Carne coltivata, ed è subito polemica. “Sulla base del principio di precauzione […] è vietato agli operatori del settore alimentare e agli operatori del settore dei mangimi impiegare nella preparazione di alimenti, bevande e mangimi, vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare, somministrare o distribuire per il consumo alimentare ovvero promuovere ai suddetti fini alimenti o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati”. Recita così il disegno di legge italiano del ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste Lollobrigida e del ministro della Salute Schillaci, pubblicato nel luglio 2023. Il ddl, firmato dal presidente della Repubblica Mattarella e approvato da Camera e Senato, prevede sanzioni da 10 mila fino a 60 mila euro per i trasgressori. Tuttavia recentemente la Commissione Europea ha bloccato la proposta e ne ha imposto l’archiviazione anticipata per violazione delle procedure: senza entrare nel merito del provvedimento, la legge è stata dichiarata non idonea per l’approvazione a causa dell’adozione prima dei 3 mesi di vaglio da parte della Commissione stessa per valutarne gli effetti sulla libera circolazione delle merci nel mercato interno.
La nuova tecnologia incorre inevitabilmente in problemi e controversie legati alla sicurezza alimentare, alla sostenibilità ambientale e all’etica del cibo, per via della mancanza di un solido supporto scientifico, dato il suo avvento piuttosto recente.
La carne coltivata è dunque un tema fortemente dibattuto, a partire dalla terminologia stessa: in Italia si è affermato l’uso dell’espressione carne coltivata, considerato il più coerente, in contrasto con carne sintetica e carne da laboratorio, similarmente a ciò che è accaduto anche nella lingua inglese. Il termine carne sintetica, infatti, è fuorviante perché la produzione non prevede creazione attraverso reazioni chimiche, ma solo replicazione. Lo stesso vale per la definizione da laboratorio, che richiama alla mente una produzione poco genuina, ma che in verità prevede l’utilizzo di fermentatori molto simili a quelli impiegati nella produzione industriale di yogurt, formaggi e birra.
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Come viene prodotta?
Per produrre la carne coltivata innanzitutto si sceglie la tipologia di cellula (staminale embrionica, staminale pluripotente indotta, mesenchimale) e se ne estrae un campione dall’animale – vivo o macellato – attraverso una biopsia. Da esso si crea una linea cellulare di partenza (lo starter), la quale in seguito verrà inserita nel fermentatore. Qui le cellule si comportano come all’interno del corpo dell’animale, sono immerse in un terreno di coltura liquido che le espone a nutrienti e parametri controllati, e iniziano il processo di differenziazione nelle varie tipologie (muscolo, grasso). Nella fase finale si estraggono e assemblano le diverse tipologie della carne attraverso processi tecnologici avanzati, come per esempio l’estrusione o la stampa 3D. Con l’ausilio di alcuni elementi come i biopolimeri, la cellulosa, la carragenina e altri, viene conferita la forma e la struttura desiderata, che può spaziare dal semplice macinato con cui produrre i burger al vero e proprio taglio di carne sul genere della bistecca.
Qual è l’impatto ambientale?
Un recente e accurato studio ex-ante con metodologia Life Cycle Assessment della carne coltivata, pubblicato sull’International Journal of LCA, dimostra che dal punto di vista ambientale la coltivazione di carne è un sistema ad alta intensità energetica. In una previsione al 2030, la carne coltivata richiederà circa 160 mega joule di energia per chilo di carne, contro i circa 100 necessari per la carne bovina da allevamento, la più energivora tra tutte le tipologie. Per contro il consumo di suolo e l’inquinamento dell’aria (ammoniaca, metano e protossido di azoto) minori rispetto all’allevamento tradizionale, se si assume un’attenzione particolare all’approvvigionamento energetico della carne coltivata e si privilegiano le fonti rinnovabili. In particolare, gli effetti ambientali della produzione di carne di manzo coltivata, sempre sotto l’ipotesi dell’approvvigionamento da rinnovabili, sono minori del 90% circa per quanto riguarda emissioni, uso del suolo e inquinamento dell’aria rispetto a quelli della stessa carne prodotta in maniera tradizionale, come evidenziato nell’immagine in alto, tratta dallo stesso studio. Rispetto agli altri tipi di carne (pollo e maiale) l’impatto è ridotto, ma in misura minore: per esempio, la produzione a base cellulare di carne di maiale ha un impatto emissivo minore del 44%, mentre per la produzione di pollo le emissioni sono più alte del 3%. Lo studio dimostra anche che l’indice di conversione alimentare della carne coltivata è minore rispetto alla carne convenzionale, e ciò significa che la prima è più efficiente della seconda nella trasformazione dei nutrienti in calorie. Infatti, il fattore di conversione delle componenti biotiche e minerali (esclusa l’erba) impiegate per lo sviluppo delle cellule è generalmente più basso per la carne coltivata (1.3), contro il 2.8 del pollame, 4.6 della carne di maiale, 5.8 dei derivati del manzo, e 5.7 della carne di manzo. Lo studio conclude che “la carne coltivata è quasi tre volte più efficiente nella conversione dei nutrienti in carne rispetto al pollame, l’animale con efficienza maggiore. […] L’inquinamento dell’aria da composti azotati e altri elementi è anch’esso più basso nella produzione di carne coltivata per via dell’efficienza e del contenimento del sistema produttivo […]. La produzione di carne coltivata è ad alta intensità energetica, dunque il mix energetico […] è importante. Con l’utilizzo di energie rinnovabili, la carbon footprint è più bassa rispetto al manzo e al maiale, e comparabile al benchmark ambizioso del pollo.”. Inoltre, “entro il 2030, la carne coltivata potrebbe avere una carbon footprint più bassa e minori impatti ambientali rispetto alla carne tradizionale […] Con la crescita e lo scale up industriale della produzione, l’aumento dell’efficienza può determinare un ulteriore abbattimento dei costi e degli impatti ambientali dal 2030 in avanti”.
