Privilegiare il riciclo chimico (più impattante sull’ambiente) rispetto a quello meccanico (più sostenibile) e ingannare i consumatori: potrebbero essere queste le conseguenze di un documento, una bozza di Implementing Decision (Decisione di esecuzione), della Commissione Europea. Documento che aggiorna le norme attuative della direttiva sulle materie plastiche monouso (SUP), che è stato bocciato dalla Commissione Ambiente del Parlamento UE (con una maggioranza risicatissima) e poi riabilitato dalle eurodeputate e dagli eurodeputati nella plenaria del 24 aprile scorso. La decisione di esecuzione, prevista all’articolo 6 dalla citata direttiva SUP, riguarda il calcolo e la verifica del contenuto riciclato nelle bottiglie di plastica monouso per bevande: il suo aggiornamento mira a includere tra le tecnologie di riciclo anche quello chimico. Secondo la Commissione Ambiente dell’Eurocamera (ENVI), la bozza sarebbe contraddittoria e potrebbe ribaltare la gerarchia, indicata nello stesso provvedimento, che privilegia il riciclo meccanico a quello chimico (per natura più impattante) tutte le volte che il primo è possibile e vantaggioso. Dello stesso parere anche le associazioni ambientaliste e le imprese della gestione dei rifiuti e del riciclo. A sostegno della bozza della Commissione UE, invece, le aziende chimiche e della plastica.
Riciclo chimico, una questione di metodo
Se fissiamo, come ha fatto l’Europa con la direttiva sulla plastica monouso (2019/904), degli obiettivi di contenuto riciclato per gli imballaggi in plastica, dobbiamo essere d’accordo su come calcolare quanto del polimero utilizzato è riciclato e quanto è invece vergine. Mentre per il riciclo meccanico farlo è più facile, le cose si complicano quando entra in gioco, come previsto dalla bozza proposta di decisione di esecuzione, il riciclo chimico, in cui le lunghe catene dei polimeri, grazie ad additivi, pressione e calore, vengono spezzettate in monomeri (le componenti elementari dei polimeri) o in prodotti intermedi che poi vengono utilizzati di nuovo come fossero stati appena estratti dal sottosuolo. Ci sono diversi metodi per calcolare (o forse sarebbe meglio dire stimare) la quota di contenuto riciclato chimicamente. E la Commissione non ha scelto, secondo alcune associazioni e secondo alcuni deputati, quello più neutrale.
Come spiega l’Istituto di ricerche Eunomia in un report elaborato su richiesta della Commissione Europea, per una valutazione la quota di materia riciclata nei prodotti finali della pirolisi e della gassificazione, due diversi processi di riciclo chimico, è necessario un approccio basato sul “bilancio di massa”: perché viene impiegato un processo chimico (cracking) che prevede sia input riciclati che vergini e “non c’è modo di rintracciare fisicamente gli atomi riciclati nei nuovi prodotti, poiché la connessione fisica diretta è interrotta”.
Il concetto base del bilancio di massa è molto semplice: ciò che entra deve corrispondere a ciò che esce. Più complesse invece, avverte l’Istituto di ricerche, le sue applicazioni. Un ruolo cruciale lo hanno le regole di allocazione, appunto l’attribuzione del contenuto riciclato in input (ad esempio, i rifiuti di plastica) a più output di un processo di riciclo: plastica, prodotti chimici, combustibili. Diversi metodi di allocazione possono portare, a parità di input, a risultati enormemente diversi.
Il grafico seguente tratto dal report Eunomia mostra che “le ‘perdite’ dovute all’allocazione possono variare dall’1% al 72%. Questo dimostra perché la procedura di allocazione è uno degli aspetti più importanti di un metodo di bilancio di massa”.
