Il libro di Danilo Selvaggi “Rachel dei pettirossi” (Pandion edizioni) è il saggio che doveva esserci, di cui il mondo dell’ambientalismo dovrà tener conto se vorrà recuperare l’anima smarrita. L’autore, che conosco per la sua preparazione e sensibilità non comuni, riattualizza il grande messaggio politico, etico e di meraviglia che la biologa e zoologa statunitense Rachel Carson aveva lanciato al mondo con la sua opera indimenticabile, “La primavera silenziosa”. Lo fa intrecciando la genesi del libro con la storia personale della scienziata scrittrice, segnata duramente dalle vicende della vita familiare e personale. Nata nel 1907, Rachel Carson morirà nel 1964, a soli due anni dalla pubblicazione del libro, per un cancro che era stato sottovalutato dal suo medico qualche anno prima.
Una denuncia, senza dimenticare la dimensione spirituale
Il racconto fluido e appassionato di Selvaggi fa emergere con chiarezza i legami profondi della scienziata con la sfera familiare, come quello con la madre Maria che l’aveva iniziata all’amore per la natura, o il legame che si porterà dietro tutta la vita con il mare, per meglio dire l’oceano, a cui dedicò una trilogia.
Nelle tre parti in cui è diviso il libro – Prima della Primavera, Nella Primavera e Dopo la Primavera –l’autore racconta la costruzione, i contenuti, i significati e le conseguenze generate dalla pubblicazione della fondamentale opera di Carson.
La gestazione del libro fu molto lunga e complessa ed attraversò varie vicissitudini. Il saggio che inizialmente doveva narrare la meraviglia della natura, si trasformò in un atto di denuncia senza dimenticare la dimensione spirituale e poetica tanto cara all’autrice, anche se con minore rilievo rispetto alla trilogia del mare. Danilo Selvaggi si sofferma spesso sulla figura complessa della Carson una scienziata impregnata anche di una formazione umanistica ricevuta all’inizio del suo percorso di studi, prima di convincersi a studiare biologia.
Leggi anche: Ridare un’anima alle cose. Una nuova cultura della cura per una vera economia circolare
Un libro che ha cambiato la storia, un manifesto dell’ambientalismo del futuro
“Primavera silenziosa” nasce e matura tra mille peripezie, con articoli importanti che lo anticipano e che danno il senso della forza che avrà, una volta pubblicato, nell’amplificare la sensibilizzazione a cui faranno da contraltare, inevitabilmente, gli attacchi delle multinazionali. Attacchi che si arenarono, spesso, davanti allo spessore tecnico scientifico di un’opera cresciuta nell’umile ed attento confronto con altri grandi studiosi.
La presa di coscienza da parte di una fetta sempre più grande della popolazione americana spinse le istituzioni centrali, a partire dal 1963, alla promulgazione di molte leggi ambientali nonostante la grande opposizione ed il negazionismo dei potentati economici. L’autore, analizzando la corposa attività legislativa iniziata dagli anni ’60, ritiene che non ci sia nessuna esagerazione nel ritenere “Primavera silenziosa” un libro che ha cambiato la storia.
Nel terzo ed ultimo capitolo dedicato all’attualità del messaggio contenuto in “Primavera silenziosa” c’è il cuore e il senso più profondo che Danilo Selvaggi ha voluto donare alla riflessione, sempre più urgente, su quale dovrebbe essere il futuro di un ambientalismo che guarda al futuro ma senza dimenticare le proprie radici. “Primavera silenziosa è una critica alla tradizione di pensiero che ignora la condizione vivente della natura (della natura non umana) e considera la natura un mondo inerte e chiuso, privo di relazioni significative, quasi non vivo, e anche per questo facilmente assoggettabile alle più varie pratiche di controllo”. Così inizia la descrizione del primo dei dieci significati di Primavera silenziosa che vanno a comporre quello che Danilo Selvaggi definisce “L’Ecosistema Carson”. Il primo significato è la buona e la cattiva ecologia ed è solo l’apertura di quello che ritengo essere un vero e proprio manifesto dell’ambientalismo del futuro, in cui la metafisica, la spiritualità e la poesia recuperano un ruolo fondamentale al fianco della scienza.
Per questo mi piace sottolineare gli ultimi tre significati che sento perfettamente assonanti con le mie riflessioni degli ultimi due anni: le due culture, il senso della meraviglia e l’etica della responsabilità.
Nelle “due culture” c’è la sottolineatura che ritengo attualissima sul rapporto tra la cultura scientifica e quella umanistica. Un rapporto che Rachel Carson risolve trovando una terza via per farle camminare insieme, convinta com’era che la realtà non possa dividersi tra valori contrapposti per andare a formare un mondo “problematico e dimezzato”. Fa pensare tanto alle polarizzazioni di questa contemporaneità, a cui sfugge il tema della complessità che l’ambientalismo dovrebbe invece ritrovare, così come al concetto del limite.
Leggi anche: Le donne fulcro della lotta alla crisi climatica. Ma le imprese facciano sul serio
La sfida delle meraviglia
A questo significato si collega direttamente quello della “meraviglia”, a cui personalmente sono particolarmente legato nella piena convinzione che dovremmo imparare a re-incantare il mondo se lo vogliamo preservare profondamente umano. In questo breve capitolo l’autore raggiunge, non a caso, la più alta dimensione poetica di tutto il volume. La zoologa era intimorita dal fatto che la meraviglia potesse pensarci come qualcosa da relegare all’infanzia, ma lascio al lettore la scoperta di queste meravigliose pagine. Mi piace però riportare un passaggio che ritengo fondamentale ed è la chiusura del significato di “meraviglia”. “Pochi temi culturali hanno oggi una valenza ecologica come questo. Poche sfide sono oggi importanti e nondimeno difficoltose quale quella di capire in che modo il nostro mondo razionalizzato possa riacquistare il fascino, la meraviglia, persino la sacralità senza cedere in scienza e conoscenza. Una sfida che sembra persa in partenza ma che merita di essere giocata e possibilmente, in qualche modo vinta“.
Ultimo dei significati è la lezione più alta della Carson scienziata e scrittrice: quello dell’etica della responsabilità intesa come capacità di ponderare le cose e risponderne, farsene carico. A questo punto non rimane che immergersi in una lettura che spinge a conoscere nel profondo una delle madri dell’ambientalismo mondiale e con lei la straordinaria lucidità e sensibilità di Danilo Selvaggi, che attraverso Rachel Carson ha voluto lanciare un messaggio fondamentale all’ambientalismo di oggi e dunque a quello di domani: non ci si può legare esclusivamente e in modo fideistico alla scienza e alla tecnica, né bisogna cedere a una polarizzazione che rischia di togliere l’anima a un percorso che dev’essere necessariamente anche interiore e profondamente spirituale.
© Riproduzione riservata