Una sempre maggiore quantità di abiti dismessi e altri rifiuti tessili si aggira per l’Europa e per le strade del nostro Paese. Non solo perché il sistema produttivo ne immette sul mercato sempre di più, ma perché con l’entrata in vigore dell’obbligo di raccolta differenziata si è sensibilmente incrementato il quantitativo di rifiuti tessili “in circolazione”. Ma quali sono le implicazioni per le imprese che si occupano di raccolta e selezione? E soprattutto: il sistema è pronto a dare una destinazione adeguata a questi scarti attraverso l’immissione nel mercato del second hand e, per la restante parte, attraverso l’avvio al riciclo? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Fluttero, presidente di Unirau, l’associazione che rappresenta i raccoglitori e selezionatori di rifiuti tessili, sui quali ricade il peso di un effetto distorsivo del mercato dovuto al calo del valore di questi beni in relazione all’enorme aumento dell’offerta, e al parallelo e altrettanto enorme calo della qualità, fenomeni entrambi legati al fast fashion.
Presidente Fluttero, a quale fenomeno stiamo assistendo in questi primi mesi di entrata in vigore dell’obbligo di raccolta differenziata del tessile?
L’entrata in vigore dell’obbligo di raccolta differenziata non è di questi ultimi mesi, ma ha dispiegato i suoi effetti di crescita dei quantitativi anno dopo anno. Infatti l’obbligo instaurato a livello europeo era “entro il 1° gennaio 2025”, quindi ogni Paese ha scelto una propria data entro questo termine. L’Italia, come sappiano, ha scelto il 1° gennaio 2022.
Questo meccanismo ha quindi causato un graduale, ma costante, aumento dei quantitativi di rifiuti tessili urbani raccolti su base europea.
Quale meccanismo economico ha sempre regolato questo tipo di raccolta differenziata?
Come è noto la consuetudine consolidata negli scorsi decenni era che le cooperative della raccolta pagavano i loro costi con i ricavi della vendita dei rifiuti raccolti alle aziende della selezione, che a loro volta pagavano i loro costi ed ottenevano i loro margini dalla vendita dei prodotti tessili di abbigliamento preparati per il riuso nei mercati globali dell’usato e del “second hand” e riducevano i loro costi di smaltimento di quelli non riusabili con operazioni di downcycling come la produzione di strofinacci per la pulizia, imbottiture o materiali fonoassorbenti.
In pratica le stazioni appaltanti del servizio non avevano costi, ma frequentemente incassavano persino una royalties che veniva determinata in sede di gara dalla migliore offerta.
Quali sono le conseguenze su questa crescita esponenziale dei rifiuti tessili per gli operatori della raccolta e della selezione?
Per una fondamentale legge di mercato un aumento dell’offerta di raccolte alle imprese della selezione in presenza di una sostanziale invarianza della domanda sta determinando un crollo verticale dei valori dei rifiuti a livelli inferiori ai costi della raccolta, portando rapidamente alla impossibilità di sostenere interamente il costo della raccolta con il valore dei rifiuti raccolti come era avvenuto per molti anni.
Come si affronta questo nodo?
In attesa della discesa in campo dei sistemi di EPR dotati di risorse generate dagli ecocontributi non ci sono alternative al fatto che le stazioni appaltanti passino da un contesto in cui le gare per la raccolta generavano un ricavo, ad uno nel quale generano un costo ad integrazione del valore ricavabile dalla vendita dei rifiuti raccolti.

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Una volta raccolto, questo surplus di rifiuti non dovrebbe essere una fonte di guadagni supplementari per le imprese della raccolta e selezione?
Non è così. Le caratteristiche intrinseche dei prodotti a fine vita delle altre raccolte differenziate indirizzano al riciclo e generano materie prime secondarie che hanno normalmente sbocchi in mercati globali enormi. In questo caso invece la enorme varietà di prodotti (dalle scarpe ai cappelli, ai guanti, alle maglie, all’intimo, alle borse, all’abbigliamento sportivo, alle lenzuola, ai tappeti, per citarne solo alcune) e la grande disomogeneità di materiali (mischie di materiali e finiture utilizzati per i singoli prodotti) rendono quasi impossibile ad oggi ottenere materie prime seconde da reimmettere sul mercato. Di conseguenza i prodotti riusabili vengono indirizzati verso il mercato del “second hand” globale, ovviamente non illimitato, mentre i non riusabili ad operazioni di downcycling, anche in questo caso con mercati di sbocco facilmente saturabili.