Tutte le attuali certificazioni volontarie per il contenuto di plastica riciclata che lavorano con il riciclo chimico “accettano anche un certo grado di libera allocazione tra i co-prodotti, ossia il materiale riciclato che entra nel processo più essere assegnato in egual misura a tutti i coprodotti o interamente a uno di essi”, ricorda Eunomia. Per processi come pirolisi e gassificazione esistono tre opzioni principali di allocazione attualmente discusse in Europa: (1) allocazione proporzionale, (2) allocazione che riguarda solo polimeri e (3) allocazione con esenzione dei combustibili. “Questi metodi – leggiamo in un report di Zero Waste Europe – si differenziano per la libertà di allocazione che le aziende chimiche hanno di assegnare il contenuto riciclato tra gli output (ad esempio, 100% di contenuto riciclato nella plastica e 0% nei prodotti chimici invece di 50% di plastica e 50% di prodotti chimici)”.
L’allocazione proporzionale è quella che concede alle imprese la minore libertà di giocare coi numeri e “ha il minore impatto sulla parità di condizioni tra il riciclo chimico a ciclo lungo e il riciclo meccanico e i maggiori benefici ambientali potenziali”. Le quantità di input riciclato sono infatti attribuite a ciascun prodotto in uscita nella stessa porzione che rappresentano nell’input totale. Con questo metodo “c’è meno ambiguità sul contenuto riciclato nei prodotti in plastica, il che aumenta la trasparenza del mercato del riciclo della plastica”.
Seguendo invece l’allocazione relativa ai soli polimeri (esclusi quindi gli altri prodotti chimici e i combustibili) la quantità teorica di prodotto riciclato può essere liberamente allocata tra i diversi lotti di plastica in output
Se invece si applica il metodo che esenta dall’allocazione solo i combustibili impiegati nel processo e i coprodotti utilizzati come combustibili (Fuel-use exempt) “la quantità teorica rimanente di plastica riciclata può essere allocata liberamente tra i restanti prodotti in uscita”.
Eunomia, nel documento realizzato per la Commissione, fornisce delle indicazioni per orientarsi tra questi diversi metodi. Innanzitutto afferma che “dei due approcci più severi (quello proporzionale e quello che riguarda solo i polimeri, ndr) l’allocazione proporzionale è il più intuitivo nei calcoli e lascia poco spazio all’interpretazione” ed è quindi “l’approccio attualmente raccomandato dato lo stato attuale delle conoscenze”. Tra i vantaggio dell’allocazione proporzionale viene annoverato il fatto che “elimina il rischio di compromettere la fiducia nelle dichiarazioni sul contenuto riciclato “. Infine, se il metodo di calcolo riguarda gli obiettivi di contenuto riciclato dell’Unione Europea, “potrebbe essere problematico adottare l’allocazione libera a causa della necessità di rispettare la definizione di riciclaggio contenuta nella Direttiva Quadro sui Rifiuti” (Art.3). Secondo la direttiva, infatti, la definizione di riciclo “non include il recupero di energia e il ritrattamento in materiali da utilizzare come combustibili”.
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Cosa prevede la bozza della Commissione
Per dare gambe alla SUP, e in particolare agli obiettivi di materia riciclata all’interno delle bottigliette, nel novembre scorso la Commissione ha già pubblicato una decisione di attuazione (2023/2683) dedicata al riciclo meccanico che la nuova bozza intende aggiornare ampliandone la portata anche al riciclo chimico. Tra le premesse della bozza (considerando 19) la Commissione delinea una gerarchia delle forme di riciclo, affermando che “le tecnologie di riciclaggio meccanico sono generalmente preferibili alle tecnologie di riciclaggio chimico, a condizione che siano in grado di produrre riciclati della qualità richiesta” e che “i rifiuti che possono essere riciclati meccanicamente non dovrebbero generalmente entrare nel riciclaggio chimico”. Arrivando all’oggetto del contendere, il testo propone come metodo di calcolo del bilancio di massa quello che esenta dall’allocazione i combustibili (Fuel-use exempt)”.
Quando la proposta arriva al parlamento Ue, la commissione Ambiente (ENVI) approva di misura (26 a favore, 24 contrari e 3 astenuti) una risoluzione che, alla luce di una serie nutrita di contestazioni, chiedeva alla Commissione Europea di “ritirare il suo progetto di decisione di attuazione e a presentare un nuovo progetto alla commissione”.
