L’Italia è un paese forestale: non è una definizione molto utilizzata, eppure un terzo del territorio nazionale è ricoperto da boschi. Parliamo di undici milioni di ettari di cui nove formati da foreste e quasi due ettari composti da macchia, boscaglie e arbusteti. Ci sono regioni del nostro Paese, come la Sardegna, la Toscana e il Trentino Alto Adige, costituite per metà da ambienti forestali. Il 36% d’Italia è quindi foresta. Ma come interpretiamo questo dato? Questa percentuale dovrebbe portare a discutere di mitigazione climatica, di biodiversità e di salvaguardia del patrimonio boschivo; dovrebbe tradursi in una grande attenzione nei confronti di un ecosistema indispensabile per la transizione ecologica e per la conversione in chiave circolare della nostra economia. A mancare, invece, è proprio la cura per questa porzione d’Italia, spesso abbandonata dalla politica nazionale, lontana dai riflettori e illuminata soltanto dalla devastazione degli incendi estivi.
Ci accorgiamo di essere un paese forestale quando le fiamme accerchiano l’Oristanese, quando il fuoco distrugge i boschi in Molise e in Abruzzo, oppure quando una tempesta spazza via in pochi secondi 42 milioni di alberi, come accaduto con Vaia nel 2018 in Trentino, in Lombardia e in Friuli. Una presa di coscienza sembra venir fuori soltanto quando le foreste sono in emergenza e in pericolo di scomparire. Cosa perdiamo? Cos’è che lasciamo bruciare? Trascurare questi territori non significa solo esporre l’ambiente a devastazioni e a tragici eventi, ma vuol dire anche mandare in fumo la possibilità di concretizzare progetti di bioeconomia circolare nel nostro Paese.
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Il progetto ProBest, l’economia circolare nella filiera del legno piemontese
Come ci ricorda Nicoletta Fascetti Leon, le foreste sono il luogo essenziale per la bioeconomia, sono la sede centrale e operativa di quel cambio di paradigma annunciato nei summit internazionali e in tutti quei convegni dove di solito ci si congeda con una piantumazione di alberi in un parco cittadino. Un’azione necessaria, un gesto importante che a volte, purtroppo, rischia di mettere in ombra tutto il resto. Dopo aver piantato nuovi alberi a Roma, Milano e Palermo proviamo ad allontanarci dai grandi centri urbani e dirigiamoci verso le aree interne del Paese, attraversiamo i suoi versanti, fermiamoci nei territori montani, perché è questa l’Italia che studia, mette a dimora e fa germogliare la bioeconomia circolare.
Per capire come gestire in maniera sostenibile una foresta sciogliamo una sigla: ProBest, ossia Progetto BioEconomia Salute Territorio, economia circolare per la filiera legno-energia. Finanziato dal programma di sviluppo rurale della Regione Piemonte, sotto la guida del gruppo di ricerca Replant, questo progetto mette insieme i protagonisti della filiera del legno piemontese con l’obiettivo conseguire “una piena economia circolare nel settore forestale”. Nel gruppo operativo di Probest ci sono consorzi e cooperative forestali della Val di Susa, c’è PEFC Italia, collaborano circoli locali di Legambiente e diversi dipartimenti dell’Università di Torino. “Di base bisogna agire con la consapevolezza che la gestione delle foreste comprende una serie di attività che possono danneggiare l’ecosistema in cui operiamo ma se la gestione è svolta bene le criticità possono essere superate. Grazie a una serie di innovazioni la filiera del legno-energia può raggiungere la completa circolarità produttiva”, ha spiegato Marco Corgnati, responsabile del Settore Foreste della Regione Piemonte durante un webinar di presentazione di ProBest. Ma come si gestisce materialmente un filiera forestale sostenibile? Avviciniamoci ai boschi piemontesi al centro di queste prove tecniche di bioeconomia.
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Cortecce, ramaglie e ceneri: non chiamateli sottoprodotti
Nella filiere del legno esiste una serie di materiali che sembra destinata alla discarica o alla combustione. Molte imprese vedono le ramaglie e le cortecce, le ceneri e gli scarti di lavorazione soltanto come elementi di cui liberarsi. Sebbene etichettati come sottoprodotti, il team di ProBest vuole dimostrare che questi materiali possono godere di un epilogo differente in cui trovare un reimpiego di valore e un posizionamento sul mercato. Nelle due aree sperimentali individuate dal gruppo operativo, una nella Val di Susa e l’altra nelle Valli Chisone e Germanasca, i ricercatori stanno analizzando costi e modalità per indirizzare le cortecce al compostaggio e alla pacciamatura.