Il risultato è appunto più offerta che domanda, crollo del valore delle raccolte e saturazione dei mercati di sbocco. Prima di aumentare le raccolte bisogna affrontare il problema del riciclo da fibra a fibra e dei mercati di sbocco.
Questa crescita esponenziale dei rifiuti tessili in circolazione riguarda soltanto l’Italia o è un fenomeno più esteso?
No. Riguarda tutta Europa. E se altri Paesi sostengono economicamente la filiera, come sta iniziando a succedere, le nostre raccolte non troveranno più selezionatori interessati ad acquistarle, perché anche loro per non andare fuori mercato rispetto ai loro concorrenti compreranno raccolte di altri Paesi europei a prezzi più bassi delle nostre.
In altri settori industriali il permanere di troppi scarti in circolazione per lunghi tempi ha creato grossi disagi e in diversi casi gli impianti di stoccaggio hanno subito incendi.
Oltre al blocco delle raccolte è esattamente quello che potrebbe succedere se non si affronterà rapidamente il problema.
Tutto ciò accade in un momento in cui a livello europeo si cerca di limitare le procedure di esportazione di tutti i rifiuti di abbigliamento e tessile domestico. Condividi la necessità di limitare l’export? Quale scenario ipotizzi?
La riduzione delle esportazioni di rifiuti dall’Unione europea riguarda tutti i tipi di rifiuti, come previsto dal regolamento approvato la scorsa primavera e che entrerà in vigore dalla primavera del 2027. Il principio è condivisibile ed è funzionale sia ad evitare di lasciar uscire dal continente preziose materie prime, che ad evitare pratiche di smaltimento illegale ed ambientalmente dannose. Ma ogni singola filiera ha le proprie caratteristiche. Nel caso dei rifiuti tessili è indispensabile poter esportare rifiuti tessili originali, ovvero non selezionati, acquistati poi da impianti di selezione extraeuropei che creano occupazione ed alimentano mercati locali del riuso, a condizione che tali impianti garantiscano buoni standard ambientali. Senza questa capacità impiantistica di selezione extra UE il sistema interno non riuscirebbe a reggere.
Inoltre è indispensabile garantire l’esportazione del “vero usato” prodotto dalle imprese dei selezionatori italiani ed europei verso i mercati globali del “second hand” senza i quali ridurremmo ulteriormente e drasticamente gli sbocchi delle nostre raccolte. Ma contemporaneamente occorre contrastare le esportazioni di “finto usato” ovvero di scarti di selezione europei non avviabili al riuso che qualche selezionatore scorretto potrebbe declassificare da rifiuto a prodotto usato per esportarlo evitando di affrontare costi di smaltimento (che ormai sfiorano i 300 euro tonnellata) e creando danni ambientali e concorrenza sleale.

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Con l’approvazione dell’EPR su tessili e sprechi alimentare ci avviamo a introdurre in tutta l’Ue e in Italia il regime della responsabilità estesa del produttore. Cosa cambierà con queste novità?
Innanzitutto sarà importante avere una normativa EPR la più armonizzata possibile per evitare concorrenza sleale tra i diversi Paesi, come anche un regolamento End of Waste unico. Poi sarà indispensabile l’ecoprogettazione per lavorare sulla qualità dei prodotti immessi sul mercato che dovranno essere, come previsto dalla “strategia europea per un tessile sostenibile e circolare” più durevoli, riparabili e riciclabili. Quindi occorrerà investire in tecnologie per il riciclo da fibra a fibra ed infine prepararsi a mettere mano agli ecocontributi che pagheranno i produttori, ed in ultima istanza noi consumatori, con i quali sostenere in una logica di mercato e di concorrenza le attività di raccolta, selezione e, preparazione per il riuso e riciclo di qualità. Al netto ovviamente di quanto si potrà ricavare dalla vendita dell’usato e dal riciclo.
Prima di spingere per aumentare le raccolte quindi calma. C’è davvero tanto lavoro da fare. In caso contrario il sistema si blocca e nella peggiore delle ipotesi ci troveremo capannoni pieni, abbandonati e magari “casualmente” oggetto di fenomeni di “autocombustione” come già sperimentato in altri casi.
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