Cosa significa fare impresa sociale? Lo spiega bene Lella Palladino, sociologa femminista, vicepresidente della Fondazione Una, nessuna, centomila e fondatrice, nel 1999 della Cooperativa sociale E.V.A..
“Dopo dieci anni di lavoro possiamo affermare che è possibile mettere uno spillone nell’ingranaggio del mercato e produrre reddito senza sfruttare il lavoro. Giustizia sociale ed ambientale significa mettere l’ambiente e le persone al centro. È l’unica alternativa a questo sistema socio-economico che vedo percorribile. Non mi piace sparare parolone, dire che siamo contro il patriarcato e contro il capitalismo. Nella pratica però proviamo a mostrare che è possibile fare economia in un altro modo”.
Lella Palladino è stata presidente dell’associazione D.i.Re, donne in rete contro la violenza, ed è membro del Forum Disuguaglianze Diversità. Ha partecipato ai lavori del Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020 ed è l’autrice del libro Non è destino. La violenza maschile contro le donne oltre gli stereotipi.
Dal 2012, in un bene confiscato alla Camorra a Casal di Principe, la Cooperativa E.V.A. gestisce un Centro antiviolenza, una casa rifugio e un laboratorio per l’inserimento lavorativo di donne in uscita dalla violenza che si chiama Le ghiottonerie di Casa Lorena e produce confetture, gastronomia e fa catering.
Dentro un barattolo di marmellata
“Da quando siamo nate abbiamo pensato di realizzare una piccola impresa di donne, uno spazio orientato alla sostenibilità ambientale, proprio perché lavoriamo in Terra dei fuochi, per dare empowerment alle donne – racconta Lella Palladino – Abbiamo fatto delle scelte: non è semplice dimostrare che dentro un barattolo di marmellata prodotto a Casal di Principe non ci siano prodotti chimici inquinanti. La nostra filiera è corta ma non cortissima, abbiamo acquistato o ricevuto donazioni da cooperative attente all’ambiente, certificate. È un progetto complesso in cui le donne hanno cominciato a sperimentarsi positivamente. Molte, dopo il tirocinio formativo, sono state in grado di cercare lavoro, altre sono state stabilizzate e sono diventate dipendenti a tempo indeterminato. Puntando sulla qualità, siamo riuscite a conquistare la fiducia di molti enti come le università di Napoli, di Caserta, diversi comuni…I nostri prodotti non hanno un costo bassissimo anche perché i costi del lavoro e della qualità non si abbattono”.
Da un incontro con Tiziana Maffei, direttrice della Reggia di Caserta, è nato un progetto di economia circolare presto sfociato in una partnership collaborativa più ampia. “La Reggia di Caserta era alle prese con lo smaltimento dei frutti di un aranceto composto da più di 300 piante. Da li, l’idea di raccogliere la frutta e rimetterla nel circuito produttivo trasformandola in una marmellata. Il primo anno non era buonissima: le piante non venivano potate da vent’anni, ma, grazie a questo partenariato, la Reggia è stata stimolata a curarle di più. Siamo al terzo anno di raccolto: la marmellata delle Regine viene commercializzata con il doppio brand, della cooperativa e della Reggia di Caserta cosa che ci dà una grandissima visibilità. Da questo esperimento ne sono nati altri. Facciamo i canditi, abbiamo un progetto ancora in divenire sugli olii essenziali…”.
Tra i progetti in lavorazione c’è quello di attivare un nuovo spazio di ristorazione all’interno della Reggia, Il giardino di Maria Sofia. “Abbiamo già una parte delle risorse ma per ora non bastano i finanziamenti. Sarà una sperimentazione molto significativa se riusciamo a portarla a termine – dice Palladino, prima di elencare le numerose attività di E.V.A. – abbiamo due buvette al Teatro Mercadante e al Teatro San Ferdinando di Napoli. Qualcuno si lamenta perché da noi, se si prende l’aperitivo, non ci sono le patatine. È una scelta – forse non la migliore dal punto di vista commerciale – ma preferiamo servire qualcosa prodotto dalle nostre Ghiottonerie di Casa Lorena. Avere salatini al sesamo preparati da Ayat piuttosto che le patatine per noi ha un altro significato culturale”.