“La maggior parte dei prodotti da pacciamatura che si trovano sul mercato viene da zone molto lontane – ha spiega Alberto Dotta del Consorzio Forestale Alta Val di Susa durante il webinar di presentazione – Questo dato rende interessante il recupero della corteccia scartata dopo le lavorazioni del castagno e delle conifere. In Italia corteccia e ramaglie vengono avviati a combustione termoelettrica a basso prezzo, invece sono materiali che hanno un grande valore nutritivo e possono svolgere un ruolo importante nella protezione dei suoli. In questi mesi, grazie alle consulenze scientifiche del Dipartimento di scienze agrarie dell’Università di Torino capiremo come garantire un uso agronomico di questi materiali, chiamati erroneamente sottoprodotti”. Le ricerche in corso nelle aree sperimentali di ProBest puntano anche al riutilizzo delle ceneri provenienti da biomassa legnosa: un rifiuto speciale che le aziende devono indirizzare in impianti specifici per il trattamento, affrontando costi elevati di smaltimento.
“Lo studio punta a dimostrare che le ceneri possono essere un concimante con un alto contenuto di carbonio capace di affiancare la torba e ad altri migliorativi del suolo. Per puntare a una ricaduta reale delle ricerche scientifiche del progetto, il gruppo operativo ha coinvolto anche le ditte che si occupano dell’igiene urbana e della gestione del verde. Così, le aree sperimentali offriranno dei modelli gestionali e di valorizzazione di ognuno di questi materiali”, continua Dotta.
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Fare il pieno senza benzene
Passiamo a chi ogni giorno vive la foresta, a chi ogni giorno ci lavora. Accostiamoci agli alberi e sentiremo il rumore delle motoseghe in azione. Le ricerche di ProBest dedicano una parte speciale all’impatto ambientale e sanitario delle benzine e degli oli delle motoseghe,componenti spesso nocivi che espongono i boscaioli a elementi cancerogeni come il benzene. Nei boschi della Val di Susa e nelle altre aree sperimentali di ProBest la risoluzione di questo problema è stata affidata alla cooperativa Foresta, impresa piemontese che si occupa di gestione del territorio montano e punto di riferimento del territorio per la filiera del legno. I decreti e le normative sulla sicurezza del lavoro forestale richiedono una sostituzione di carburante: se c’è un prodotto non cancerogeno e dal minore impatto ambientale è bene adottarlo. E in questo caso esiste: la benzina alchilata.
Abbandonare la benzina verde per passare a quella alchilata vuol dire alimentare i motori delle motoseghe con miscele a basso impatto sulla salute del lavoratore. Bruciare benzina alchilata significa anche ridurre le emissioni di ossido di azoto, di anidride carbonica e di ossidi nitrosi, responsabili dell’acidificazione del terreno. Durante le attività di ProBest la cooperativa Foresta avrà il compito di promuovere e diffondere nella filiera del legno locale l’utilizzo di questo carburante. Ma non solo. Per gestire in maniera sostenibile una foresta c’è bisogno anche di un cambio dell’olio. Giorgio Talachini, presidente della cooperativa Foresta, spiega che “ogni anno un boscaiolo disperde nell’ambiente circa mille chili di olio. La nostra esperienza e le nostre analisi ci dicono che non ci sono grandi ostacoli per effettuare una transizione verso gli oli e lubrificanti biodegrabili. Non è assolutamente un problema di costo, perché tra un olio convenzionale e uno sostenibile non ci sono grandi variazioni di prezzo. Un lavoro del bosco non può prescindere dall’impatto verso l’ambiente. Per questo nelle attività del progetto stiamo tenendo in considerazione anche modifiche alle grandi macchine forestali, sempre in un’ottica sostenibile e in grado di ridurre gli impatti nella foresta”.
Uso del legno a cascata: bruciare è l’ultima opzione
In una gestione circolare della foresta non può mancare l’utilizzo del legno “a cascata”. La formula racchiude una scelta precisa, quella di assegnare priorità al recupero di materia anziché alla combustione del legno a uso energetico. Applicare questo concetto aiuta la filiera corta del legno e l’economia delle comunità che vivono nei territori montani e in prossimità delle foreste. Con questo approccio, un tronco di albero viene considerato come materia prima da utilizzare il più a lungo possibile attraverso la sua valorizzazione nell’edilizia, nell’arredamento, nel riciclo e nel riuso nell’industria della carta, o anche nel settore tessile.
