Potere dell’auto: al Consiglio dell’Unione europea del 7 marzo potrebbe vedersi un’alleanza, inedita negli ultimi tempi, tra Italia e Germania. L’oggetto del tandem è il divieto di produzione delle auto con motori a combustioni termiche a partire dal 2035. Si tratta della misura europea forse più discussa nell’ultimo anno, che rientra all’interno del piano più ampio Fit for 55, il pacchetto di misure con le quali l’Unione europea punta a ridurre entro il 2030 le emissioni inquinanti del 55 per cento rispetto ai livelli del 1990.
Il provvedimento specifico sulle auto era stato approvato a metà febbraio dal Parlamento europeo e l’ultimo atto formale è proprio il passaggio al Consiglio dell’Unione europea. Da più di 15 giorni, però, il nostro Paese – che già si era manifestato più volte piuttosto scettico sul divieto nel corso delle precedenti votazioni – ha deciso di alzare il tiro.
Ponendosi innanzitutto a capo dei Paesi riottosi, in un’allenza che oltre alla Germania vede anche la Polonia, la Bulgaria, l’Ungheria e la Repubblica Ceca. Non a caso sono gli Stati dove l’industria dell’automotive è più forte, dove c’è il maggior numero di auto circolanti e dove sono concentrati i marchi più noti: da FCA a Mercedes fino a Skoda.
Ma l’Italia ha fatto di più: con una mossa inusuale il 28 febbraio, il giorno prima della riunione degli ambasciatori dei Paesi dell’Ue (il Coreper) che avrebbe dovuto votare sul tema, ha annunciato con una nota ufficiale sul sito del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica che avrebbe espresso “posizione contraria alla proposta di regolamento europeo che prevede il bando alla produzione e vendita di auto e van con motori termici al 2035” perché “pur condividendo gli obiettivi di decarbonizzazione” l’Italia ritiene che “la scelta dell’elettrico non debba rappresentare, nella fase di transizione, l’unica via per arrivare a zero emissioni”. Con tale nota, di fatto, l’Italia ha ottenuto il rinvio dell’incontro degli ambasciatori, che dovrebbe tenersi oggi. Ma l’accordo appare lontano dall’approdo.
Resta da chiedersi: quali sono le ragioni di un’opposizione così netta? E rispetto alla posizione governativa ci sono critiche o dissonanze?
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La posizione del governo italiano sull’auto
“Quello dell’Ue è ambientalismo d’elite”: così l’ex ministro alla Transizione Ecologica Roberto Cingolani, diventato poi il consulente energetico del governo Meloni, ha commentato recentemente la presa di posizione italiana. Si spinge ancora più in là il ministro dell’Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso per il quale “abbiamo svegliato l’Europa”. Al di là dei trionfalismi, è importante capire la posizione del governo italiano sull’automotive, perché il settore dei trasporti resta uno dei più inquinanti e allo stesso tempo si tratta di una filiera fondamentale dal punto di vista occupazionale che però appare da tempo contraria all’innovazione e dedita alla conservazione dello status quo. In questo senso è utile riprendere la lettera inviata dal governo Meloni alla presidenza di turno dell’Ue (la Svezia).
Per ottenere l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 100%, si legge nella lettera, sono necessari alcuni passaggi. Ecco i principali:
- lo sviluppo di una catena di valore dei motori e delle batterie elettriche nell’Unione;
- un approvvigionamento sostenibile e diversificato delle materie prime necessarie;
- adeguate infrastrutture di ricarica e rifornimento;
- un miglioramento della rete elettrica, in modo che possa far fronte all’aumento della domanda;
- un adeguamento dell’intero settore automobilistico, anche attraverso la fornitura delle competenze necessarie;
- l’accettazione da parte del mercato dei nuovi veicoli, che dovrebbero essere disponibili a un prezzo accessibile, in particolare per le famiglie e i consumatori più vulnerabili.
