuale.
Di seguito alcune delle esperienze mappate. Potete scoprire tutte le altre sul sito Economiaciroclare.
ESO
“Ciclo del Riciclo” è il motto della Eso, una società che offre servizi di gestione trattamento e smaltimento dei rifiuti da ufficio, infermieristici e consulenza ambientale. Dal 1999, lavora con la consapevolezza che l’ambiente è un bene da preservare e che i rifiuti possono trasformarsi in risorsa, riducendo al massimo il loro impatto ambientale.
Che farsene per esempio di una scarpa vecchia o rotta, simbolo per eccellenza, di quel che ormai non serve più? La risposta è arrivata dopo oltre due anni di test e sperimentazioni: si chiama Esosport Run. Un’iniziativa anti-spreco che unisce utilità sociale, risvolti ambientali e amore per lo sport. Con le scarpe da ginnastica o da running usurate e recuperate la Eso costruisce pavimenti anticaduta nei parchi-gioco per bambini e basi per piste di atletica leggera.
Grazie all’apposita Esosport Bag, le vecchie scarpe possono essere inserire negli Esobox, contenitori in cartone riciclato. Dalla lavorazione della gomma – ricavata attraverso un procedimento di separazione della suola dalla tomaia – viene poi generata la materia prima seconda: un granulato che l’azienda dona gratuitamente alle amministrazioni pubbliche per la realizzazione di “Il Giardino di Betty”, un parco giochi dedicato a Elisabetta Salvioni Meletiou, moglie di Nicolas Meletiou, managing director di Eso, scomparsa prematuramente nel 2011, e “La Pista di Pietro”, una pista di atletica di 60 mt in ricordo del grande atleta velocista Pietro Mennea. Manuela Olivieri Mennea ha aderito all’iniziativa donando alla campagna le scarpe del marito: ogni “pista di Pietro” avrà così al suo interno un frammento delle scarpe di chi detenne il primato mondiale dei 200 metri piani per diciassette anni.
Esosport Run è il primo e unico progetto di riciclo delle scarpe sportive in Italia e in Europa; coinvolgendo attualmente più di una quarantina di Comuni italiani dal Nord alla Campania, il programma di raccolta fino a ora ha salvato oltre 100.000 paia di scarpe destinate alla discarica. Altro fiore all’occhiello è Esosport Bike dedicato alla raccolta e il riciclo di camere d’aria e copertoni di biciclette. Il fine ultimo è lo stesso: ricavare il granulato di gomma. Esosport Bike prevede l’adesione dei negozianti di biciclette e dei servizi di bike sharing, che possono richiedere il montaggio dello Starter kit esosport bike, un’asta dove i clienti possono infilare le camere d’aria e i copertoni esausti sostituiti dal negoziante, in cambio di un gadget firmato Esosport.
I punti di raccolta presenti in scuole, spazi ludici e ricreativi, impianti sportivi, negozi e nelle piazze durante le giornate dedicate all’ambiente sono anche uno stimolo per riflettere e ricordare che un oggetto consumato, che apparentemente rappresenta un rifiuto, può ri-nascere e contribuire a costruire qualcosa per il beneficio della comunità. Sono già nove i parchi, tra quelli creati ex novo e quelli riqualificati, realizzati con la pavimentazione antishock di gomma rigenerata.
ORANGE FIBER
Orange Fiber è la prima realtà imprenditoriale ad aver brevettato un tessuto di alta qualità partendo dagli scarti della lavorazione delle arance: un prodotto di eccellenza, e di successo, che contribuisce al contempo a risolvere un’emergenza ambientale del territorio.
Gli agrumi sono infatti una delle le colture più diffuse sul territorio siciliano, destinata soprattutto all’industria dei succhi di frutta. Ma il pastazzo, sottoprodotto della trasformazione agrumicola, è uno scarto da smaltire con costi elevati sia per la filiera che per l’ambiente. Un problema ingombrante, calcolando che in Italia ogni anno se ne producono circa un milione di tonnellate, di cui 340 mila solo in Sicilia.
