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venerdì, Novembre 15, 2024

L’assenza di diritti fondiari per le donne può causare il degrado del suolo

In vista della Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e alla siccità, le Nazioni Unite puntano il faro sulla mancanza di uguaglianza di genere e l’assenza di diritti di proprietà fondiaria per le donne come una delle principali cause di degrado del suolo

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Uguaglianza di genere, sicurezza alimentare ed emancipazione economica: in molte nazioni del mondo, soprattutto nell’Africa subsahariana, questi tre diritti restano un miraggio. In un contesto drammatico, dove si vanno ad aggiungere gli effetti catastrofici dei cambiamenti climatici, che amplificano le disuguaglianze di genere e rappresentano una minaccia esistenziale alla sussistenza, salute e sicurezza delle donne.

Con l’avvicinarsi, il prossimo 17 giugno, della Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e alla siccità, è bene ricordare quanto in tutto il globo il suolo si stia degradando quotidianamente a causa della combinazione di siccità e desertificazione, mettendo a rischio la produzione di cibo e dunque la sicurezza alimentare di numerose nazioni in cui la sussistenza è garantita dall’agricoltura. Per di più, i metodi di coltivazione non sostenibili erodono il suolo cento volte più velocemente di quanto i processi naturali possano ripristinarlo, e fino al 40% del suolo del nostro pianeta è oggi degradato.

Dato che le donne rappresentano il 43% dei lavoratori agricoli mondiali, gli effetti del degrado del suolo sono sproporzionatamente più duri per loro. In parecchie nazioni a basso reddito, le donne soffrono per la mancanza di cibo, la scarsità d’acqua e la migrazione forzata. Nelle zone rurali, infatti, sono le donne ad avere spesso la responsabilità di procurare cibo, acqua e combustibile per le loro famiglie, e questo le rende più vulnerabili ai cambiamenti climatici.

Alla base dell’insicurezza alimentare c’è la mancanza di diritti

Le donne sono anche più colpite da eventi meteorologici estremi, come inondazioni e siccità, a causa di norme discriminatorie di genere che ostacolano o impediscono loro l’accesso a servizi fondamentali come l’istruzione e la salute, a cui si sommano l’assenza di formazione professionale e dei finanziamenti necessari per adattarsi ai cambiamenti climatici. Tra le pratiche discriminatorie più diffuse in molte nazioni dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina si contano il mancato riconoscimento dei diritti di proprietà fondiaria e dei diritti politici, le barriere al credito, la disparità di retribuzione e la violenza di genere.

Bloccando di fatto la partecipazione delle donne nella gestione della terra. Oggi nel mondo meno di un piccolo proprietario di terra su cinque è di sesso femminile, nonostante le donne rappresentino quasi la metà della forza lavoro agricola globale e producano fino all’80% del cibo nei paesi del Sud del mondo. Inoltre, quando le donne restano vedove, spesso subiscono lo sfratto da parte dei suoceri e si ritrovano senza un posto dove andare e, cosa forse ancora più importante, senza una terra da cui poter generare un reddito per sfamare se stesse e i propri figli. Basti pensare che il diritto delle donne a ereditare le proprietà dei mariti continua a essere negato in più di cento Paesi.

Sono le stesse Nazioni Unite a fissare le priorità: “I governi devono eliminare immediatamente le barriere legali che impediscono alle donne di possedere o ereditare la terra. Più in generale – si legge nel comunicato diffuso dall’Onu un anno fa nel corso della Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e alla siccità – le donne devono avere l’opportunità di partecipare alle decisioni riguardanti la gestione, la conservazione e il ripristino della terra”.

Purtroppo, però, le questioni relative alla parità di genere non sono un tema per i governi e le donne sono sottorappresentate nel processo decisionale delle politiche climatiche a tutti i livelli. I dati dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) indicano che solo il 12% degli 881 ministeri dell’ambiente è guidato da donne. Mentre dove ci sono più parlamentari di sesso femminile, ci sono anche maggiori probabilità di destinare terreni alla conservazione e dare rilevanza al ruolo delle donne nella cura e protezione del suolo.

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Disparità di reddito e conseguenze

Dato il ruolo significativo che le donne svolgono nell’agricoltura, nella conservazione della biodiversità e nella sicurezza alimentare, sarebbe fondamentale il loro contributo per attuare misure di adattamento ai cambiamenti climatici. Quando hanno le giuste opportunità, le donne possono trovare soluzioni innovative per affrontare la desertificazione, il degrado del suolo e la siccità. Ne vediamo i benefici in Paesi come la Giordania, dove un vivaio di piante gestito da donne ha utilizzato metodologie e protocolli all’avanguardia e rispettosi del genere per produrre piantine autoctone di alta qualità per il ripristino del territorio.

