[di Erica Balduzzi]
Dal riciclo al chilometro zero, la risposta degli ex lavoratori dello stabilimento per creare reddito e riconvertire la fabbrica in chiave ecologica e mutualistica
Sinossi
Ri-Maflow è una fabbrica recuperata dagli ex lavoratori a Trezzano sul Naviglio (MI).
Dopo la chiusura dello stabilimento della Maflow Spa, quindici ex operai cassintegrati nel 2013 si sono organizzati nell’associazione Occupy Maflow e nella cooperativa Ri-Maflow per recuperare gli stabili e riconvertire la fabbrica da automotive verso il riuso e il riciclo di materie prime seconde e la tutela del chilometro zero, in collaborazione con i piccoli produttori del Parco Agricolo Sud di Milano. Ri-Maflow propone una conversione ecologica dell’idea di fabbrica, costruendo linee di produzione industriali capaci di creare occupazione e al tempo stesso ridurre gli impatti ambientali.
Oggi la cooperativa dà lavoro a venti persone, ospita più di settanta artigiani in spazio condiviso e gestisce la piattaforma di distribuzione alimentare Fuorimercato.
Capannoni e rimesse, fabbriche e stabilimenti e un cuore pulsante di cemento e pendolari alle porte del Parco Agricolo Sud: benvenuti a Trezzano sul Naviglio, periferia sud ovest di Milano, terra dalla vocazione industriale ormai tradita che ha dato i natali ad una grande storia di resilienza: quella di Ri-Maflow, struttura recuperata e autogestita che ha fatto dell’ecologia e della circolarità il suo marchio di (nuova) fabbrica.
Un sogno di rinascita
Luigi Malabarba – per tutti Gigi – ha partecipato all’esperienza di Ri-Maflow fin dall’inizio. Vivaci occhi azzurri e massa di capelli bianchi, è il responsabile legale dell’associazione Occupy Maflow e non usa mai la parola “io” quando racconta l’avventura della fabbrica recuperata dagli ex lavoratori, perché una cosa vuole che sia chiara: Ri-Maflow è ed è sempre stata una storia di “noi”.
Fin da quando Ri-Maflow era Maflow Spa in bancarotta, i lavoratori erano operai in cassa integrazione e i capannoni che ora ospitano attività di riciclo e produzioni a chilometro zero erano appena stati svuotati dai macchinari e depredati dei cavi elettrici. Fin da quando associazione e cooperativa non esistevano se non nei sogni di pochi. Eppure eccoli qua: 28mila metri quadrati, camion che vanno e vengono, più di cento persone al lavoro e la volontà di dimostrare che altri modelli di economia – basati sul mutualismo, sulla circolarità e sull’attenzione all’ambiente – sono possibili. Eccome se lo sono.
Ri-Maflow è oggi tante cose in una. E’ uno spazio di mutuo soccorso che accoglie svariate attività artigiane e un luogo di sperimentazione industriale per il riciclo di materie prime seconde. Ma è anche il cuore fondante di Fuorimercato, associazione nata per collegare città e campagna in nome del chilometro zero e della resistenza ai ricatti imposti dalla GDO. La cooperativa Ri-Maflow occupa venti persone, sono più di settanta gli artigiani che frequentano le botteghe e le attività vengono coordinate dall’associazione Occupy Maflow, nata sull’esempio delle fabbriche recuperate argentine.
Prima di Ri-Maflow: una storia di resistenza
Ma per capire la forza di Ri-Maflow bisogna tornare indietro di una decina di anni, quando ancora Ri-Maflow non esisteva ma c’era la Maflow Spa, punta di diamante mondiale del settore automotive, con Scania e BMW tra i clienti principali. Lo stabilimento di Trezzano occupava in quegli anni più di 330 persone: quasi un sogno, in tempo di crisi.