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La questione etica e la sicurezza alimentare
La nuova tecnologia non rappresenta solo l’ennesimo passo in direzione della complessità e della capacità trasformativa umana, ma mette in campo anche una riflessione e un acceso dibattito sull’etica alimentare. La narrazione legata al consumo degli alimenti di origine animale a cui siamo abituati fin dalla nostra nascita è definita “paradosso della carne”: uno studio pubblicato nel 2016 sulla rivista Appetite dimostra che, nonostante la naturale empatia umana nei confronti degli animali, al momento del suo consumo si attiva nel cervello un meccanismo psicologico di indebolimento della relazione umano-animale per far fronte al malessere generato dal senso di colpa. Questa dissociazione permette di naturalizzare l’allevamento intensivo all’interno del sistema, perché la relazione tra l’animale che pascola liberamente nei prati e la bistecca che ci si presenta nel piatto è offuscata e manipolata nella complessità del percorso produttivo.
La carne coltivata è un’innovazione che permette di eliminare la dipendenza dallo sfruttamento animale, e la violenza che esso comporta, dalle nostre tavole. Inoltre, in aggiunta agli effetti ambientali positivi descritti prima, la transizione porta anche possibili benefici sulla salute pubblica, come evidenziato dagli studi del Good Food Institute (GFI). Il centro di ricerca internazionale creato nel 2016 dall’organizzazione no-profit Mercy For Animals lavora senza scopo di lucro alla promozione della sostenibilità alimentare, con un interesse particolare alla transizione proteica (dalle alternative vegetali alla carne coltivata). In una guida alla carne coltivata, il GFI propone una visione d’insieme dei fattori di salute positivi in collaborazione con esperti del settore:
- La possibilità di produrre carne con un profilo nutrizionale migliore, per ridurre i problemi di salute come il colesterolo alto
- L’assenza di antibiotici, che agevola il superamento del grande problema della resistenza antimicrobica, fenomeno che causa la morte di 133.000 persone in Europa ogni anno
- La riduzione del rischio di pandemie (come la peste suina o l’influenza aviaria)
- La riduzione di malattie alimentari, legate per esempio alla presenza di batteri
Resta tuttavia aperta e dibattuta la questione dell’uso di colture cellulari e il suo impatto sulla salute umana, sulla società e sull’economia tradizionale degli allevamenti animali. La FAO propone una mappatura dei rischi potenziali presenti lungo tutta la catena produttiva: le contaminazioni microbiche e la loro propagazione, la trasmissione di malattie infettive zoonotiche (derivanti da batteri come la Salmonella o l’Escherichia coli) e di agenti patogeni di origine alimentare provenienti dall’animale dal quale si estrae il campione. In generale, però, l’Organizzazione sostiene che la probabilità legata a questi eventi sia “considerevolmente più bassa” rispetto a quella incontrata negli allevamenti tradizionali.
Inoltre, altri rischi produttivi derivano dalla creazione di residui chimici, dalla possibile deriva genetica causata dalla costante replicazione cellulare, e dallo sviluppo di nuovi allergeni a partire dalle mutazioni. Questi pericoli sono comunque gestibili, sostiene ancora la FAO, come in ogni altro settore alimentare, ricorrendo a analisi accurate sulle linee cellulari e buone procedure di igiene che rientrano nel regolamento HACCP, adattate in modo specifico alla carne coltivata.