Le Nazioni Unite ricordano come politiche di uguaglianza di genere hanno un effetto positivo sul reddito familiare, riducono la violenza di genere e aumentano gli investimenti nell’istruzione, nella salute e nel benessere dei bambini. In Tanzania, dove oltre l’80% delle donne è impegnato in attività agricole, le donne che hanno ottenuto diritti fondiari più forti guadagnano fino a 3,8 volte in più e hanno maggiori probabilità di avere risparmi individuali. Negli stati in cui le donne non hanno il diritto di possedere la terra, invece, i loro figli sono spesso esclusi dal sistema educativo a causa della mancanza di un reddito familiare che permetta loro di pagare l’istruzione. Di contro, laddove i diritti di proprietà e di eredità delle donne sono tutelati, i bambini hanno fino a un terzo di probabilità in meno di essere gravemente denutriti.

Leggi anche: Il programma ONU per un’agricoltura resiliente al clima promuovendo l’uguaglianza di genere

C’è bisogno di maggiori finanziamenti

Eppure, mentre gli effetti dei cambiamenti climatici si fanno sentire in maniera sempre più insistente, le donne sono escluse non solo dai diritti politici, ma anche dai finanziamenti necessari per adattarsi a tali cambiamenti, rafforzando le disuguaglianze esistenti. Anzi, gli ultimi dati confermano che il divario si sta allargando. Nonostante l’aumento complessivo dei fondi per il clima, i finanziamenti destinati agli sforzi di adattamento sono infatti diminuiti del 44% nel biennio 2019-2020, secondo il Climate Policy Index e i piccoli agricoltori ricevono solo lo 0,8% dei finanziamenti globali per il clima. Mentre l’assistenza allo sviluppo climatico dedicata all’uguaglianza di genere come obiettivo “principale” ha rappresentato solo il 2,4% del totale dei finanziamenti nel biennio 2018-2019, secondo i dati dell’OCSE citati dall’IFAD.

Anche il settore privato può svolgere un ruolo fondamentale. Offrendo un più facile accesso al credito, le istituzioni finanziarie private possono aiutare le donne a permettersi la tecnologia e i fattori di produzione di cui hanno bisogno per migliorare i raccolti, mantenere il suolo fertile e prevenirne il degrado. Oppure la filantropia: la fondazione Bill & Melinda Gates, ad esempio, ha supportato, finora con un finanziamento da 23 milioni di dollari, il Gender Transformative Mechanism dell’IFAD per diffondere la giustizia di genere. Un progetto di ampio respiro con l’obiettivo di arrivare a 180 milioni di euro entro il 2030 da destinare in investimenti, sviluppo di competenze e attività per la giustizia di genere nelle aree rurali.

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Esempi virtuosi nel continente africano

Modelli positivi, sia per quanto riguarda la difesa dei diritti della terra, sia iniziative per garantire alle comunità locali di coltivare in maniera sostenibile il suolo e assicurarsi l’accesso all’alimentazione, fortunatamente ci sono: ma sono pochi rispetto all’enormità del fenomeno. Sono stati avviati, ad esempio, alcuni programmi per incoraggiare il dialogo tra le donne e le autorità locali perché siano messe in atto riforme fondiarie nel rispetto dei loro diritti.

Una campagna in Ciad ha mobilitato più di 25.000 donne, aiutandole a parlare con una sola voce e a farsi ascoltare dalle autorità: il risultato è stato l’assegnazione di 300 ettari di terreni alle donne. La Sierra Leone ha recentemente approvato una legge storica, mettendo fine a sei decenni di leggi consuetudinarie che impedivano alle donne di possedere terreni. Le donne della Sierra Leone hanno ora gli stessi diritti degli uomini di possedere, affittare o acquistare terreni nel paese e chiunque discrimini le donne nella vendita di terreni può incorrere in una multa fino all’imprigionamento.

Alcuni ricercatori dell’università di Birmingham recentemente hanno esaminato cinque progetti africani dedicati alla sicurezza alimentare. L’analisi dei casi studio ha dimostrato come gli sforzi collettivi possono riuscire a proteggere e promuovere il diritto al cibo nelle comunità locali. Il sostegno, nella forma di trasferimenti diretti di denaro da parte dei governi, anche in piccole somme, consente alle famiglie di acquistare cibo e garantire un nutrimento migliore ai propri figli.

Gli autori hanno citato come casi di successo il Malawi Social Cash Transfer Programme e il Mtukula Pakhomo Programme. In Senegal, il programma Community-Led Total Sanitation ha finanziato le comunità rurali per costruire latrine e migliorare le pratiche igieniche, riducendo le malattie trasmesse dall’acqua e portando a un notevole miglioramento della sicurezza alimentare. Anche soluzioni climatiche intelligenti, come l’agricoltura conservativa, migliorano la sicurezza alimentare.

In Zambia, l’agricoltura conservativa ha accresciuto la disponibilità di cibo per le famiglie rurali che praticano il cosiddetto mini farming. Questo tipo di agricoltura prevede un disturbo minimo del suolo (non si scava) e una copertura permanente (si ricopre il terreno con pacciame in modo che le foglie secche trattengano l’acqua e sia necessaria una minore irrigazione). In Rwanda e in Etiopia si è cercato di collegare i piccoli agricoltori con i mercati locali. Col risultato, citando il caso etiope, di una produzione agricola passata da 7,81 milioni di tonnellate nel 1992, l’anno precedente all’inizio del programma, a 26,7 milioni di tonnellate nel 2016.

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