Il sogno si infrange però nel 2009 quando, a dispetto dell’apparente stato di salute dell’azienda, la Maflow Spa è commissariata dal Tribunale di Milano con un debito di più di 300 milioni di euro. La notizia è un duro colpo per i lavoratori, che tuttavia non demordono: quando la BMW sospende le commesse, gli operai si organizzano in turni sulla piccola percentuale di lavoro rimasto – non più del 15% di fatturato – per dimostrare che si può assicurare la produzione mentre si cerca un nuovo acquirente. Nell’estate 2010 l’imprenditore polacco Boryszew compra la Maflow di Trezzano sul Naviglio all’asta e decide di tenere soltanto 80 lavoratori su 330. «Ma viene selezionato solo chi non era iscritto al sindacato», racconta Gigi. Per gli altri 250 il verdetto è quasi una condanna: cassa integrazione a perdere. Rimane solo la speranza – flebile – che la Maflow-Boryszew possa rimettersi in piedi e riassumere i lavoratori cassintegrati.
I due anni successivi sono decisivi. Mentre la Maflow – Boryszew lentamente muore dell’assenza di una progettualità di rilancio, una quindicina di ex lavoratori inizia a coltivare l’idea di costituire una cooperativa per creare occupazione anziché aspettarla, mettere a frutto le professionalità del territorio e provare a lavorare in chiave ecologica nel recupero dei RAEE., collocando l’attività in uno dei capannoni dell’ormai agonizzante Maflow- Boryszew. L’idea però sfuma: quando nel dicembre 2012 lo stabilimento di Trezzano sul Naviglio chiude, i macchinari e gli ultimi residui della Maflow a Trezzano prendono la via della Polonia e alla quindicina di ex lavoratori che volevano formare la cooperativa rimangono solo due cose: i capannoni vuoti e l’amara scoperta del furto di tutti i cavi elettrici della struttura. L’ipotesi è che dietro all’operazione ci sia la mano della ‘ndrangheta, dal momento che il sud ovest milanese è una delle aree maggiormente infiltrate dell’hinterland milanese. Quando il presidio dei lavoratori di uno stabilimento vicino viene demolito, si hanno le prove che si tratta di «un’intimidazione manifesta. Ma non abbiamo mollato: siamo entrati nei capannoni della Maflow, abbiamo ripristinato con grande fatica gli impianti. Nel frattempo abbiamo costituito la cooperativa Ri-Maflow e l’associazione Occupy Maflow e siamo partiti».
Tra botteghe artigiane, riciclo e autoproduzione
L’attività di Ri-Maflow è totalmente autogestita. A cadenza settimanale si stabiliscono gli obiettivi nei vari settori e si stilano i piani di investimento. Una cosa non facile per chi ha sempre lavorato “sotto padrone”: «Qui siamo tutti responsabili, non possiamo delegare ad altri le decisioni – spiega Gigi –. E non è facile decidere di tenere da parte dei soldi per gli investimenti quando tante delle nostre famiglie sono in difficoltà, ma è l’unico modo per andare avanti. E’ la sofferenza e insieme la forza della decisione collettiva».
Da un lato c’è quindi la cooperativa, nata nel 2013 per regolarizzare gli sviluppi industriali. Dall’altro c’è Occupy Maflow, che gestisce le attività informali, le primissime entrate economiche e si occupa dei rimborsi spese. All’inizio i quindici lavoratori si devono accontentare infatti di un rimborso mensile di 300 euro: è il massimo che si riesce a fare, poco a tutti e a tutti lo stesso. È solo nel 2016 che la cooperativa inizia a ingranare e si può parlare di busta paga regolare. Anche in questo caso, c’è totale equità tra tutti i membri della cooperativa.