A tal proposito, attualmente le autorità di Paesi diversi stanno effettuando valutazioni di sicurezza del prodotto e analisi dei valori nutrizionali, e questi processi richiedono tempi lunghi. È quindi necessario intraprendere percorsi di approvazione quanto più possibile trasparenti, ed effettuare le valutazioni su basi etiche neutrali per evitare i condizionamenti ideologici.
Legislazione
L’introduzione sul mercato di alimenti prodotti con nuove tecnologie richiede un’approvazione che viene gestita singolarmente dai governi dei diversi Paesi, ma che necessita comunque del consenso delle autorità sovranazionali come la Commissione Europea. L’autorizzazione prevede valutazioni di sicurezza alimentare, di conformità alle leggi, di sostenibilità ambientale e di altre condizioni socioeconomiche. L’analisi condotta su questi fattori è diversa per ogni Stato, ma generalmente afferisce alle autorità di sicurezza alimentare: per l’Europa, l’ente di riferimento è la European Food Safety Authority, per l’Inghilterra la Food Standards Agency SA, per gli Stati Uniti la Food and Drug Administration. La legislazione della maggior parte degli Stati identifica la carne coltivata come novel food, cioè un alimento privo di storia nella tradizione culinaria. Per soddisfare il principio di precauzione che domina spesso il processo decisionale legato al cibo, tale prodotto non può essere commercializzato prima del suo controllo accurato dal punto di vista del rischio sanitario. Le autorità come EFSA e FDA si occupano dunque di valutarne il grado di sicurezza alimentare, ma in ultima istanza sono le istituzioni come la Commissione Europea a dare il via libera per la produzione e la commercializzazione, prendendo in considerazione anche fattori economici, sociali e di benessere animale.
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Stato dell’arte
Nel 2013 su BBC News compare la dimostrazione del primo burger di manzo prodotto su base cellulare da parte di un centro di ricerca olandese. A distanza di diversi anni, nel 2020 a Singapore viene approvato il primo regolamento per il commercio dei prodotti cell-based, in particolare i derivati del pollo. Qui l’azienda GOOD Meat serve per la prima volta al pubblico carne di pollo coltivata.
Tra nuovi investimenti e via libera dei governi, come ad esempio Stati Uniti e Israele, il settore inizia a crescere e a farsi spazio nello scenario della transizione alimentare. Diversi Paesi hanno già approvato il prodotto, e nel luglio 2023 l’azienda Aleph Farms deposita la domanda di regolamentazione europea al governo svizzero e britannico. Per la sua approvazione si prevede un’attesa di circa 12 mesi. Nel frattempo diversi Paesi tra cui Olanda, Germania e Regno Unito iniziano ad investire in centri di ricerca, avvio di linee di produzione e progetti di conversione delle produzioni.
Come sostiene Stefano Lattanzi, fondatore di Bruno Cell, l’unica startup di carne coltivata sul territorio italiano, ora è più che mai necessario focalizzarsi sugli investimenti per raggiungere la sostenibilità economica del settore.
Sempre agli occhi di Lattanzi, è difficile fare previsioni sull’andamento del mercato e sulle modalità di affiancamento al settore della carne tradizionale, perché ancora non esiste una filiera che ne permetta l’analisi di performance. È incontestabile però che gli sviluppi del nuovo settore saranno lenti, e che sarà impossibile la sostituzione completa: probabilmente la carne coltivata potrà piuttosto affiancare quella da allevamento sotto forma di commodity food, cioè un “alimento-merce” finalizzato a soddisfare il fabbisogno calorico umano, mentre il gusto verrà appagato dal consumo della carne di piccoli allevamenti tradizionali.
A favore: il punto di vista di Bruno Cell
Bruno Cell è una startup che nasce per mano di Stefano Lattanzi a Trento nel 2019 con l’obiettivo di fare ricerca nel campo della carne coltivata. L’interesse per la nuova tecnologia nasce in sede internazionale da una semplice ma genuina attenzione all’alimentazione cruelty free, che porta il suo fondatore a immaginare una nuova realtà di ricerca sul territorio italiano, ancora oltremodo fermo e silente a tal proposito. La carne coltivata, per Lattanzi, costituisce una risorsa di rilievo per l’alimentazione del futuro, perché il suo utilizzo può essere esteso su larga scala e il suo impatto ambientale aggregato è decisamente ridotto rispetto alla produzione di carne tradizionale.
