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venerdì, Novembre 15, 2024

Crisi climatica e agenda 2030, Johan Rockström: “Non esistono attualmente indicazioni che avremo successo”

Il climatologo Johan Rockström su sostenibilità e sfide per il futuro, tra la perdita dell’Amazzonia e il rischio di una nuova Wuhan

Lucia Guarano
Lucia Guarano
Giornalista e autrice, ha firmato per Round Robin editrice il romanzo-inchiesta: “La Guerra è finita”, candidato al premio Strega 2016. Ha collaborato con numerose testate internazionali (Al Jazeera English, Al Arabiya, The National, T- Qatar - The New York Times Style Magazine e Qatar Tribune) e nazionali (Giornalettismo, Huffington Post, Apcom). Ha tradotto dall’inglese il graphic novel “La Lucha” (Ed. Verso Books). Nel 2020 ha firmato, “Ilaria Alpi. Armi e veleni, le verità interrotte”, inchiesta a fumetti uscita in edicola, in allegato al Fatto Quotidiano.

“Prima di ridurre, bisogna iniziare a smettere di investire su risorse di energia sbagliate e dannose”. Johan Rockström, fondatore dello Stockholm Resilience Centre e direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research, ha parlato di sostenibilità e sfide per il futuro, ospite del podcast “Transformers”.

“Non raggiungeremo gli obiettivi compresi negli Accordi di Parigi a meno che non saremo in grado di fronteggiare tutti i confini planetari allo stesso tempo”. Rockstrom ha introdotto il concetto di confine planetario nel 2009 per definire uno “spazio operativo sicuro” in cui poter agire senza compromettere il futuro del pianeta. Secondo lo scienziato, l’obiettivo di dimezzare le emissioni entro il 2030 rappresenta una sfida enorme e non esistono attualmente indicazioni che avremo successo: “dobbiamo piegare le curve ora”, ha detto.

Una situazione a dir poco critica quella disegnata da Rockström, confermata dalla pubblicazione del rapporto The Closing Window – Climate crisis calls for rapid transformation of societies del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP). Anche il report attesta infatti che la comunità internazionale è molto lontana dagli obiettivi di Parigi di limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C, preferibilmente 1,5°C, e che solo un’urgente trasformazione del sistema può evitare il disastro climatico.

Cambiamento climatico: Ground Zero e i punti di non ritorno

Il climatologo ha parlato ampiamente dei quattro sistemi biofisici chiave a rischio tipping point, ovvero pericolosamente vicini ad oltrepassare il punto critico di non ritorno.

Rockstrom li chiama i Ground Zero della terra e sono:

  • L’Artico e la Groenlandia, regione che desta enormi preoccupazioni per lo scioglimento dei ghiacci; fenomeno che Rockstrom definisce una delle principali cause delle recenti ondate di caldo in Europa.
  • La foresta Amazzonica, il più ricco ecosistema terrestre e casa dell’habitat più biodiverso al mondo, vicinissimo al punto di non ritorno a causa della deforestazione.
  • Il terzo Ground Zero è l’Antartide occidentale che, stando a quanto spiegato dallo scienziato, si è rilevata più sensibile ai cambiamenti climatici dell’Artico, essendo composta da ghiaccio su roccia. Per questo motivo – ha spiegato – non si scioglie dall’alto, dove anzi cresce, ma perde ghiaccio dal basso.
  • E infine, le barriere coralline tropicali, sistema a fortissimo rischio scomparsa con l’aumento di 1,5 gradi delle temperature.

“L’avvicinarsi di questi sistemi al punto di non ritorno dovrebbe rappresentare, non solo un campanello di allarme, ma anche il segnale abbastanza chiaro che bisogna agire ora – ha dichiarato Rockstrom – Dieci anni fa non avevamo tutti queste prove, ma oggi la scienza è in grado di dimostrare che l’impegno a restare sotto i due gradi di aumento delle temperature e l’obiettivo di 1,5 è il confine da non superare”.

