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giovedì, Dicembre 26, 2024

A che punto è la transizione ecologica dell’Italia?

La Legge di Bilancio contiene le prime misure del Green New Deal. Ma serve puntare di più sull'economia circolare, come testimonia il rapporto redatto dal Circular Economy Network in collaborazione con Enea: dalle materie prime seconde alla valorizzazione dei rifiuti, ci sono fino a 500mila potenziali posti di lavoro in più

Antonio Carnevale
Antonio Carnevale
Nato a Roma, giornalista pubblicista dal 2012, autore radiofonico ed esperto di comunicazione e new media. Appassionato di sport, in particolare tennis e calcio, ama la musica, il cinema e le nuove tecnologie. Da qui nasce il suo impegno su StartupItalia! e Wired Italia, dove negli anni - spaziando tra startup, web, social network, piattaforme di intrattenimento digitale, robotica, nuove forme di mobilità, fintech ed economia circolare - si è occupato di analizzare i cambiamenti che le nuove tecnologie stanno portando nella nostra società e nella vita di tutti i giorni.

A partire dalla Legge di Bilancio 2020 il nostro Paese ha dato il via a quello che, almeno nelle intenzioni del Governo, dovrebbe essere il cosiddetto Green New Deal italiano, un piano d’investimenti e di misure che hanno l’obiettivo di rendere sostenibile la nostra economia.

In pratica il modello, su scala nazionale, del piano di investimenti verde inaugurato negli scorsi mesi a Bruxelles: per raggiungere l’obiettivo delle emissioni zero entro il 2050 la Commissione europea ha infatti deciso di dedicare un quarto del proprio bilancio alla lotta ai cambiamenti climatici e ha previsto la distribuzione di risorse ai paesi europei destinati all’economia circolare e alla transizione ecologica dell’industria.

Soldi che, secondo le previsioni, dovrebbero mobilitare almeno mille miliardi di investimenti nei prossimi dieci anni e consentire a tutti i Paesi di potenziare la diffusione delle energie rinnovabili e al contempo smettere di incentivare l’uso di combustibili fossili.

Tra le misure principali del Green New Deal europeo, che si prevede possano generare i loro effetti già nei prossimi anni, ci sono la Legge sul Clima e il Fondo per una transizione giusta. Quest’ultimo servirà a finanziare il percorso di transizione ecologica dei paesi europei: dalla completa decarbonizzazione alla realizzazione di nuove infrastrutture e l’investimento in nuove attività produttive.

Si tratta di 7,5 miliardi che verranno distribuiti in base alle necessità dei singoli stati: la Polonia, ad esempio, che ancora oggi ottiene l’80 per cento della propria energia elettrica dal carbone – e che dunque rischia di subire perdite occupazionali ingenti nel corso della transizione verso forme di produzione più sostenibili – dovrebbe ricevere la maggiore erogazione di fondi: 2miliardi di euro, che potranno innescare investimenti pubblici e privati per oltre 27 miliardi di euro nel periodo 2021-2027.

In generale, la gran parte dei fondi andrà ai paesi dell’Est Europa, che dovrebbero mobilitare investimenti per oltre 60 miliardi di euro. Al nostro Paese andranno 364 milioni di euro per investimenti pari a 4,8 miliardi. Una buona parte di queste risorse sosterranno la riconversione produttiva delle industrie tedesche, con 877 milioni e investimenti stimati in 13,4 miliardi di euro con, a seguire, Francia (402 milioni per 5,8 miliardi di investimenti) e Spagna (307 milioni per 4,4 miliardi di investimenti).

Ovviamente, la distribuzione del denaro dipenderà da specifici progetti di riconversione ambientale ed economica che i paesi dovranno presentare alla Commissione europea.

Processo di transizione avviato

In Italia, come detto, la legge di bilancio 2020 contiene alcune prime misure per il Green new deal, come l’istituzione di un fondo per gli investimenti pubblici (4,24 miliardi di euro per gli anni dal 2020 al 2023), destinato a sostenere progetti e programmi di investimento innovativi per l’economia circolare, per la decarbonizzazione dell’economia, la rigenerazione urbana, il turismo sostenibile, l’adattamento e la mitigazione dei rischi derivanti dal cambiamento climatico.

Inoltre, tra le misure varate in questi mesi dal governo italiano per incentivare e sostenere gli investimenti in impianti per l’economia circolare c’è sicuramente il piano Transizione 4.0, erede diretto del piano Industria 4.0 e del piano Impresa 4.0, ma con maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale ed esplicitamente finalizzato a favorire anche gli investimenti green delle imprese. Il piano prevede 7 miliardi di agevolazioni a favore delle aziende per investimenti in beni strutturali, in ricerca, innovazione, sviluppo e formazione del personale, per la trasformazione tecnologica, digitale e sostenibile dei processi produttivi.

Aspetti decisivi se pensiamo che, secondo le previsioni del terzo rapporto elaborato da Federmanager insieme all’Aiee (l’asociazione italiana economisti dell’energia) dal titolo “Transizione verde e sviluppo. Può l’economia circolare contribuire al rilancio del sistema Italia?”, in soli 10 anni lo sviluppo dell’economia circolare nel nostro Paese potrà portare fino a 500mila nuovi posti di lavoro.

Previsioni in linea con le stime di Bruxelles, secondo cui l’economia circolare creerà 580mila posti di lavoro entro il 2030. Inoltre, la completa implementazione delle misure europee per la gestione dei rifiuti potrebbe aggiungere 170mila posti di lavoro entro il 2035.