Ad oggi, l’attività di Ri-Maflow si struttura principalmente lungo tre filoni d’azione. La Cittadella dell’Altra Economia occupa il primo capannone: botteghe artigiane che “fuori” non possono permettersi uno spazio lo trovano qui. Ci sono falegnami, fabbri, tappezzieri, artisti. Non c’è un affitto da pagare, ma si condividono le utenze bollette alla mano, e al tempo stesso ci si scambiano le competenze e si crea comunità. Il secondo capannone è invece occupato dalla rimessa dei camper. Fino a un paio di anni fa ospitava un vivace mercatino dell’usato, ma il Comune l’ha fatto chiudere. «Abbiamo così pensato di adibire lo spazio al rimessaggio – spiega Gigi – ma si tratta di una soluzione momentanea». Affittare gli spazi genera reddito, ma non crea posti di lavoro produttivi come invece prevede la filosofia di Ri-Maflow.
Nel terzo capannone si porta invece avanti il vero core business della fabbrica recuperata, quello dedicato al riciclo e al riuso delle materie di scarto. L’ambito ecologista è il motore di tutte le attività di Ri-Maflow: «inizialmente pensavamo di occuparci del recupero di RAEE, cioè rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, ma era una strada troppo complessa per le nostre forze. Ora siamo in fase di sperimentazione su processi di frantumazione e suddivisione dei materiali sulla base del peso». Questo piano industriale è ancora sperimentale perché – sebbene l’AMSA abbia manifestato un serio interesse a collaborare con Ri-Maflow in questo ambito – sono necessarie autorizzazioni da parte della Città Metropolitana in materia di trattamento rifiuti, che presuppongono una titolarità del luogo di produzione ancora non accordato dalla proprietà. «Ci piacerebbe poter restare in questo settore– continua ancora Gigi – perché fa parte della nostra filosofia di base: basta estrattivismo, basta con le discariche piene. Tutto si può riciclare, volendo. Anche molti dei nostri artigiani lavorano utilizzando materiale di recupero».
Fuorimercato, insieme contro i ricatti della GDO
Infine c’è Fuorimercato, nato anch’esso dentro Ri-Maflow, in collaborazione con i piccoli produttori del Parco Agricolo Sud di Milano tramite il GAS di Baggio (MI). Pian piano la rete si allarga, si crea una piattaforma di produttori e di punti di distribuzione accomunati dai medesimi obiettivi: superare la divisione tra città e campagna, contrastare i fenomeni di caporalato da nord a sud Italia e le agromafie e proporre modelli alternativi alla GDO. «Fuorimercato non è un mercato alternativo – specifica Malabarba – ma un’alternativa al mercato. Tanto per iniziare, come associazione siamo intervenuti per semplificare tutto il sistema di fatturazione, raccogliendo i versamenti di tutta la rete Gas di Milano. Inoltre, vorremmo che il biologico non sia soltanto una prerogativa dei ricchi: il cibo etico, buono e sano deve poter arrivare a tutti». Da Ri-Maflow dov’è cresciuto, oggi il nodo di distribuzione milanese della rete Fuorimercato ha un ulteriore centro operativo alla Masseria, bene confiscato e riutilizzato a Cisliano (MI): promuove il contatto tra produttori locali, favorisce il “chilometro zero politico” con quelle realtà lontane geograficamente ma vicine come filosofia, mette le competenze tecniche al servizio di nuove produzioni (oggi si è avviata la produzione di luppolo e in futuro si punta a costruire micro-malterie da mettere a disposizione di qualsiasi comunità per la produzione di birra artigianale a chilometro zero, ossia tutta con prodotti del territorio) e promuove anche produzioni interne, come il Rimoncello con i limoni di SOS Rosarno e l’Amaro Partigiano.
Progetti, quelli portati avanti da Ri-Maflow, che si radicano sempre nei territori perché, come specifica Gigi quando ci salutiamo, «nelle relazioni mutualistiche non basta un progetto politico, serve concretezza. Non si può tralasciare il dato economico: la teoria si perfeziona soltanto facendo qualcosa di pratico. E’ da questo che passano la vera rivoluzione e il vero cambiamento».