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Evalab
Un capitolo a sé merita il laboratorio sartoriale Evalab, nato in pieno lockdown. Questa volta al centro del progetto c’è la tradizione delle seterie di San Leucio (Caserta). In partenariato con produttori locali e con disegni e texture rivisitati dall’Accademia delle Belle arti di Napoli. Un progetto sostenuto successivamente da Gucci: “abbiamo ricevuto tre donazioni di sete delle vecchie collezioni e questo ci permette di produrre capi meravigliosi a base di materie recuperate”. A tre anni di distanza, l’unica nota dolente riguarda la commercializzazione di capi unici e sartoriali, che sul web fanno fatica ad incontrare il proprio pubblico e hanno bisogno di trovare punti vendita.
In ogni caso il bilancio delle attività professionali della Cooperativa è molto positivo e ha permesso l’assunzione di 6 donne per Le ghiottonerie di casa Lorena, 4 lavorano nelle buvette e 5 a Evalab. Ogni realtà accoglie poi 2 tirocinanti per dare opportunità di formazione.
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Sostegno all’autonomia
“L’obiettivo di queste attività – racconta Lella Palladino – è quello di dare lavoro a sempre più donne ma anche di dare più indipendenza ai centri antiviolenza, sempre a corto di risorse”. Ovviamente “portare avanti un gruppo di lavoro composto, prevalentemente se non esclusivamente da donne che hanno subito violenza, è una sfida complicata e non sempre funziona – spiega Lella Palladino –. Mettere insieme nello stesso laboratorio donne con fragilità e provenienze culturali diverse richiede un lavoro costante di tessitura. Noi non facciamo assistenza, facciamo sostegno all’autonomia. E tra le persone che sosteniamo, c’è grande sorellanza ma a volte anche dinamiche malate. Il ruolo della coordinatrice che supervisiona il gruppo di lavoro e ne conosce le singole storie è fondamentale. Le donne che si stanno riprendendo hanno bisogno di regole ma anche di accoglienza delle criticità, dell’inefficienza. Sappiamo che la fase della ripresa è lunga ed è anche quella in cui spesso arriva l’incidente probatorio, il marito viene scarcerato, insomma non è possibile mandare queste persone a lavorare fuori. E bisogna anche raccontare che non sempre funziona, a Evalab dopo lunghi mesi di tirocinio una donna nigeriana ha scelto di andarsene, rinunciando anche al suo permesso di soggiorno”.
Come sottolinea Lella Palladino, “escono dalla violenza donne di ogni tipo, per fortuna una parte di loro lavora. Anche tra quelle che si rivolgono a noi ci sono donne autonome: impiegate, insegnanti…Ma i dati Istat ci dicono che oltre il 60 percento delle donne che escono dalla violenza non lavorano. E per loro gli sbocchi lavorativi sono pressoché inesistenti. C’è quindi molto da fare con le reti territoriali. Le alleanze vanno fatte anche in maniera formale. Abbiamo ad esempio protocolli d’intesa con un pastificio di Gragnano, con un caseificio di Castelvolturno, che ha assunto quattro donne a tempo indeterminato di cui tre in uscita dalla tratta. Queste partnership collaborative sul territorio sono un solco importante. Considerando anche che una donna su due in Italia non lavora”.
Ci è voluta tenacia per arrivare all’esplosione dei progetti della Cooperativa E.V.A. e – conclude Lella Palladino – “alla certezza che si può fare anche in un territorio inquinatissimo come il nostro, colluso con la Camorra che è entrata nelle istituzioni e nel tessuto imprenditoriale. Avere un approccio femminista per lottare contro questa modalità di sfruttare l’ambiente e di sfruttare le persone, vuol dire valorizzare la cura, vivere le relazioni e il pianeta con una modalità altra, né fagocitante né violenta. Sfruttare persone e ambiente come merci non può più accadere. L’approccio di tutte le mafie e della Camorra in particolare ha un orizzonte limitato: chi sotterra i veleni sotto i piedi dei suoi figli non costruisce futuro. Riconosce solo la logica del profitto all’ennesima potenza. Bisogna contrastare tutto in una volta l’illegalità, la violenza maschile sulle donne e questo modo di fare reddito, stare sul mercato e devastare l’ambiente”.
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