Lo sa bene Adriana Santanocito, cresciuta a Catania, quando nel 2011, durante i suoi studi in Fashion Design e materiali innovativi a Milano, si presenta al laboratorio di Chimica dei Materiali del Politecnico con un’idea: ricavare un filato ecosostenibile a partire dal pastazzo. L’intuizione piace anche alla sua coinquilina Enrica Arena, catanese esperta di Marketing e Comunicazione. Insieme decidono di costituire una società per dare vita a un’idea che ha tutte le carte in regola per sfondare. Quella tessile è infatti la seconda industria più inquinante dopo quella del petrolio e la necessità di prodotti a basso impatto ambientale è in crescita. Un anno dopo viene sviluppato il processo innovativo che consente di trasformare la cellulosa ricavata dalle bucce e dal bianco degli agrumi in una fibra tessile simile alla seta, capace di rispondere al bisogno di sostenibilità dei fashion brand e dell’alta moda. Il brand, depositato nel 2014, oggi ha un suo impianto di produzione e realizza stoffe di alta qualità. Nel 2016, dopo la vittoria del Global Change Award, i tessuti vengono notati dalla celebre maison di moda Salvatore Ferragamo. Da questo incontro tra innovazione, moda e creatività italiana, nasce la Ferragamo Orange Fiber Collection, la prima linea di vestiti dalle fibre degli agrumi, lanciata in esclusiva proprio nel 2017.
MANIFATTURA MAIANO
Manifattura Maiano S.p.A. da oltre cinquanta anni lavora fibre tessili naturali e riciclate per trasformarle in feltri e ovatte impiegati come imbottiture e isolanti in molteplici settori industriali e applicazioni tecniche: dall’arredamento alle calzature, dall’automotive al florovivaismo. L’attività fa un ulteriore passo in avanti negli anni novanta, quando realizza con l’innovativa linea di isolanti per l’edilizia, caratterizzata dall’ecosostenibilità e dalle elevate prestazioni termiche e acustiche. Gli isolanti Maiano sono composti da materie prime di recupero come bottiglie di plastica, residui di lavorazioni del settore tessile e dell’abbigliamento o fibre naturali come canapa e lana di pecora. Ma la circolarità di questi prodotti non si estingue nei muri degli edifici, a fine vita sono ancora riciclabili o riutilizzabili. Le politiche interne dell’azienda sono finalizzate al miglioramento continuo delle performance ambientali dei processi, nella fase di produzione non sono impiegate sostanze chimiche nocive, collanti e acqua ed è stato messo a punto un sistema di riciclo degli scarti interni, recuperati al novantanove per cento e introdotti nuovamente nel ciclo produttivo.
Un’esperienza sessantennale che gli ha permesso di porsi obiettivi nella ricerca e nello sviluppo di nuovi prodotti a basso impatto ambientale ottenendo ottimi risultati qualitativi e vari riconoscimenti, come il premio innovazione per lo sviluppo sostenibile 2012, promosso da Legambiente, per l’isolante in tessili rigenerati Recycletherm Km0, e il premio “Zero waste”, per le buone pratiche d’impresa verso Rifiuti Zero anno 2016. Alla storia di Maiano si aggiunge il valore della trasparenza, per tutti i manufatti sono infatti disponibili le schede di profilo ambientale dove sono riportati gli indicatori di sostenibilità calcolati.
REFUGEE SCART
Economia circolare vuol dire donare seconda vita alla materia. Ma anche donare seconde opportunità alle persone. Refugee ScArt – L’arte dei rifugiati è un progetto umanitario della Fondazione Spiral Onlus nato nel 2011 con il patrocinio dell’UNHCR a sostegno dei rifugiati arrivati in Italia in cerca di protezione internazionale. In un laboratorio artigianale allestito ad hoc un gruppo di quindici rifugiati realizza oggetti fatti interamente con materiali di scarto. In sei anni, l’Arte dei Rifugiati ha trasformato quindici tonnellate di plastica romana in pochette, zaini, astucci, borse, portafogli, agende, copertine per libri, tovagliette, cartelline colorate e allegre che sorprendono per la cura della loro esecuzione e l’originalità estetica. Alcuni prodotti vengono realizzati utilizzando materiali di scarto provenienti anche dal museo Maxxi di Roma che aderisce al progetto vendendo la linea Refugee Scart nel proprio bookshop e usando le creazioni dei sarti della plastica come borse di cortesia per i visitatori. Un’esperienza che da nuova vita non solo ai rifiuti ma anche agli artigiani coinvolti nel progetto: l’intero ricavato delle vendite torna ai rifugiati, generando micro-reddito in attesa di un’opportunità lavorativa stabile.
QUAGGA
Moda etica da plastica rinnovata! Dall’idea di realizzare vestiti riciclando la plastica e una campagna di crowdfunding conclusa con successo nel 2006, è nato Quagga un marchio di abbigliamento protettivo invernale che produce vestiti da plastica rinnovata attraverso una filiera 100% made in Italy controllata ed etica, dove non avviene nessuno sfruttamento dei lavoratori e non vengono utilizzati prodotti di origine animale, vantando il maggior rating della certificazione Animal. Free.