In attesa di capire se il pressing italiano andrà in porto, l’obiettivo a medio termine italiano è però un altro. E riguarda la partita sui biocarburanti, il settore dove l’Italia vanta gli interessi più forti grazie soprattutto al ruolo di ENI, che recentemente ha lanciato la nuova versione di Eni Diesel +. Come ha più volte affermato il ministro Urso, con le nuove votazioni europee del 2024 le istituzioni comunitarie potrebbero spostarsi più a destra, in sintonia con il governo Meloni, e giungere in questo modo all’appuntamento del 2026, quando la Commissione Ue dovrà verificare e votare la clausola di revisione degli obiettivi del pacchetto Fit for 55. Tra 3 anni, infatti, la Commissione dovrà verificare se le alternative all’elettrico – efuels, idrogeno e biocarburanti – avranno ridotto o azzerato le emissioni nel ciclo di vita. E in caso positivo si potrebbe appunto rivedere l’intero impianto normativo sull’automotive. È ciò che spera la Germania sugli efuels (i carburanti sintetici che mescolano idrogeno e rinnovabili) e l’Italia sui biocarburanti (ottenuti al momento presso le bioraffineria di Gela e Porto Marghera con oli esausti e olio di ricino proveniente dall’Africa).
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E se l’auto elettrica incentivasse il riciclo?
Proprio nei giorni in cui la battaglia sull’auto si faceva più aspra, Motus-E – l’associazione italiana che si batte per la mobilità elettrica – ha diffuso un report che traccia lo “scenario al 2050 del riciclo di batterie dei veicoli elettrici in Europa e Italia”. In esso si legge che, visto il recente sviluppo della normativa europea che tende a favorire l’elettrico, “la diffusione delle applicazioni di seconda vita permette di sfruttare la capacità residua delle batterie che raggiungono il fine vita, previste in significativo aumento dopo il 2030. Nei prossimi anni, l’aumento di utilizzo di dispositivi per la corretta diagnosi dello stato di salute della batterie permetterà una maggiore diffusione di applicazioni di seconda vita, riducendo il rischio di riciclare batterie ad alta capacità residua. Le batterie che raggiungono il fine vita sono caratterizzate da crescente densità energetica, che giustifica un aumento della capacità attesa più che proporzionale rispetto all’aumento dei volumi”.
Al 31 gennaio 2023, secondo i dati diffusi ancora Motus-E, le auto elettriche pure (senza considerare le ibride) sono poco più di 170.400, con le immatricolazioni che per il primo mese dell’anno sono risultate in calo dell’8,7% rispetto allo stesso periodo del 2022, attestandosi a 3.333 unità. Si tratta di un passo indietro che deve far riflettere, al quale potrebbe aver contribuito anche la campagna di screditamento portata avanti da governo e media generalisti. Anche perché il dato italiano è comunque in controtendenza rispetto agli altri grandi Paesi europei, dove gli ultimi dati disponibili continuano a mostrare una crescita delle immatricolazioni di auto elettriche.
A tal proposito si segnala anche un interessante servizio del programma tv Le Iene che racconta le attuali modalità d’uso delle auto elettriche in Italia. “Il motore elettrico ha un’efficienza del 90% mentre il motore termico ha un’efficienza del 20-25%, da lì non si scappa” ha sottolineato Nicola Armaroli, divulgatore scientifico e dirigente di ricerca al CNR. Uno dei veri problemi, come sottolineato anche nel servizio, resta quello della ricarica: da una parte le case private dove poter ricaricare l’auto sono ancora poche ed elitarie, dall’altra le colonnine di ricarica sono distribuite in maniera diseguale nel Paese.
A questo dovrebbe contribuire il PNRR, che destina 713 milioni di euro per un investimento da hoc. Due recenti decreti del MASE hanno definito le modalità per l’aggiudicazione dei contributi utili alla realizzazione di colonnine nelle aree urbane italiane e di postazioni di ricarica sulle superstrade, con l’obiettivo di arrivare all’installazione di 21.255 punti di ricarica entro il 2026, che si aggiungerebbero agli attuali 36.772 punti di ricarica.
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