Principale motivo è il fatto che la scelta del bilancio di massa Fuel-use exempt “promuovere in particolare i processi di riciclaggio chimico che contribuiscono meno all’economia circolare senza prima attuare la gerarchia di cui al considerando 19”, scelta che “violerebbe l’obiettivo della direttiva (UE) 2019/904 (la SUP, ndr) di promuovere la transizione verso un’economia circolare”. Ma sono anche altri i motivi della bocciatura. I favorevoli osservano che l’adozione di una metodologia per il calcolo e la verifica della quota di riciclato è prevista sia dalla direttiva SUP che dal PPWR (Packaging and packaging waste regulation) recentemente approvato, “ma con importanti differenze in termini di portata, tempistica, contesto e condizionalità”. Nel caso della SUP il metodo riguarderebbe solo una piccola quota di prodotti (le bottiglie di plastica monouso per bevande) rispetto al complesso degli imballaggi regolamentati dal PPWR: sarebbe quindi “inopportuno” adottare il progetto di decisione di esecuzione della Commissione ai sensi di una direttiva con ambito di applicazione molto limitato rispetto al PPWR. La risoluzione osserva poi che “l’obiettivo del 2025 per il contenuto riciclato nella Direttiva SUP si applica solo alle bottiglie per bevande in PET” e che la pirolisi e la gassificazione non sono destinate al PET, “quindi non è necessario stabilire una metodologia di calcolo per questi metodi di riciclaggio chimico in relazione all’obiettivo del 2025”.
Le reazioni del mondo produttivo e associativo
Un plauso al voto in Commissione ENVI arriva da una nota congiunta sottoscritta da associazioni di imprese della gestione dei rifiuti (come EuRIC, che rappresenta le imprese europee del riciclo, Municipal Waste Europe, Fead, la European Waste Management Association, Ecopreneur-European Sustainable Business Federation) e organizzazioni della società civile (come Zero Waste Europe, EEB, Rethink Plastic Alliance o Deutsche Umwelthilfe): “Riteniamo che la bozza della Commissione, nella sua forma attuale, creerebbe una disparità di condizioni tra le tecnologie di riciclo, favorirebbe le tecnologie con un maggiore impatto ambientale, ingannerebbe i consumatori nel prendere decisioni di acquisto presumibilmente sostenibili a causa del greenwashing strutturale e quindi sarebbe in contraddizione con l’obiettivo della Direttiva sulla plastica monouso di promuovere la transizione verso un’economia circolare”. Argomentano infatti che “consentendo la ripartizione del contenuto riciclato tra i materiali in uscita per alcune operazioni di riciclo chimico (pirolisi e gassificazione), questi riciclatori chimici saranno in grado di dichiarare un contenuto riciclato teorico del 100% per alcuni dei loro prodotti, nonostante il loro processo accetti solo una quantità limitata di rifiuti e produca di conseguenza un contenuto riciclato significativamente inferiore”.
Quanto all’oggetto della misurazione richiesta dalla SUP e al perimetro interessato invece dalla Decisione, le organizzazioni sottolineano che “oltre l’80% degli imballaggi che rientrano nell’ambito di applicazione della presente decisione di attuazione è costituito da PET, una plastica già riciclata in modo efficiente e sicuro attraverso processi meccanici per ottenere una qualità a contatto con gli alimenti certificata dall’EFSA”. Mentre “la pirolisi o la gassificazione – le stesse tecnologie per le quali è stata concepita la presente decisione di attuazione – non possono accettare il PET come materia prima. Esse mirano invece al recupero di sostanze da altre plastiche (principalmente PE e PP), che hanno obiettivi chiari di contenuto riciclato solo per il 2030”. Insomma, concludono: “La fretta di legiferare con un campo di applicazione così ristretto rischia di mettere a repentaglio il futuro dell’intera industria del riciclo”.
