La transizione ecologica, come anche questo magazine ha già sottolineato, avrà bisogno anche di regole adeguate. E se tra queste regole i fossero forme di incentivi analoghe a quelli messi in campo per le fonti rinnovabili e per l’efficienza energetica? Lo propongono – nell’ultimo Minibook, pubblicato a febbraio, di Fondazione Utilitatis, la fondazione vicina a Utilitalia, associazione delle imprese dei sevizi idrici, energetici e di gestione dei rifiuti – Luca Mariotto, direttore Area ambiente di Utilitalia, Alberto Mariani, specialista nella regolazione settore ambiente, e Francesca Mazzarella, direttore Utilitatis. Con indicazioni utili anche in considerazione del lavoro del governo sul Piano di ripresa e resilienza (Pnrr).
Gli strumenti per accompagnare il settore alla maturità
Nel breve testo, gli autori intendono “esplorare i possibili strumenti amministrativi ed economici che servono al sistema per interiorizzare i principi e le pratiche dell’economia circolare”.
Il focus, vista anche la provenienza degli autori, non può che essere impiantistico: “Se l’economia circolare dovrà necessariamente dispiegarsi a partire dall’educazione alla prevenzione nella produzione del rifiuto e da una normativa con una forte indirizzo all’ecodesign dei prodotti e degli imballaggi – leggiamo – non si può negare che il passaggio che rischia di spezzare il ciclo virtuoso del rifiuto è quello del suo ritorno nella disponibilità del consumatore, attraverso una nuova vita”. E poi: “Indispensabile il ricorso ad un sostegno per quella decisiva fase della filiera che è l’avvio al recupero”.
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L’esempio delle rinnovabili
Il problema, scrivono Mariotto, Mariani, Mazzarella, “non è di natura tecnologica o di competenze – per le quali l’Italia non è seconda a nessuno -, ma riguarda i correttivi che devono essere posti nel mercato perché anche questo si adatti alla priorità ecologica”. Il pensiero va appunto ai meccanismi di incentivazione usati per promuovere le fonti rinnovabili. I tre immaginano “leve che dovranno essere messe in campo con un obiettivo: quello di creare un adeguato spazio di mercato per il rifiuto che diventa nuova materia, relegando in una posizione subordinata la pressione competitiva di materie vergini il cui utilizzo sarebbe subottimale dal punto di vista ambientale”. Insomma, rendere la materia prima seconda più conveniente della vergine, esplicitando economicamente il valore per ambiente e per il raggiungimento degli obiettivi comunitari: “Le politiche nazionali che dovranno sostenere l’economia circolare dovranno in primo luogo estrarre e valorizzare le esternalità positive del riciclo rispetto al ricorso di materie vergini”.
Così facendo si permetterebbe la maturazione, anche tecnologica e impiantistica, del mercato, e, conseguenza non irrilevante sia dal punto di vista economico che geopolitico, la riduzione della dipendenza dell’Italia dalle importazioni da Paesi extra UE.
I Certificati di efficienza economica Circolare (CeeC)
Nel pensiero degli autori l’esempio cui far riferimento sono i CIC (Certificati di immissione al consumo) introdotti per supportare l’utilizzo del biometano nei trasporti: “Un sistema cap & trade (si stabilisce un tetto massimo – cap – cui corrisponde un equivalente numero di “quote” da mettere sul mercato – trade; ndr) che a fronte di un obbligo imputato ai distributori di carburanti, consente a questi ultimi di adottare le strategie più efficienti per integrare il biometano nella propria distribuzione o per assolvere all’obbligo attraverso lo scambio di appositi certificati”. Uno strumento, sottolineano, che si sta rivelando un driver fondamentale dell’adeguamento impiantistico per la produzione di biometano. Traslato il ragionamento all’economia circolare, Mariotto, Mariani, Mazzarella propongono un nuovo modello: i CeeC, Certificati di efficienza economica circolare. Stabilito il tetto minimo di materia prima seconda (MPS) corrispondente agli obiettivi che si pone il Paese, e diviso questo tetto in quote, “i produttori di beni – a fronte di un obbligo in termini di utilizzo di MPS – sarebbero spinti a contrattualizzare i flussi derivanti dalla selezione dei rifiuti o, alternativamente, ad acquistare un ammontare di Certificati corrispondente al proprio obbligo”.
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Il valore dei CeeC
Quanto dovrebbero valere questi certificati? Il valore dovrebbe essere “commisurato al costo che il sistema può sopportare per raggiungere gli obiettivi di circolarità rimpiazzando la materia vergine con quella recuperata anche nei settori hard to recycle”. Insomma un valore adeguato a permettere al sistema di compensare quello che non si riesce ad ottenere col solo mercato. In attesa che la tecnologia faccia ulteriori passi avanti e permetta di allineare anche i settori meno resilienti. “Questo sistema – è l’opinione degli autori – traguarderebbe un mercato del riciclo maturo ed in grado di esprimere innovazione e competitività. E per l’Italia significherebbe puntare alla leadership industriale in un settore per cui ha già dimostrato la propria vocazione”.
Titoli di efficienza energetica Circolare
La materia prima secondaria, rispetto alla vergine, richiede meno energia per essere prodotta. Anche questo risparmio – secondo Mariotto, Mariani, Mazzarella – dovrebbe essere misurato e premiato, perché anch’esso contribuisce al raggiungimento dei target comunitari.
Il modello proposto, anche in questo caso, si rifà all’esempio del settore energetico: i certificati bianchi che premiano l’efficienza. E farebbe riferimento al confronto delle materie vergini e seconda vita “valutando il processo nel suo complesso in una logica LCA (Life cycle assessment) con il riconoscimento di certificati equivalenti, originando nuovi titoli che abbiamo chiamato TeeC – Titoli di efficienza energetica Circolare”.
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Il progetto pilota con Enea
Per questo motivo Utilitalia, all’interno di un protocollo di ricerca con Enea, ha avviato un progetto di ricerca mirato a valutare gli elementi tecnici su cui quantificare i coefficienti numerici per determinare l’importo dei TeeC. Un progetto pilota, che inizialmente riguarderà alcune filiere-tipo, “per valutare la fattibilità del percorso rappresenterà un punto di riferimento obbligato per la messa a terra in maniera concreta dei principi alla base dello stesso”.
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