Indagare il rapporto tra ecologia, femminismo e lavoro attraverso l’analisi, i dati, le storie e la costruzione di un immaginario che abbatta gli stereotipi. Sono questi gli intenti di Poderosa, il nuovo progetto di approfondimento editoriale nato dalla collaborazione di Cdca, A Sud, Tuba – società culturale e libreria con sede a Roma specializzata in tematiche di genere – ed EconomiaCircolare.com.
Il progetto, attraverso una serie di iniziative che coinvolgeranno tante professionalità dei rispettivi ambiti, si propone di avviare una reciproca contaminazione di linguaggi e tematiche per mostrare i percorsi di formazione, le professioni, le imprese che oggi possono guidare la trasformazione ecologica e diventare un’opportunità per le donne per aumentare la loro leadership in questo settore.
Sulle due direttrici del pensiero, ecologista e femminista, si vuole costruire un’alleanza per promuovere reciprocamente un percorso di interconnessione di energie e competenze. Nello specifico gli obiettivi sono: formare giornaliste e giornalisti sui linguaggi inclusivi; costruire divulgazione sui temi dell’ecofemminismo che aiutino a superare stereotipi; analizzare i bisogni del mercato del lavoro con un’ottica di genere per promuovere il ruolo delle donne nell’economia circolare.
Le donne nella conversione ecologica
Ad inaugurare la collaborazione è stato il Circular Talk, che si è tenuto lo scorso 6 marzo, come di consueto sui canali social di EconomiaCircolare.com dal titolo “Divario e protagonismo. Le donne nella conversione ecologica” [video in fondo all’articolo]. L’appuntamento – che ha visto la partecipazione di rappresentanti di tutte le parti coinvolte – è stato incentrato sul ruolo delle donne nella conversione ecologica dell’economia e sull’eliminazione del divario e degli stereotipi di genere che permeano la società. Proprio le donne, che spesso sono le attiviste che difendono la salute e le risorse naturali contro la speculazione e che sui luoghi di lavoro adottano stili di vita e scelte di responsabilità ambientale e sociale, rischiano infatti di rimanere escluse dalle politiche per la transizione ecologica.
In questo senso, Sarah Di Nella, socia di Tuba, ha sottolineato il ruolo dei media e della stampa nel promuovere un approccio diverso alle questioni ecologiste e femministe.
“La tensione pubblica sui linguaggi dei media esiste ormai da tempo, – ha detto – eppure le narrazioni cambiano molto lentamente. Ci sono diversi protocolli che gli ordini dei giornalisti hanno siglato a livello regionale grazie al lavoro di molte donne e di associazioni di giornaliste, nel Lazio è successo nel 2016, ad esempio. Esiste anche una Carta dei giornalisti europei e delle buone pratiche, come quelle promosse dal The Guardian che ha attivato una revisione di genere degli articoli per garantire che siano rispettosi dal punto di vista del linguaggio”.
“Va sottolineato però – aggiunge – anche un altro aspetto della questione, ossia chi produce le notizie: Who makes the news è il titolo di un rapporto che indaga la dimensione di genere della produzione dell’informazione, quindi chi fa le notizie e anche chi ha il potere di costruire la narrazione del mondo in cui viviamo. La lingua e il potere di costruire una notizia e indagarla vanno di pari passo: non mi riferisco solo alla presenza di donne nelle redazioni, anche se è fortemente minoritaria, soprattutto quando parliamo di temi come l’economia o la politica, ma potremmo porre la domanda in modo più ampio chiedendoci quante sono le donne nere che guidano dei mezzi di informazione oppure quante persone non binarie possono decidere del contenuto del telegiornale delle 20″.
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Non esistono politiche taglia unica
Barbara Leda Kenny, caporedattrice di inGenere ha esposto il suo lavoro di disamina di quello che è stato l’impatto delle politiche pubbliche sulle questioni di genere. “Il Pnrr – ha spiegato – è una grande occasiona ma sappiamo anche che la mancanza di gestione e di strumenti redistributivi all’interno al Pnrr può accrescere i divari: ad esempio in piena crisi economica il governo italiano ha deciso di puntare tutto sui bonus, che abbiamo visto proliferare durante la pandemia. Finita l’emergenza, abbiamo avuto poi come politiche di ripresa il Superbonus 110%. Se analizziamo dal punto di vista del genere vediamo che: da una parte quelle dedicate alle donne non hanno avuto un impatto sufficiente; ad esempio il Bonus baby sitter copriva un millesimo delle esigenze reali. D’altro canto, investire tutto sul bonus 110%, quindi nell’edilizia, sognifica investire tutto nell’occupazione maschile. I numeri ce lo restituiscono: a perdere il lavoro durante la pandemia sono state di più le donne e l’occupazione femminile ha avuto una ripresa molto più lenta di quella maschile. Ecco come le misure delle politiche pubbliche hanno un impatto differenziato, soprattutto se non vengono ragionate”.
“Non esistono politiche taglia unica, – prosegue – cioè nessuna politica pubblica è neutrale e ogni volta che soggetti specifici non sono nominati significa che quella politica va a vantaggio dei soggetti sociali più forti. Nelle nostra società il soggetto sociale più forte è un maschio bianco nativo abile tendenzialmente con un buon livello di istruzione, quindi chi esce arricchito da una politica pubblica nell’assenza di destinatari specifici e chi ha già potere”.
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Una raccolta dati non (solo) binaria
All’incontro ha preso parte anche Giulia Sudano, presidente di Period Think Tank, realtà nata nel 2020, che si occupa di advocacy, policy e data con l’obiettivo di promuovere l’equità di genere attraverso un’approccio femminista intersezionale ai dati. “La raccolta dati non è neutra, – ha ricordato Sudano – cosa scegliamo di raccogliere e come lo raccogliamo è una scelta politica ed è qui che entra in gioco una visione di analisi politica femminista, cioè andare ad evidenziare quali sono le soggettività che non vengono rappresentate dai dati. È necessario un approccio intersezionale, perché le donne non sono monolite e poi ci sono tante altre identità di genere e soggettività che non esistono nelle statistiche e che quindi non vengono prese in considerazione da politiche pubbliche. Molto spesso non abbiamo neanche il binarismo all’interno dei dati e dei rapporti ufficiali per cui intanto dovremmo arrivare ad un binarismo. Poi, quando è possibile facciamo attivismo advocacy proprio per aprire ad una raccolta dati che non sia solo binaria. In Gran Bretagna, ad esempio, l’omologo dell’Istat italiano ha iniziato a fare rilevazioni ufficiali governative con un’ottica non binaria”.
“Stiamo iniziando a fare delle sperimentazioni locali con il comune di Bologna – aggiunge – e intendiamo proseguire. È importante perché la politica possa individuare le politiche più adatte, più efficaci e più eque per chiudere i divari e le disuguaglianze ed rendere quindi una vita più giusta a tutte le persone”.
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