L’uso del legno “a cascata” è in generale un ottimo esercizio per concepire le foreste come delle risorse multifunzionali che donano servizi essenziali per il pianeta e per le attività umane. Il gruppo operativo di Probest nelle linee di ricerca spiega questo punto in maniera molto chiara: “economia circolare vuol dire riuscire a valorizzare tutti i prodotti del bosco. Quel che resta nel bosco sarà carbonio stoccato nei suoli e ciò che togliamo dall’ambiente deve essere adattato alle filiere circolari. La filiera del combustibile legnoso deve essere motrice di un utilizzo nobile e lungo del legno, non deve indirizzare unicamente verso la produzione di combustibili”.
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Il Pnrr dimentica le foreste
Cambio d’olio alle motoseghe, uso del legno a cascata, riutilizzo di ceneri, salute dei lavoratori. Il risvolto pratico della bioeconomia circolare sperimentato da ProBest offre uno spunto di riflessione sul livello di considerazione delle foreste. Nonostante siano un forziere di biodiversità, residenze dei due terzi degli esseri viventi, sebbene la filiera del legno locale sia strategica per la transizione ecologica, il governo ha dimenticato le foreste. Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza infatti l’unica linea di intervento specifica sulla foreste riguarda le città e la creazione di boschi urbani. Durante il terzo forum nazionale di Legambiente “La bioeconomia delle foreste – Conservare, Ricostruire, Rigenerare” che si è svolto a Roma lo scorso 19 novembre, il professor Davide Pettenella, ordinario di economia forestale all’Università di Padova, ha spiegato nel dettaglio questa mancanza.
“Il problema vero è che abbiamo ottime misure di tipo passivo che permetteranno di migliorare prestazioni in campo ambientale, come per esempio le aree di protezione. Su questo ci sono buone performance. Invece siamo in ritardo per le misure di supporto, compensazione assistenza e di valorizzazione delle funzioni produttive delle foreste nelle aree interne e montane. Come siamo in ritardo nei sistemi di monitoraggio e di pianificazione”, ha segnalato Pettenella. In effetti all’interno del Pnrr ci sono molte misure che puntano alla riforestazione delle aree urbane, nello specifico si punta a piantare alberi per 6600 ettari in 14 aree metropolitane d’Italia. Con risultati, secondo Pettenella “poco significativi sulle biomasse e sulla fissazione della Co2 atmosferica. Briciole rispetto alle emissioni di quest’anno legate agli incendi, dove abbiamo bruciato 159 mila ettari di boschi.
Un elemento di riflessione che dobbiamo avere è che le aree verdi sono fondamentali per salute e per l’educazione ambientale, ma non dobbiamo trascurare l’importanza di gestire in maniera attiva le aree interne, i boschi di montagna anche in un’ottica di salvaguardia della biodiversità. Rispetto alle linee di azione politica, la bilancia non è equilibrata, e un intervento significativo per le aree interne dovrebbe essere assolutamente promosso. Il rischio è che per le foreste il treno del Pnrr sia troppo affollato”.
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Fare di più per la foresta, l’appello dell’Uncem
Il mondo della ricerca che osserva e studia sul campo le foreste sta facendo la propria parte: nelle aree montane non si perde tempo, e come al solito c’è chi si attrezza. Molti operatori, amministratori locali e gruppi associativi stanno rispondendo a una domanda di sostenibilità. Il problema è che a Roma fanno difficoltà ad accorgersene. Su questa assenza di considerazione si è espresso anche il presidente dell’Uncem Marco Bussone: “nel Pnrr sono saltati i fondi per le foreste, non certo per una mancanza di presidio e di mancanza di argomenti per chi si occupa di questi temi. Chi vive in montagna ha dimostrato di saper fare mobilitazione e di condividere saperi.
Nella legge di bilancio all’inizio c’erano soltanto 5 milioni per le foreste, grazie al nostro lavoro, insieme a Symbola e Legambiente siamo arrivati a 30. Queste risorse non devono produrre un progettino o fare operazioni di greenwashing. Dobbiamo dare senso alle risorse disponibili per attuare una vera transizione. Per essere pratici: per le foreste le regioni dovranno spendere bene i fondi di sviluppo regionale, abbiamo bisogno di più formazione agli amministratori locali e agli operatori forestali, servono impianti che sappiano usare meglio il legno. Dobbiamo dare valore alla filiera, fuori da ogni retorica, per percorsi di futuro che riguardino realmente chi si prende cura delle foreste e delle nostre montagne”.
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