In Italia sono emerse negli ultimi anni diverse voci contrarie alla nuova tecnologia, e il nuovo governo di destra radicale guidato da Giorgia Meloni si è affrettato a sottolineare la sua contrarietà attraverso il disegno di legge del marzo 2023 che ne vieta la produzione e la commercializzazione. Lattanzi sottolinea che ciò non comporta alcun impatto sul loro lavoro: la ricerca può continuare, nonostante l’evidente difficoltà nel trovare gli investitori per via della prospettiva di chiusura del mercato italiano. Infatti, la startup si rivolge molto spesso agli investitori esteri. I principali finanziamenti dell’azienda derivano da privati, insieme all’accesso a fondi europei per la ricerca e a collaborazioni con le università (in particolare Trento e Torino).
“La prima cosa è rendere la carne coltivata un prodotto davvero sostenibile dal punto di vista economico“ – spiega Lattanzi – perché il mercato è in forte espansione ma necessita ancora di grandi investimenti che agevolino lo scale up della produzione globale e permettano di raggiungere una reale competitività sul mercato della carne tradizionale. Un tipico argomento da detrattori – continua il fondatore di Bruno Cell – è quello di sostenere che la nuova tecnologia sia più inquinante perché fortemente energivora. “Non si può lanciarsi in analisi così dettagliate se ancora non si è capito qual è la filiera della carne coltivata. Qual è il metodo con cui veramente produrremo carne coltivata? Se lo faremo in bioreattori che magari consumano poco e riescono comunque a ossigenare le cellule, il consumo energetico sarà ridotto. […] É un tema da detrattori quello di dire che consumerà di più, non lo sappiamo. Quindi intanto bisogna lasciare la possibilità di sperimentare e sviluppare una filiera“. Dunque, l’idea di Lattanzi è, ovviamente, che la direzione di sviluppo sia quella giusta ed equa nei confronti degli esseri umani e del sistema Terra nel suo insieme. Inoltre, “c’è molta più attenzione etica in questo settore, rispetto a quelli più tradizionali, anche se gli interessi economici sono sempre rilevanti”, quindi serve integrare un’analisi economica che tenga conto delle forze di mercato e dell’interesse al profitto. Precondizioni perché il settore possa affermarsi e delinearsi come una reale possibilità per l’alimentazione del futuro.
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Contrari: Slow Food
La novità della tecnologia, associata alla mancanza di storia e alla forte componente etica, come abbiamo detto, rendono la carne coltivata un tema molto dibattuto e spesso contrastato. Sul sito di Slow Food, che si occupa di sensibilizzazione e tutela della qualità e del valore del cibo, compare un articolo che ne critica diversi aspetti. La prima motivazione, apparentemente di maggior rilievo, è: il cibo è cultura. In questo senso, la carne coltivata come “qualsiasi cibo prodotto in un laboratorio esprime una cesura definitiva con l’ambiente e il contesto (fisico e culturale) e perde il suo valore principale: il legame col territorio e con le comunità.”. Poi le ragioni economiche: “È sufficiente dare un’occhiata all’elenco dei finanziatori della ricerca sulla carne coltivata per capire quale sia la direzione: da Bill Gates a Sergey Brin di Amazon a Richard Branson della Virgin Group. Ma anche JBS, Cargill e Tyson Foods, ovvero le stesse multinazionali che controllano la filiera della carne: dalla produzione della soia all’allevamento, alla macellazione, alla trasformazione e commercializzazione attraverso la grande distribuzione.” Anche la salubrità del prodotto è messa in dubbio a causa dell’iperprocessazione e dell’utilizzo di ormoni e lieviti geneticamente modificati: questo fattore è tuttavia sottoposto a controlli accurati da parte delle autorità per la sicurezza alimentare, per escludere ogni forma di rischio prima della messa in commercio.
In definitiva Slow Food – insieme ad altre realtà come Coldiretti – critica la pericolosa tendenza ad allontanarsi dalla naturalità dell’alimentazione attraverso tecniche sempre più complesse, che si propone insieme ai rischi economici e sanitari del novel food.
Un quadro più completo del fenomeno
Al momento la letteratura scientifica e le evidenze degli effetti sulla salute, ambientali ed economici sono ancora poche, e anche gli esempi di applicazione concreta e i risvolti politici scarseggiano. Con la crescita e i nuovi investimenti nel settore sarà possibile individuare in modo più sicuro i fattori positivi e negativi, le dinamiche economiche e gli sviluppi scientifici del nuovo prodotto, e quindi fornire alle persone un quadro più completo del fenomeno. In tal modo, la carne coltivata potrà anche essere integrata nei progetti di alimentazione sostenibile per il futuro.
Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del workshop conclusivo del “Corso di giornalismo d’inchiesta ambientale” organizzato da A Sud, CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali ed EconomiaCircolare.com, in collaborazione con IRPI MEDIA, Fandango e Centro di Giornalismo Permanente.
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