Cambiamento climatico: leadership dell’Ue

Secondo Rockstrom, l’Unione europea è, attualmente, l’unica regione a dimostrare leadership in materia di cambiamento climatico.

“La più grande unione economica del mondo sta iniziando ad avere politiche ambientali efficaci che vanno nella direzione della scienza, come il legal climate framework o il percorso definito per arrivare a meno 55% di riduzione delle emissioni nel 2030 e a zero emissioni nel 2050”.

Il climatologo ha sottolineato anche l’importanza di dimostrare che questa transizione, non solo è raggiungibile, ma che non rappresenta una minaccia per lo sviluppo e che può essere, invece, di slancio per l’economa, la sicurezza e la competitività.

Leggi anche: Quanto è lontana l’Ue dagli obiettivi di sviluppo sostenibile? I dati di Eurostat

Settore privato: un passo avanti alla politica

La cosa più importante è la traiettoria emersa dagli accordi di Parigi, ha enfatizzato Rockstrom nel corso del podcast. “Il settore privato, a livello globale, continua ad essere un passo avanti rispetto ai giochi politici e sta iniziando a cambiare il proprio approccio alla sfida climatica. Le compagnie stanno abbandonando l’idea di guardare alla sostenibilità come un dovere morale o etico, per vederla come una componente competitiva del modello di business“.

Lo scienziato ha portato ad esempio il settore dell’automotive tedesco, dove è in atto una vera e propria corsa all’elettrico. “Va così veloce, non perché i Ceo di Mercedes e Audi hanno deciso di salvare il pianeta, ma perché vogliono salvare le loro compagnie e per farlo devono trasformarsi lungo un percorso di sostenibilità“.

La lezione della pandemia: Amazzonia come Wuhan

Durante la pandemia che ha colpito il mondo nel 2020, abbiamo imparato quella che Rockstrom ha definito “una lezione di globalizzazione”.

“Stiamo vivendo in un mondo interconnesso nel quale, se una cosa va male in un angolo della terra, come accaduto a Wuhan in Cina, da lì può diffondersi nel resto del mondo e causare una pandemia – ha spiegato – Esattamente la stessa cosa che accadrebbe se perdessimo l’Amazzonia, al pari di Wuhan”.

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Interconnessioni, confini e timeline: i limiti della politica 

Il primo problema da risolvere per raggiungere gli obiettivi climatici, secondo Rockstrom, è l’incapacità della politica e della società civile di vedere le interconnessioni esistenti a livello globale.

Il secondo ostacolo risiede nella configurazione stessa dei sistemi politici ed economici. “I politici sono innanzitutto preoccupati di ciò che accade all’interno dei loro confini e questo non basta se vogliamo evitare che il pianeta raggiunga il punto di non ritorno”.

La timeline rappresenta il terzo problema: “Siamo incapaci di gestire sfide che diventeranno catastrofi da qui a 20-30 anni, quasi come se investire nel futuro non avesse valore oggi”.

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Come mobilitare le persone

La grande maggioranza della popolazione, circa il 70% della popolazione, è realmente preoccupata, vuole agire per il cambiamento climatico e si fida della scienza.

“Abbiamo un 20% della gente molto impegnata, una marginalità scettica sul cambiamento, non rilevante, e il restante 70/80% delle masse che sono indifferenti – ha commentato Rockstrom – Sono preoccupati per l’ambiente, ma anche per i figli, l’economia, la salute e il mutuo…Il nostro compito è rendere le cose più facili a questa maggioranza pronta ad agire, spiegare loro che salire a bordo rende la loro vita più facile”.

Come si fa? “Dimostrando che la transizione ha molti benefici…più salute, più soldi, è più attraente, e solo così si avrà successo – ha concluso Rockstrom – E dobbiamo riconoscere che, al momento, non stiamo riuscendo ad arrivare a questa grande maggioranza”.

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