La FEAD, che rappresenta l’industria privata della gestione dei rifiuti in tutta Europa, denuncia il rischio di distorsione della concorrenza e di greenwashing. Il modello di allocazione indicato dalla Commissione Ue, afferma, “distorce l’effettivo contenuto riciclato, contraddicendo la crescente richiesta di trasparenza nel mercato dei consumatori”, col “rischio di accuse di greenwashing, con conseguente contraccolpo dell’opinione pubblica sull’intero settore del riciclaggio”. L’industria petrolchimica otterrebbe “un elevato contenuto di riciclato con un minimo di olio di pirolisi derivato da rifiuti plastici, ostacolando la transizione dalla plastica a base fossile”. Creando “una situazione di disparità per i produttori e i riciclatori che utilizzano già il 100% di rifiuti plastici come materia prima” e una “prevedibile deviazione di materie prime di rifiuti meccanici riciclabili verso il riciclaggio chimico”.
L’industria petrolchimica, infatti, è di tutt’altro avviso: 20 associazioni che rappresentano vari settori della filiera della plastica hanno lanciato un appello agli Stati membri dell’UE affinché adottino proprio un metodo di bilancio di massa con esenzione per i carburanti. I firmatari – che raccolgono soggetti come Alliance for Beverage Cartons and the Environment, British Plastics Federation, A Circular Economy for Flexible Packaging, Chemical Recycling Europe e The European Association for Packaging and the Environment – avvertono che altri metodi di allocazione, come quello per soli polimeri e quello proporzionale, “aumenterebbero significativamente i costi ostacolando il raggiungimento degli obiettivi di contenuto riciclato negli imballaggi e in altri settori”.
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Sul riciclo chimico la Plenaria dell’Europarlamento promuove la bozza della Commissione UE
Il voto in plenaria, calendarizzato per il 24 del mese scorso, viene preceduto dall’intervento di altre associazioni di imprese favorevoli alla proposta dalla Commissione Ue. 26 associazioni di imprese della filiera della plastica e degli imballaggi – dallo European Chemical Industry Council (Cefic) a Chemical Recycling Europe a EUROPEN-The European Organisation for Packaging and the Environment e poi Flexible Packaging Europe, Food DrinkEurope, PCEP – Polyolefin Circular Economy Platform, Plastics Europe, Vinyl Plus, la filiera europea del PVC – scrivono al Parlamento Ue per chiedere di bocciare la mozione ENVI: “Il raggiungimento degli obiettivi di contenuto riciclato fissati per il 2030 e il 2040 (ad esempio nelle proposte legislative sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio o sui veicoli fuori uso, attualmente in discussione o in fase di finalizzazione) richiederà all’industria di scalare ulteriormente gli investimenti nel riciclo chimico”. Per questo, affermano gli industriali, “opporsi alla proposta della Commissione europea creerebbe una continua incertezza sull’accettazione del riciclo chimico e del bilancio di massa nella legislazione dell’UE, con l’effetto di mettere in pausa gli investimenti nelle tecnologie di riciclo chimico in Europa per i prossimi anni e di minacciare la capacità dell’industria di raggiungere gli obiettivi di contenuto riciclato”.
Mercoledì 24 aprile, la Plenaria ribalta il voto in Commissione ENVI e con 339 voti contrari, 234 favorevoli e 47 astenuti dà il via libera dell’Europarlamento al bilancio di massa con esenzione per i soli combustibili. Lauriane Veillard, responsabile delle politiche per il riciclo chimico e di Zero Waste Europe: “Il Parlamento europeo oggi potrebbe anche aver votato con gli occhi bendati. Hanno ignorato le preoccupazioni forti e chiare delle voci ambientaliste. Respingendo la risoluzione, gli eurodeputati stanno essenzialmente consegnando ai consumatori europei un ombrello pieno di buchi in una tempesta di greenwashing. È più di un’opportunità mancata: è un colpo diretto contro i consumatori, le PMI e le imprese di riciclaggio locali”.
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