I giubbotti, le polo, le t-shirt e le felpe firmate Quagga riducono l’impatto ambientale della produzione e per il contesto sociale nel quale sono realizzati, donando nuova vita alla plastica secondo i principi dell’economia circolare. L’uso della plastica riciclata, infatti, è la scelta fatta dagli ideatori verificando la sostenibilità ambientale di tutte le fibre già conosciute. Secondo le valutazioni a monte, l’uso di filati certificati da pet rinnovato comporta, durante le fasi di produzione e trasformazione, meno emissioni di CO2 degli altri tipi di filati, anche di quelli naturali, per i quali spesso si aggiungono i costi ambientali dell’importazione. Quagga inoltre è attenta a confezionare prodotti solo con materiali e tinture privi di sostanze tossiche e dannose non solo per la salute del consumatore finale, ma anche dei dipendenti e del territorio nel quale avviene la produzione. Tutti gli attori della filiera, fornitori di tessuto, di imbottiture e di minuterie accessorie, vengono selezionati in base alle certificazioni ambientali conseguite e alla loro disponibilità a individuare soluzioni sempre più sostenibili e performanti.
BAG – BEYOND ARCHITECTURE GROUP
BAG – Beyond Architecture Group è uno studio di progettazione sostenibile nato nel 2009 dalla passione di un giovane architetto di Padova, Paolo Robazza. Utilizzando materiali naturali, a chilometro zero e da recupero, paglia e legno di scarto o isolanti ottenuti con il riciclo di materiali, lo studio sperimenta tecnologie innovative e sostenibili accostandole a tecniche tradizionali per soluzioni che consentono un elevato risparmio energetico e benessere dell’abitare. BAG ha costruito la prima casa in paglia all’interno di un contesto urbano, nel quartiere del Quadraro a Roma. Durante i lavori nei propri cantieri, organizza workshop internazionali attraverso i quali è possibile partecipare, imparando, ai lavori di costruzione. Il cantiere si trasforma così da spazio privato a momento di condivisione e apprendimento,
Oltre alla progettazione per enti pubblici e privati, BAG è impegnato in attività ad alto valor sociale. Dopo il sisma in Abruzzo del 2009 ha progettato EVA, l’ecovillaggio autocostruito di Pescomaggiore, in provincia dell’Aquila, offrendo una soluzione antisismica e a basso impatto ambientale agli abitanti che hanno scelto di restare. Attualmente affianca l’associazione Baobab Experience nella costruzione di docce ecologiche per il centro di permanenza temporanea di richiedenti asilo a Roma.
FATTORIA DELLA PIANA
Fattoria della Piana è un esempio di eccellenza nel panorama agroalimentare italiano. La cooperativa si trova in Calabria ed è attiva dal 1996 nel settore caseario tramite raccolta, trasformazione e commercializzazione del latte proveniente dagli allevamenti di 110 aziende, con il primato regionale della produzione di pecorino. L’attività inizia dai circa 250 ettari di terreno coltivati e si estende su una superficie ristrutturata di oltre 1.000 mq, dove ricette di caseificazione secolari convivono con nuove tecnologie. Dal 2008 la fattoria è un ecosistema autosufficiente che ha abbandonato i combustibili fossili grazie alla centrale di produzione di biogas. Il letame e il liquame delle stalle dei soci – prima smaltiti a pagamento – e il siero residuo vengono avviati a un processo di fermentazione anaerobica. Se ne ricava energia elettrica che approvvigiona 2.680 famiglie ed energia termica impiegata dal caseificio e nel riscaldamento dei locali aziendali, mentre i resti della fermentazione diventano concime organico per i foraggi da allevamento. La comunità che lavora presso la fattoria è una famiglia che parla molte lingue, oltre all’italiano. La felice cooperazione di lavoratori locali e di professionisti, tecnici e addetti provenienti da Santo Domingo, Senegal, India contribuisce a rendere l’universo Fattoria della Piana un caleidoscopio di buone pratiche sia ambientali che sociali.
CSC MADE IN ITALY
Chi l’ha detto che i prodotti per la pulizia sono necessariamente velenosi per l’ambiente? Non è così, basta saper scegliere. CSC Made in Italy è una azienda cooperativa che produce da mezzo secolo strumenti per la pulizia della casa. Nel 2009 la ricerca di linee di produzione a basso impatto ha permesso a CSC di lanciare sul mercato i prodotti Remake: scope, spazzoloni, spazzole bucato e piatti, mollette e set auto realizzati completamente con materiali post-consumo.