È ovvio che, se tanti nuovi lavori saranno creati dall’economia circolare e nasceranno un gran numero di nuove professioni, ci sarà anche chi perderà un lavoro legato all’economia tradizionale. Ecco perché, specifica il rapporto dell’Aiee, è opportuno che vengano colmate in tempi rapidi alcune lacune dal punto di vista legislativo, ma anche dal punto di vista delle competenze e delle difficoltà di accesso al credito.

Italia vs resto d’Europa

Ma come procede il processo di transizione tecnologica ed energetica del nostro Paese? La fotografia dello stato attuale ce la fornisce il “Rapporto sull’economia circolare in Italia 2020”, a cura del Circular Economy Network in collaborazione con ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.

Secondo il rapporto, le performance nazionali di circolarità nel settore della produzione si confermano le migliori rispetto ad altre quattro principali economie europee: Germania, Francia, Spagna e Polonia. I parametri analizzati sono “produzione”, “consumo”, “gestione dei rifiuti”, “materie prime seconde”, “innovazione e investimenti”.

Nello specifico, il nostro Paese risulta essere costantemente al primo posto come indice complessivo di performance sulla produzione, un indicatore che tiene in considerazione la produttività delle risorse, la bilancia tra import ed export dei materiali e i livelli di produzione da fonti rinnovabili. Pur mantenendo il primato rispetto alle altre economie europee, sono in calo però le performance italiane di produttività energetica (nel 2018 il valore corrisponde a 9,9 euro prodotti per kg equivalente di petrolio) e in termini di quota di energia rinnovabile utilizzata rispetto al consumo totale di energia.

L’Italia va male poi dal punto di vista della circolarità dei consumi, piazzandosi al quarto posto. Il nostro Paese vanta la presenza più numerosa di imprese ma con un fatturato che rimane più basso rispetto agli altri Paesi e sconta un ritardo importante in particolare nei settori della riparazione e dello sharing.

Tutt’altro discorso quello della gestione dei rifiuti, dove l’Italia torna in testa: la percentuale di riciclo dei rifiuti nel nostro Paese è pari al 68%, nettamente superiore alla media europea. Inoltre, secondo le recenti rilevazioni dell’Eurobarometro (2017), si segnala che il 60% delle piccole e medie imprese italiane ha già deciso di puntare sulla riduzione dei rifiuti attraverso processi di economia circolare.

Nel mercato delle materie prime seconde, l’Italia si piazza al secondo posto, dietro la Francia. Il parametro che è stato utilizzato per valutare il comparto è il tasso di utilizzo circolare di materia, che per l’Italia è pari al 17,7% (dato aggiornato al 2017). Nel confronto con l’Europa, il tasso italiano risulta inferiore solo a quello di Paesi Bassi (29,9%), Francia (18,6%), Belgio (17,8%) e Regno Unito (17,8%), e comunque superiore a quello della Spagna, ferma al 7,4%.

In Italia poi il bilancio tra l’import e l’export del materiale riciclato registra il netto vantaggio del primo, che è più del doppio: questo significa che non siamo ancora così bravi a valorizzare i rifiuti e reimmettere questi materiali nei processi produttivi interni, anche se c’è una movimentazione complessiva di oltre 99 milioni di tonnellate di merce. Bisogna migliorare in fretta questo parametro: per un Paese tradizionalmente povero di materie prime, la possibilità di disporre di materie riciclate per la sua industria vorrebbe dire ridurre la sua dipendenza di approvvigionamento dall’estero, con conseguente risparmio economico.

Nella valutazione complessiva delle prestazioni relative a investimenti e occupazione infine, l’Italia scende al terzo posto, dopo Germania e Polonia e a pari merito con la Francia. Perdiamo in termini di numero di brevetti depositati relativi al riciclo dei rifiuti e di indice di input di eco-innovazione. In quest’ultimo caso, rispetto alle economie concorrenti, il valore italiano è circa 2,5 volte più basso rispetto a quello della Germania e 2 volte inferiore a quello della Francia. Significa che ci sono pochi stanziamenti pubblici e investimenti privati in questo settore, ma anche un numero ancora troppo basso di lavoratori occupati nella ricerca e nello sviluppo innovativo in campo ecologico.

Covid e transizione ecologica

Per quanto riguarda l’occupazione in alcuni settori dell’economia circolare (riparazione, riutilizzo e riciclo) l’Italia è al secondo posto, con un’occupazione del 2,06% rispetto all’occupazione totale, dietro alla Polonia che registra il 2,2%.

In realtà però, i dati italiani nascono alcune contraddizioni. L’Italia sembra utilizzare al meglio le scarse risorse destinate all’avanzamento tecnologico, ma la stessa ricerca evidenzia come le lacune spesso mitigate dalla nostra forza creativa potrebbero essere colmate grazie a un programma di serie politiche di sostegno allo sviluppo dell’eco-innovazione, che consentirebbe di accrescere la competitività delle nostre imprese sui mercati internazionali.

Vedremo dunque se le misure messe in campo dal Governo saranno sufficienti per garantire al Paese uno sviluppo green, promuovendo una crescita tecnologica in campo industriale basata sul minor consumo di risorse, sfruttando la combinazione tra tecnologie e fonti energetiche alternative.

Per di più, l’emergenza sanitaria sembra aver accelerato questo processo, proiettando sempre più l’industria verso le fonti rinnovabili. Secondo un’indagine sui “green jobs nell’ambito dell’economia circolare”, condotta da Legambiente e Green Factor, per il 61% degli intervistati – un gruppo di esperti scelti fra operatori di economia sociale e circolare – la crisi sanitaria può anzi rappresentare una vera occasione per costruire un nuovo paradigma occupazionale più sostenibile.

Nella fase post-Covid tutta l’Europa punterà a ripartire attraverso l’innovazione dell’industria e il nostro Paese non può essere da meno.

© Riproduzione riservata

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