Nulla, nei prodotti Remake, proviene da filiere estrattive: le parti in plastica sono prodotte con polietilene riciclato dai brick, come il Tetra Pak, mentre i filati provengono dal riciclo delle bottiglie in PET. Tutti i prodotti sono scomponibili per favorirne il futuro riciclo. Gli imballaggi sono in cartone riciclato e riciclabile. I residui plastici provenienti dalle lavorazioni sono raccolti e riutilizzati. Per un’autosufficienza energetica completa, l’azienda ha installato un impianto fotovoltaico sui tetti dei propri siti produttivi, riducendo drasticamente le emissioni di CO2. Una solida filiera locale, l’assunzione di collaboratori provenienti da cooperative sociali e i progetti per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi sono ulteriori elementi che aggregano valore sociale alla storia di un’azienda storica che ha scelto di guardare al futuro.
HUMANA PEOPLE TO PEOPLE ITALIA ONLUS
In molti amano comprare vestiti nei mercatini dell’usato. Ma scegliere alcuni di essi, oltre a evitare lo smaltimento di grandi quantità di rifiuti tessili e l’utilizzo di materia e energia per la produzione di nuovi capi, fa del bene anche ad intere comunità umane. Humana People to People Italia Onlus è uno di questi. Società cooperativa nata nel 1998 per raccogliere fondi destinati a progetti di sviluppo e solidarietà mediante la raccolta e il recupero di indumenti usati, Humana aggiunge ulteriore valore alla sua attività, offrendo supporto e strumenti in zone impoverite dei Sud del mondo. Tolti i costi operativi, l’intero ricavato dei punti vendita, oltre 1,4 milioni di euro nel 2016, viene utilizzato per interventi di cooperazione internazionale in più settori, tra cui istruzione, tutela della salute, aiuto all’infanzia e sicurezza alimentare.
Humana oggi raccoglie e recupera oltre 20.000 tonnellate d’indumenti usati e rifiuti tessili grazie a 5.000 contenitori stradali posizionati in circa 1.200 comuni italiani. Di quei capi, il 70% è destinato al riutilizzo, sia attraverso una rete di negozi di moda vintage e second hand presenti a Milano, Torino e Roma, sia mediante l’invio di vestiti in Africa, mentre il 25% è destinato a riciclo e recupero. Una scelta di stile che è anche una scelta di campo.
CARTIERA FAVINI
E se a colazione poteste farvi una spremuta e poi scrivere i vostri appunti sugli scarti dell’arancia? Inizia così il racconto radiofonico che snocciola la storia della Cartiera Favini, nata nel 1736 e impegnata dagli anni ’90 nella ricerca di materie prime alternative alla cellulosa di albero e nell’uso creativo di materiali di scarto per la produzione di carta, ecopelle e abbigliamento tecnico-sportivo.
Residui e sottoprodotti di scarso valore derivanti da altre filiere vengono rivalorizzati come materia prima nobile e impiegati per la produzione di nuova carta, invece di essere conferiti in discarica o destinati all’incenerimento. C’è la Shiro Alga Carta, ricavata dalle alghe infestanti che mettono a rischio il fragile ecosistema della Laguna di Venezia; c’è Crush, la gamma di carta realizzata con sottoprodotti di lavorazioni agro-industriali – mandorle, nocciole, agrumi, caffè, mais, kiwi, lavanda, ciliegia, uva e olive – e poi c’è Remake, composta al 30% da cellulosa di riciclo post consumo certificata FSC e al 25% da fibra derivante dagli scarti di lavorazione del cuoio italiano. L’esperienza di Favini, che da decenni progetta e realizza carta di alto valore per la stampa e imballaggi per i prodotti realizzati da importanti gruppi internazionali del settore della moda e del design, dimostra che l’economia circolare è una prospettiva a portata anche della grande industria. Basta volerlo.
REWARE
La Società Cooperativa Reware è un’impresa sociale romana specializzata da dieci anni nel campo della riparazione e rigenerazione delle apparecchiature informatiche dismesse dalle aziende. Reware intercetta i computer prima che diventino prematuramente rifiuti, li disassembla e testa le componenti per ricostruire macchine ancora funzionanti. Nel solo 2015 ne ha rigenerate quasi 6 tonnellate. Valorizzare i beni elettronici attraverso processi di riutilizzo consente ai computer di passare da una media di quattro anni di vita ad otto, dimezzando l’impatto ambientale imputabile ai rifiuti generati. Anche gli scarti di lavorazione vengono separati con cura e venduti ad aziende specializzate nella trasformazione delle componenti elettroniche in materia prima seconda. I lavoratori della cooperativa collaborano inoltre da anni con attori del terzo settore partecipando a progetti di cooperazione in Africa, realizzando workshop internazionali per aspiranti operatori del settore, organizzando corsi agli operatori del sociale della Provincia di Roma e seminari per migranti, nelle scuole e nel carcere minorile di Casal Del Marmo.
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